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(di)
Gianni Montieri
Dalma e Diego
05 feb 2024
05 feb 2024
Storia sentimentale di una fotografia.
(di)
Gianni Montieri
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Un’immagine non è mai soltanto un’immagine, è contemporaneamente ciò che vediamo davanti ai nostri occhi – che si tratti di un filmato, di una fotografia, di un disegno – ed è anche ciò resta fuori dal campo visivo: la sottrazione decisa dal fotografo, dal regista, dal fumettista. Esattamente là, in quello che non vediamo, si inseriscono il nostro immaginario, le nostre memorie, il nostro pensiero laterale. Guardiamo una fotografia, magari a una mostra, e superiamo la cornice, diventiamo quel seppiato forse risalente agli anni ’30, il bianco e nero, il colore smorto o troppo acceso. Noi partecipiamo. Del resto, succede anche quando si legge e, in maniera particolare, succede quando leggiamo poesia. Tutto l’accaduto che la poeta o il poeta hanno lasciato fuori prima del verso iniziale o dopo il punto della chiusa non ci riguarda, là in quello spazio noi ci sovrapponiamo come il migliore dei terzini che triangola con l’attaccante esterno.

Noi nel lavoro di un’artista abbiamo un ruolo, siamo spettatori ma anche noi giochiamo. Nei suoi saggi sulla fotografia, la scrittrice Susan Sontag scrive, tra le altre cose: «Tutte le fotografie testimoniano l’inesorabile scioglimento del tempo», e forse, aggiungo – alla stessa maniera – lo consolidano, ci consentono di non farlo svanire, di osservare uno spicchio del passato, nostro o di altri (persone o oggetti o luoghi che siano) come se fossero ancora lì, nell’attimo esatto in cui lo scatto ne ha certificato l’esistenza, il bagliore di un dato istante.

Negli ultimi anni mi sono occupato spesso di Maradona, superandone perfino gli aspetti mitici o religiosi, portandolo a quello che è adesso, una parte del tessuto urbano, spicchio di paesaggio, segnaletica o quello che preferite. Maradona è una cosa tra le cose, oltre il calcio, oltre il suo sconfinato talento.

Uno degli aspetti su cui ho a lungo riflettuto è quello che riguarda le fotografie che lo ritraggono, sono centinaia di migliaia. La maggior parte vanno ricondotte alle partite, le azioni più note, i gol, le entrate e le uscite dal campo, e poi ce ne sono numerose altre. Fotografie di Maradona (o fermo immagine da video) in ogni situazione: in pelliccia di visone, frame di lui che balla in mutande leopardate, vestito da Babbo Natale, seduto per terra che ascolta musica, al ristorante, mentre lo arrestano, mentre canta, mentre guida, di quando si sposa, di quando è allo stadio da tifoso, di lui a Cuba col sigaro, di lui a Dubai in bermuda, di lui che invoca Dio di nuovo allo stadio – con gli occhi che sembrano uscire dalle orbite -, di lui accompagnato con la mano dall’infermiera al controllo antidoping di USA 94, di lui col fucile contro i giornalisti, di lui in ospedale poco prima della morte, di lui con Claudia Villafane e con le figlie, di lui che balla con Raffaella Carrà, di lui che fa il dito medio, di lui che si commuove, di lui con improbabili look, di lui in smoking di raso e altre, altre ancora, viste mille volte ovunque e poi ricopiate sui murales, ritoccate dal bianco e nero al colore o viceversa.

Mi è capitato spesso di dire che non esistono foto di Maradona brutte, non perché lui venisse sempre bene, ma perché quelle foto dalle perfette alle strampalate lo riguardano e riguardano ogni cosa che è diventato anche suo malgrado. D’altronde la stessa Sontag afferma che non è sbagliato dire che non esistano brutte fotografie, ma solo foto che non sono rilevanti, misteriose, interessanti.

Ci sono scatti con Maradona ritratto in un contesto che è allo stesso tempo intimo e assurdo. Intimo perché riguardano situazioni che hanno a che fare con il privato e assurdo perché quella situazione non sarebbe riproponibile con un’icona degli ultimi anni. Basti guardare agli scatti presenti nel bel libro di Carlo Rainone, La foto con Dios (Il Saggiatore 2023), nessuna di quelle immagini la potremmo vedere replicata con Cristiano Ronaldo, Messi o chi ci pare. Immaginate Messi che va in un mobilificio in provincia di Napoli solo perché glielo ha raccomandato un compagno di squadra e si fa fotografare con i proprietari e i dipendenti. Bellingham che riceve in casa una bambina vestita da prima comunione, si fa fotografare e lascia che le foto vengano stampate e consegnate agli invitati come omaggio. Oppure Mbappé ritratto con il proprietario di un caseificio e sul muro la dedica: «Al re dei latticini. La cosa che mi mancherà più di Napoli sono le tue mozzarelle», come dargli torto.

Le foto di Rainone – stando a Sontag – sono rilevanti, misteriose e interessanti. Presentano l’uomo nel contesto e il contesto non è mai stato soltanto la partita, è stato anche tutto il contorno. Perciò la gente di Napoli e di Buenos Aires ha sempre sentito Maradona come uno di loro, e questa è una cosa che alla fine gli si è ritorta contro. Anche le foto con la famiglia, con le figlie in particolare, presentano una intimità e una disinvoltura che oggi non esiste. Osservando, per esempio, gli account Instagram degli sportivi moderni vedremo sempre un contesto familiare ben definito, la foto di rito a Natale, quelle con i bambini per i compleanni e poco altro. Tutte sapientemente ritoccate. Difficile trovare uno scatto spontaneo come i numerosi in cui Maradona tiene al petto o stretta al collo una delle figlie.

Ecco, tra le foto di Maradona ne esiste una che non riguarda un’azione di gioco, forse non è nemmeno una fotografia – ma di nuovo un frame tratto da un filmato – è quella che quasi tutti abbiamo visto e quasi tutti ricordiamo e che riproduciamo all’infinito sulle nostre pagine Instagram, nei nostri tweet, l’immagine è quella di Maradona seduto sul pallone al campo di allenamento mentre la figlia Dalma gli mette qualcosa tra i calzini. Ora, quell’immagine in cui nessuno gioca, non ci sono sforbiciate, colpi di testa spettacolari, portieri che volano all’incrocio dei pali, è una delle più belle della storia del calcio, perfetta e iconica al punto di superare sé stessa e diventare il simbolo di molte cose, ma per cominciare esaminiamola per qualche secondo.

Intanto guardiamo l’intera scena. Maradona e sua figlia sono in primo piano, alle loro spalle c’è un muretto e dell’erba che vi si arrampica. Muretto a volte più sfumato, altre più colorato, a volte più arretrato, altre vicinissimo alle due figure, a seconda di chi ha rimesso in scena l’immagine decidendo quanto marginale dovesse essere il ruolo del muro. Maradona nel completo di allenamento del Napoli è seduto su un pallone e guarda in basso. Sua figlia Dalma, vestita di giallo, sorride mentre compie un’azione, sta infilando una margherita in uno dei calzettoni di suo padre, guarda caso quello del piede sinistro. Questo è il quadro d’insieme ora concentriamoci sui dettagli, mettiamoci il nostro, insomma vediamo di quanto immaginario siamo capaci.

Lo sguardo di Maradona a prima vista è quello di un padre che guarda la figlia con tenerezza, ma non è soltanto questo, lo sguardo di Diego rivolto in basso è anche curioso, attento, protettivo. Vuole che quella margherita entri nei suoi calzettoni, vuole che la figlia riesca nell’intento. Le labbra sono socchiuse e non sappiamo se stia facendo una domanda, o se stia rispondendo a qualcosa detto dalla figlia, o se stia sussurrando un incoraggiamento.

Dalma sorride, forse sta parlando, ma non ci sono dubbi che riuscirà nell’intento, la margherita sarà infilata esattamente là, nel bordo del calzettone azzurro. Il vestito giallo della bambina ci riempie di colore; eppure, nemmeno per un secondo oscura l’azzurro di cui è vestito il padre, non prende mai da solo il centro della scena, tutto è diviso in parti uguali, ogni cosa è centrale. L’oggetto apparentemente fuori posto pare essere il secondo pallone, come se qualcuno lo avesse fatto rotolare laggiù per aggiungere qualcosa al quadro, ma in realtà potrebbe averlo portato Dalma che magari ci stava giochicchiano qualche minuto prima. È la mia ipotesi preferita.

Un padre, una figlia, un campo d’allenamento, istanti pieni d’amore e il mistero – o uno dei misteri – del gioco del calcio. Esistono, come accennato, molte foto di Maradona con Dalma bambina e con l’altra figlia Gianina, foto di lui che entra in campo con loro, di loro vestite con i colori della squadra, di loro con un pallone e con lui. Ma nessuna delle altre foto ci ha attratti come questa, nessuna delle altre la definiremmo come una foto bella di calcio, e addirittura come una di quelle più belle riconducibili al calcio.

Perché? Una spiegazione possibile l’ho trovata in una intervista a Enzo Jannacci nella quale spiega una delle sue canzoni più celebri: El purtava i scarp del tennis. Riferendosi ai tanti che chiedevano se le scarpe del barbon fossero da tennis o di tennis, lui afferma. No, è del tennis, perché lì c’è un mondo. Un mondo, esattamente. Il barbone di Jannaci portava le scarpe del gioco del tennis, un mondo intero per lui forse irraggiungibile. La foto di Dalma e Diego, forse, è una delle foto più belle del gioco del calcio, di certo è una delle più belle di calcio. Dire di calcio è dire di un mondo e quella foto lo attraversa tutto. La guardiamo e, naturalmente, proviamo desiderio e nostalgia, e vediamo tutti i campetti di periferia dove ci siamo seduti tra un gol sbagliato e l’altro, a sentire il vento, a prendere fiato, a ricordarci di qualcosa, a fermare il tempo, ad assaporare il momento.

Vediamo Diego che guarda con amore sua figlia e osserviamo un padre e la sua bambina che ride. Poi c’è la margherita da infilare nel calzettone che è però da calcio. Alla fine di quel calzettone c’è la Puma di Maradona, la Puma che calza il piede sinistro. Maradona è seduto su un pallone e poco distante ce n’è un altro. Vediamo il padre ma sappiamo che quel padre è colui che scartava tutti, che in campo – calzettoni e scarpe al piede – faceva meraviglie. La tenerezza si espande perché chi in campo faceva cose soprannaturali, lì ne fa una naturale. Ma amore è in campo, amore è verso la figlia. Quell’immagine è di calcio, perché con il calcio ha a che fare, altrimenti non si spiega il motivo per cui la guardiamo, la condividiamo, la usiamo anche se vogliamo parlare di un’azione di gioco.

Maradona era complesso eppure molto semplice, non aveva paura di mostrarsi debole, non aveva timore di essere preda dei sentimenti, Maradona che dribbla e poi segna esulta ma soprattutto ride. Maradona che se ne sta là con la figlia usa solo un altro parametro per misurare la gioia. Poi attenzione e cura, riservata a lungo per il pallone come se fosse un figlio, o come se ne fosse il figlio; e attenzione e cura riservata alle figlie fino a che ha potuto. Quell’immagine scioglie il tempo (come dice Sontag) in sottostrati d’amore e il pallone (un qualunque pallone) calciato da Diego, rotolando ha sciolto e continua a farlo un certo tipo d’amore. Luigi Ghirri diceva che la fotografia è un enigma, ovvero un problema senza soluzione. Possiamo lasciare avvolti Dalma e Diego nel loro mistero familiare, senza risolvere l’enigma – perché non lo risolviamo – eppure, onestamente, non potremmo dire che, quando pensiamo a Diego Armando Maradona, non ricordiamo quella foto, le sue infinite repliche, esattamente come quando pensiamo alle immagini dei suoi gol più celebri. Anche il calcio è un enigma, come la fotografia, forse è questo uno dei motivi per cui ancora lo amiamo.

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