Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
L'inferno della Fiorentina
03 mar 2022
03 mar 2022
Alla Juventus di Allegri è bastato uno sfortunato autogol per vincere.
(di)
(foto)
Dark mode
(ON)

In molti direbbero che non è stata una serata come un’altra al Franchi, dove Vlahovic è tornato per la prima volta da avversario. A Firenze, però, a nessuno è sembrato strano utilizzare questo pretesto per dissotterrare il rancore di una battaglia persa nel 1260. "Non vo’ che più favelle, malvagio traditor; ch’a la tua onta io porterò di te vere novelle”: si legge sugli spalti del Franchi prima dell’inizio della partita, ed è quello che Dante dice a Bocca degli Abati, che pare abbia tradito le truppe guelfe nella battaglia di Montaperti. Siamo nel nono cerchio dell’inferno dantesco, la zona più bassa dedicata ai peccatori più vili, i traditori per l’appunto, dove le anime in pena sono conficcate fino al collo in un lago ghiacciato da cui spuntano le loro teste, e l’unico rumore che si sente è quella dei denti che sbattono dal freddo. Dante prima di maledire Bocca degli Abati promettendo di dire la verità su di lui una volta tornato sulla Terra, lo colpisce con un forte calcio sulla faccia e poi, mentre quello urla dal dolore, gli strappa anche una ciocca di capelli. Questo penso dica tutto sullo stato d’animo dei tifosi della Fiorentina, accorsi allo stadio in massa ieri per godersi una gradevole serata di calcio.


 

Mentre sugli spalti il calcio è un pretesto per regolare i propri conti personali, in campo per la semifinale d’andata di Coppa Italia si sfidano Fiorentina e Juventus, due squadre che a guardare solamente come si comportano gli allenatori a bordo campo si potrebbe dire siano una squadra sola. Italiano e Allegri si sbracciano, urlano, si tolgono il cappotto solo per rimetterselo, parlano con qualcuno seduto in panchina, a volte sembra siano sul passo di commettere una follia: tra i due è una sfida a chi sembra più pazzo. Ma in realtà solo la Fiorentina assomiglia all’atteggiamento da vero dannato del suo allenatore, che chissà che pena sta scontando su questa Terra (forse per Italiano questo è l’inferno di un altro pianeta).


 

I “Viola” fin da subito fanno capire agli avversari che li andranno a prendere dentro la propria area di rigore, e l’alfiere di questo pressing iper spregiudicato è Lucas Torreira, teoricamente il vertice basso del centrocampo a tre della Fiorentina, ma che in realtà senza il pallone si spinge fino alla linea degli attaccanti per non lasciare mai ad Arthur lo spazio per girarsi. Gli schieramenti delle due squadre, d’altra parte, si incastrano alla perfezione. Per il 4-3-3 di Italiano salire uomo su uomo sul 3-5-2 di Allegri è quasi naturale: i tre attaccanti vanno sui tre centrali, i tre centrocampisti sui tre centrocampisti (con il movimento di Torreira citato), i due terzini sui due esterni, e i due centrali sulle due punte avversarie, Kean e Vlahovic.


 


 

La Fiorentina, come sempre, non si fa problemi ad allargare il campo da coprire fino all’inverosimile, pur di seguire gli avversari quasi sulla linea di fondo, e anche dal divano l’impegno atletico che richiede ai suoi giocatori mette la tachicardia. Quando questo pressing riesce a sporcare un passaggio avversario o a creare una palla contesa, i giocatori devono restringere il campo tornando nella zona della palla nel minor tempo possibile, il che significa coprire zone gigantesche con scatti continui. Per capire la Fiorentina, come detto, basta guardare Vincenzo Italiano, che con il fare del padre che sta promettendo le botte a un figlio sbadato urla a Odriozola di farsi 80 metri di campo all’indietro. Eppure, in questa palude di sudore e fatica, alcuni giocatori sembrano sorprendentemente trovarsi bene. Giacomo Bonaventura, per esempio, è ringiovanito di dieci anni, le sue conduzioni e la sua capacità di resistere alla pressione in spazi stretti è fondamentale quando la Fiorentina non sa più come uscire dal pressing avversario, o quando cerca di ripartire immediatamente in verticale dopo aver recuperato una seconda palla.


 

Allo stesso modo, è sorprendente la seconda fioritura di Lucas Torreira, un regista che avevamo conosciuto come un maestro nel gioco corto davanti alla difesa della Sampdoria di Giampaolo e che adesso invece sembra poter coprire tutto il campo con la stessa efficacia, con cambi di gioco e verticalizzazioni di decine di metri. Nonostante il baricentro basso e le gambe tozze da piccolo toro, Torreira è l’asse su cui si regge il dinamismo a tutto campo della Fiorentina. La sua intelligenza, ieri, è stata fondamentale non solo per eliminare dal campo Arthur - rimanendogli quasi fisicamente attaccato alle gambe, esaltandosi nello scontro fisico, spesso prendendolo direttamente a spallate per buttarlo a terra - ma anche con il pallone, per dare un senso a una squadra che sembra sempre sull’orlo di essere divorata dalla sua stessa precipitazione.


 

Secondo i dati di StatsBomb, Torreira è stato il giocatore della Fiorentina ad avere il dato più alto di xG Buildup (0.94), il valore che misura il peso di un giocatore nei possessi che hanno portato alla creazione di occasioni da gol. D’altra parte, l’occasione più chiara di tutta la partita - il palo esterno preso da Ikoné da dentro l’area, dopo aver sterzato su De Sciglio - nasce da una delle sue tante invenzioni geniali: su un rilancio di Terracciano finito nel centrocampo svuotato della Fiorentina, Torreira ha fintato di volerla controllare di petto e l’ha lasciata sfilare alle sue spalle per Piatek, che gliel’ha restituita di prima sui piedi. A quel punto il regista uruguaiano era già in posizione per la sua mossa successiva: un lancio in profondità a mezza altezza per lo scatto di Ikoné che è passato morbido come un frisbee nella fessura lasciata aperta da De Sciglio e Pellegrini.



Torreira è soluzione ma anche il sintomo dei problemi con la palla della Fiorentina, che senza il suo regista sembra persa. Ieri Arthur non aveva la stessa energia mentale per andarlo a prendere alto ogni singola volta (e forse non era neanche le stesse le consegne di Allegri), ma quando Torreira non era libero di ricevere tra le due punte bianconere allora la squadra di Italiano sembrava avere una struttura troppo rigida per poter costruire azioni pericolose partendo ordinatamente da dietro.


 

La Fiorentina allontana molto i propri giocatori tra loro, dando grandissime responsabilità creative ai suoi due centrali (Igor e Milenkovic) che sono chiamati a passaggi taglia-linee estremamente complicati per trovare le mezzali e le ali - molti metri dietro la prima linea di pressione. Castrovilli e Saponara da un lato, e soprattutto Bonaventura e Ikoné dall’altra si scambiavano spesso di posizione, tra chi si allargava per ricevere in ampiezza e chi invece entrava dentro al campo per chiamare la profondità.


 

In ogni caso, i loro movimenti svuotavano il centrocampo della Fiorentina che, senza l’appoggio di Torreira, era costretta a passare per le fasce, dove l’intensità della Juventus e l’aiuto naturale della linea del fallo laterale rendeva estremamente difficile risalire il campo, se non con lo stoicismo da iron man di Bonaventura.


 


 

Questo spiega una buona parte della fatica da Sisifo della squadra di Italiano, costretta a spingere un masso pesantissimo in ogni fase di gioco solo per farlo rotolare giù di nuovo una volta arrivata sfinita all’area avversaria. Di fronte alla fatica infernale della Fiorentina, la Juventus era ben contenta di sedersi comoda nella sua metà campo, ad esercitare il suo controllo magico sulla partita. Con l’arrivo di Vlahovic, Allegri ha finalmente trovato il pezzo mancante per il suo puzzle, e adesso la Juventus assomiglia al sorriso sornione che gli spunta agli angoli della bocca dopo aver fatto finta di infuriarsi con la sua panchina. Come sempre più spesso gli sta capitando nelle ultime partite, anche ieri la squadra bianconera è stata perfettamente a proprio agio nella sua passività, come se sapesse che bastava il minimo sforzo per mandare le cose dalla sua parte. La Juventus sembra (anche se non è chiaro se lo sia veramente) perfettamente in controllo anche quando non lo è davvero, e sembra cercare la sofferenza come unica via per esprimere il suo gioco.


 

In fase di prima costruzione, ad esempio, la squadra di Allegri ha sofferto molto il pressing altissimo della Fiorentina, e lo stava pagando caro con il gol mancato a porta vuota da Bonaventura al 15esmo del primo tempo (nato da un passaggio sotto pressione di Perin). Alla fine, però, la Fiorentina gli ha fornito l’alibi perfetto per giocare esattamente come voleva allegri, e cioè con verticalizzazioni dirette dalla difesa verso le due punte, con il solo apporto di Rabiot sulla trequarti (ieri ottimo nel ruolo di pesce pilota). Kean e Vlahovic sono stati mangiati vivi da Milenkovic e Igor (complessivamente 7 contrasti vinti, 12 intercetti e 9 duelli aerei vinti), e nelle rare volte in cui riuscivano a resistere ai loro anticipi alle spalle la loro connessione tecnica è sempre stata troppo sporca o frettolosa per produrre qualcosa di buono.


 


Qui ad esempio Locatelli riuscirà a trovare tra le linee Rabiot per un potenziale tre contro due, ma Kean non riuscirà a chiudere il triangolo chiamato dal centrocampista francese che avrebbe potuto mandare la Juventus in porta.


 

L’occasione più ghiotta avuta dalla Juventus Vlahovic è riuscita a ricavarsela da solo, scrollandosi di dosso Igor con la pura forza delle braccia, ovviamente su un lancio partito direttamente dalla difesa per opera di De Sciglio. Nel secondo tempo il calo dell’intensità della Fiorentina e l’entrata in campo di Cuadrado hanno migliorato la circolazione palla della Juventus, che è riuscita per lo meno a sterilizzare la pericolosità dell’avversario e a creare le due occasioni pericolose che alla fine hanno indirizzato la partita. Entrambe raccontano delle piccole debolezze e della piccole forze delle due squadre, nascoste dietro all’innegabile fortuna di vincere con un autogol all’ultimo minuto.


 

La prima nasce da una palla persa da Castrovilli che, nel tentativo di intercettare un lancio sciatto di Cuadrado, ha innescato la transizione della Juventus nel centrocampo svuotato dal pressing alto della Fiorentina (su quella palla probabilmente sarebbe dovuto salire Igor per accorciare la squadra in avanti). La seconda, invece, è nata dall’intelligente lavoro del ritrovato Rabiot, che prima si è abbassato in mediana per facilitare il possesso basso e poi ha spaccato la difesa della Fiorentina infilandosi nello spazio tra Biraghi e Igor. Il suo inserimento permetterà a Cuadrado di crossare forte dal limite destro dell’area rigore e il resto, come si dice, è storia.


 


 

Quello che rimane è la perfidia di un pallone avvelenato, forse pensato proprio per colpire un essere umano come se fosse un oggetto inanimato. La Fiorentina esce dal campo sconfitta per la seconda volta in stagione dopo essere stata superiore per quasi tutta la partita alla Juventus, e per la seconda volta per mano di un cross di Cuadrado deviato in porta da un proprio difensore (in campionato, all’andata, era stato Biraghi). Mi chiedo che pena deve essere quella di provare questo dolore per due volte in pochi mesi, dopo aver visto Milenkovic sfiorare la palla che finirà sul petto del suo compagno, e poi scivolare sull’erba viscida nel tentativo di evitare che entri in rete. A vedere le disperazione di Venuti, entrato nel secondo tempo solo per condannare la sua squadra, di certo non la augurerei a nessuno.


 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura