L'Ultimo Uomo

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Foto di Lionel Bonaventure / Getty
Sport Fabio Severo 30 maggio 2017 7'

Roland Garros, i primi giorni

Comincia lo slam di Parigi: Agassi nei nuovi panni da allenatore, Kvitova trova la pace, Francesca Schiavone ci saluta.

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Lunghe trattative non sono bastate a evitare che il mio accredito per il Roland Garros 2017 riportasse nel nome della testata sia un refuso che l’omissione di articolo determinativo, nonostante le rassicurazioni che avevo ricevuto nelle settimane passate. Sul badge si legge dunque un triste “Utimo Uomo”: il ripristino della elle di Ultimo mi era stato garantito dopo le varie segnalazioni durante il carteggio con l’ufficio stampa nella fase di accreditamento, mentre sulla elle apostrofata avevo presto rinunciato perché intuivo dalle risposte brusche che lo stress della preparazione del torneo era troppo per pretendere di avere ben due errori di ortografia corretti. Meglio adoperarsi per risolverne almeno uno, piuttosto che rischiare di non averne nessuno. “La dicitura sbagliata resterà sul foglio di primo ingresso, ma poi il badge avrà il nome corretto”, mi avevano scritto per mettermi a tacere, e ovviamente così non è stato.

 

Così ogni tanto mi scopro a incrociare involontariamente le braccia per coprire la scritta maldestra mentre chiacchiero con dei colleghi, preso da una strisciante sindrome dell’impostore, in più rafforzata dal fatto che neanche la mia foto è quella che gli ho inviato io, ma un’altra sepolta nel mio profilo da qualche accredito di diversi anni fa. Non aiuta neanche la frequenza con cui il mio francese viene accolto con risposte in un inglese ben peggiore della mia conoscenza della lingua locale, in una sorta di intolleranza per qualsiasi erre o e pronunciata in modo non nativo.

 

 

La strana coppia

 

Chissà se anche Andre Agassi soffre a volte della stessa sindrome, dopo le varie crisi interiori che ha raccontato nella sua autobiografia, tra il padre padrone, l’odio per il tennis, le droghe e le depressioni. Soprattutto da quando pochi giorni fa ha accettato di allenare Novak Djokovic, dopo anni in cui aveva ripetuto che non avrebbe mai fatto il coach. Il suo sponsor Longines continua a proporlo in versione filantropo mistico, con posteroni in bianco e nero in cui lo si vede evangelizzare ragazzini adoranti accompagnato da slogan sul senso della vita, con un’aura da guru aumentata dal cranio rasato, dalla catenella al collo con i ciondoli di legno e da un accenno di placida rotondità.

 

Ma in questi primi giorni sul campo accanto a Novak le vibrazioni sono di altro tipo: maglietta larga, pantaloncini fino al ginocchio e scarpe da ginnastica con fantasmini, Agassi osserva Djokovic dal fondo del campo con le braccia conserte strette quasi in una morsa, la mano destra che impugna la racchetta mentre con la sinistra si accarezza il mento con fare pensoso. Molto di una relazione tra giocatore e allenatore si cerca di decodificarlo dal modo in cui si muovono in campo: in questo caso, con gli occhi di tutti addosso avendo appena cominciato a lavorare insieme, i due comunicano una certa elettricità sotto la patina informale di una semplice practice session.

 

 

Djokovic scambia con palpabile urgenza, sembra guidato dalla voglia di tornare al più presto imbattibile o quasi. Agassi, con la sua caratteristica camminata dal passo molto corto e veloce, si muove attorno a Djokovic con l’aria apprensiva di chi non è sicuro al 100% di quello che sta facendo, ma che si sente comunque costretto ad aver successo. Appare teso, come se volesse controllare ogni cosa attorno a sé: un bambino dalla tribuna sporge una palla da tennis gigante per avere un autografo, e Agassi va a parlargli per dissuaderlo; poi guarda intensamente un gruppetto di spettatori che si tengono una pallina finita vicino alle loro sedie. Ne recupera un’altra sollevando un grosso telone, con la premura di chi ce le ha contate e non può permettersi di perderne nessuna.

 

 

 

I dolori di Angelique Kerber

 

 

 

Forse soffrirà della sindrome dell’impostora anche la numero uno Angelique Kerber, domenica sconfitta all’esordio in due set dalla numero 40 Ekaterina Makarova, diventando così la prima testa di serie numero uno a perdere subito a Parigi negli ultimi cinquanta anni. Ha perso tredici volte dall’inizio dell’anno e non ha ancora battuto nessuno sopra il numero 26 in classifica, gioca senza una strategia e i colpi la tradiscono continuamente, mentre non manifesta neanche una sana frustrazione per provare a scuotersi. Forse compiuta la rincorsa al vertice l’anno scorso non ha troppa voglia di restarci, tampinata da tutti coloro che la vogliono davvero vincente come si confà ai veri numeri uno.

 

E invece nonostante tutte le sconfitte continua bizzarramente a restare lassù, complici un sistema di ranking forse non perfetto, le altalene di molte sue rivali e i sabbatici di altre avversarie di altissima fascia come Serena Williams (incinta), Maria Sharapova (in lenta risalita dopo un anno e mezzo di squalifica per doping) e Viktoria Azarenka (neomamma che ha scelto Wimbledon e non Parigi per tornare a giocare).

 

Durante le interviste Kerber si limita a constatare l’ovvio, parla della difficoltà di giocare con addosso le aspettative, conclude ogni sua risposta annuendo leggermente come se stesse eseguendo un compito. Qui a Parigi la davano a rischio sconfitta ancora prima di giocare, non deve essere facile combattere per difendere la propria posizione quando i numeri ti lasciano lì malgrado le sconfitte, ma nessuno ci crede davvero.

 

Non ha invece minimamente sofferto la pressione del ritorno Petra Kvitova, ex numero due e due volte vincitrice a Wimbledon, che a dicembre era stata aggredita in casa sua da un ladro, e per difendersi è stata ferita piuttosto gravemente alla mano sinistra con un coltello. Doveva tornare il mese prossimo, e invece all’ultimo ha deciso di giocare a Parigi e ha vinto velocemente il suo primo incontro come se non fosse successo nulla, attaccando e colpendo decine di vincenti come sempre, e come poche altre sue avversarie sono in grado di fare. Celebrata dal Roland Garros con l’onore del match inaugurale nello stadio centrale Philippe Chatrier, dopo la vittoria (6-3, 6-2 contro l’americana Julia Boserup) lascia cadere la racchetta e si volta verso il suo angolo portando le mani al viso, come se avesse vinto il torneo. Certi atleti perdono il gioco traditi dai pensieri, altri sul campo trovano la pace e un (sano) vuoto mentale assoluto.

 

 

Ciao Francesca

 

Il lunedì mattina, in questo primo turno infinito che a Parigi dura tre giorni invece dei due degli altri tornei Slam, Francesca Schiavone gioca contro la campionessa in carica Garbiñe Muguruza. Annunciato come l’ultimo della sua carriera, il 2017 per Schiavone è stato sinora un anno molto intenso, con un titolo vinto e un’altra finale che le hanno permesso di recuperare una classifica sufficientemente alta per entrare nel tabellone di Parigi. Nel frattempo il torneo di Roma non le ha dato una wild card, che le avrebbe permesso di giocare nonostante non avesse il ranking per partecipare. “È ora di lasciar giocare un po’ le giovani”, avrebbe detto il direttore degli Internazionali d’Italia, in uno sport dove le sorelle Williams (35 e 36 anni) hanno giocato la finale dell’Australian Open appena lo scorso gennaio. La partita contro Muguruza comincia male, subito sotto 0-3 perdendo due volte il servizio, non riuscendo a rispondere. Poi però riesce a tornare 2-3 provando tutti gli angoli e le rotazioni possibili pur di ridurre le dimensioni del campo per sé e aumentare quelle del campo dell’avversaria, muovendola da un lato all’altro con traiettorie strette, spingendola indietro con parabole alte, costringendola a colpire basso piegata sulle ginocchia. Tutto per impedirle di colpire dritto e profondo, per non finire intrappolata nello scambio di sola potenza che Francesca non è in grado di sostenere.

 

 

 

Roland Garros, sette anni dopo

 

Sarà di nuovo lo spettro della sindrome dell’impostora a far urlare a Muguruza così tanti “come on!” rabbiosi pur gestendo con relativo agio la partita? Ci sarà anche il rispetto per l’avversaria, che ha vinto qui sette anni fa, ma pesa anche l’onere di difendere il titolo e di avere trascorso dodici mesi non molto fruttuosi dalla vittoria qui l’anno scorso. Dopo il recupero fino al 2-3 del primo set si ferma il gioco per il malore di uno spettatore, colto di sorpresa dal caldo anomalo di questi giorni, ma la sosta nuoce a Francesca che perde quattro giochi di fila. Il secondo set è equilibrato fino al 4-4, poi Muguruza serve sul 5-4 e vince l’incontro al quarto match point, quando Schiavone sbaglia una volée di dritto dopo aver costruito un bel punto in avanzamento.

 

Dopo l’incontro ha raccontato di essere stata sorpresa dall’emozione provata nei primi game, in cui non riusciva a giocare liberamente. Parla con i giornalisti con un tono di voce dolce, dice di non essere sicura di lasciare a fine anno, dipenderà da come si sente in autunno. Le chiedono qual’è il suo più grande rimpianto, perché la più grande gioia è scontata, la vittoria al Roland Garros del 2010 che è così importante che non la si nomina mai, è un implicito che viene chiamato soltanto “sette anni fa”. “Sette anni sono passati?”, dice lei, poi dice che il suo rimpianto è non aver giocato bene qui a Parigi negli ultimi anni, dopo la vittoria del 2010 e la finale raggiunta nel 2011. C’è un clima molto intimo, risponde dicendo che giocare male è come non sfruttare l’occasione di scrivere un bell’articolo, di esprimere se stessi.

 

“Ma voi non siete stanchi di me, dopo 20 anni? Io sono stanca di voi.” Ancora intrisi delle lacrime dell’addio di Totti della sera prima, in sala stampa si indugia sul senso di un finale di carriera, sulle emozioni che si provano. Le chiedono cosa vorrebbe lasciare, una volta che si ritirerà. “Io so cosa lascio, un giorno me lo direte voi”, risponde con una punta di solennità. Ma è facile rispondere, possiamo anche dirglielo subito: un titolo (il primo vinto da una tennista italiana in un torneo Slam) e una finale a Parigi in singolare, un’altra finale in doppio; i quarti di finale in singolare e semifinali in doppio negli altri tre Slam, la quarta posizione in classifica. I quarti di finale a Melbourne li ha raggiunti dopo aver vinto una partita di 4 ore 44 minuti contro Svetlana Kuznetsova, salvando sei match point. Ma è stata anche l’ultima donna a vincere uno Slam giocando con un rovescio a una mano, e lo resterà ancora a lungo, quanto nessuno può dirlo. Forse per sempre. Sarà anche per quello che ancora oggi mentre provava a resistere contro Muguruza il pubblico ha applaudito anche diversi suoi errori, perché erano tentativi di fare delle cose belle in campo.

 

Si dice spesso che Francesca Schiavone gioca un tennis molto classico, il gioco da manuale sulla terra battuta. Rispetto a molte giocatrici più giovani lei sul campo produce una melodia diversa, il suo è un gioco composto di molte parti, di un’alternanza tra pause e ripartenze, velocità e rallentamenti. È una musica bella, in cui anche le stecche di una giornata di fine carriera hanno un suono che regala piacere.

 

 

Tags : roland garrostennis

Fabio Severo scrive di tennis, di cinema, di cultura, ma non solo, per la carta e per il web. Copre eventi sportivi e non per agenzie e network internazionali e ha curato per anni il blog di fotografia contemporanea hippolytebayard.com.

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