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Giuseppe Pastore
La prima grande Croazia
11 lug 2018
11 lug 2018
Il racconto del grande Mondiale della Nazionale balcanica a Francia '98.
(di)
Giuseppe Pastore
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Dopo due lunghe e spossanti battaglie di 240 minuti più rigori, sabato sera i ragazzi della Croazia 2018 hanno chiuso a chiave nello spogliatoio di Sochi i fantasmi che li accompagnano e li angosciano ormai da un decennio, con molestia proporzionale alla loro ascesa umana e professionale: più Champions League alza Modric, più campionati festeggia Rakitic, più scudetti vince Mandzukic, più i fantasmi tornano a ululare nelle loro teste e coscienze, e il rumore è insopportabile. I ragazzi di “IT” di Stephen King trovavano il coraggio di affrontare il loro Demone nelle fogne della città, dopo oltre mille pagine di dolore e travaglio. Il Mondiale 2018 non è così cruento, o almeno non ancora, anche se Croazia-Danimarca e Russia-Croazia potrebbero benissimo essere state l'aperitivo di altri tormenti ed estasi sportive. Tutto si tiene: fino a dieci giorni fa, l'unica squadra Mondiale in grado di sopravvivere a due roulette finali nella stessa edizione era stata l'Argentina 1990, che come prima vittima aveva fatto, ingiustamente, l'ultima Jugoslavia della storia. I ragazzi della Croazia 2018 lo sanno: i fantasmi sono duri a morire, e quando sembreranno vinti torneranno fuori ancora più forti, sardonici e sghignazzanti. Perché sono i fantasmi della Jugoslavia 1990 e della Croazia 1998, e allora per sconfiggerli bisogna conoscerli bene.

 



Il 3 giugno 1990, allo stadio Maksimir di Zagabria, la Jugoslavia gioca l'ultima amichevole prima di partire per il Mondiale italiano. Riceve l'Olanda campione d'Europa: ma il verbo “ricevere” presuppone una condizione da padrona di casa, e invece mai come quella sera gli jugoslavi sono stranieri a casa loro, dopo che meno di un mese prima sono scoppiati tumulti che ormai

. Sugli spalti un gran numero di magliette arancioni anticipa i boati che accompagnano i due gol di Rijkaard e Van Basten. L'ultimo Mondiale dei "

è tetro e si porta addosso una malinconia premonitrice; finisce male, a testa bassa, con un'ingiusta sconfitta ai rigori contro un'Argentina che aveva forse un terzo del talento jugoslavo.

 

Ci sono otto croati, sei bosniaci, quattro serbi, due macedoni, un montenegrino e uno sloveno. Insieme hanno già combattuto e vinto parecchie battaglie sportive, come il Mondiale Under 20 del 1987, disputato in Cile: i piccoli jugoslavi si sono trovati così tanto a loro agio nella vita notturna di Santiago (in cui si racconta che un giovane Stimac abbia fatto breccia nel cuore di Miss Cile 1987) che hanno deciso di vincere il girone per continuare a giocarci anche dopo, e così hanno rifilato quattro gol a ogni malcapitato avversario; poi hanno battuto ai quarti il Brasile, in semifinale la Germania Est, in finale la Germania Ovest e sono diventati campioni del mondo. Ma di lì a dieci mesi saranno tutti pezzettini di un'esplosione deflagrante, come il finale di Zabriskie Point.

 

Nei terribili 54 mesi dal maggio 1991 al novembre 1995, in cui le due parti in causa mettono insieme 20 mila vittime e 500 mila sfollati, nella penisola balcanica il calcio è impraticabile. La piccola Croazia da 4,7 milioni di abitanti si tiene in vita celebrando gli eroi degli altri sport e ricercando ostinatamente nelle loro imprese una morale nazionalistica. Le alternative non mancano, dal tennista bombardiere Goran Ivanisevic, pazzoide tendente al soliloquio che si esalta per contrappasso sulla silenziosa erba di Londra, alla Nazionale di basket che coglie uno straordinario argento a Barcellona 1992, arrendendosi solo agli americani, trascinata da Drazen Petrovic. La sua morte, sopraggiunta il 7 giugno 1993, è una notizia non meno dolorosa di un bombardamento. È amico di tutti i ragazzi più grandi, grossi e talentuosi della sua generazione e sarà un fedele alleato per vincere di testa le sfide più difficili delle loro future carriere: come farà proprio Ivanisevic, che un mese dopo essere stato al suo funerale non riesce a dedicargli la vittoria a Wimbledon, ma se ne ricorderà nel 2001, quando lo vincerà fuori tempo massimo da incredibile numero 125 al mondo. Ve ne accorgerete in tutta questa storia: i croati hanno buona memoria.

 

La prima campagna Mondiale della storia croata segue un ottimo Europeo, concluso nei quarti di finale tra molte polemiche (ci torneremo). Eppure, inserita in un complesso girone eliminatorio, rischia grosso e acciuffa il secondo posto che vale i play-off solo all'ultima giornata, vincendo in Slovenia e scavalcando la Grecia bloccata sullo 0-0 dalla Danimarca. Le idee del CT Blazevic poggiano su un inderogabile 3-5-2 il cui punto debole è la difesa, che ha concesso gol in sette partite su otto, incappando persino in un rovinoso 3-3 interno contro la cenerentola Slovenia (sprecando un vantaggio di 3-1). La nota più dolorosa riguarda il portiere: Blazevic ne prova tre, senza approdare a una soluzione. L'unico clean sheet, però, è pesantissimo: la decisiva vittoria per 0-1 in Grecia, con un gol di Suker a un quarto d'ora dalla fine – in porta c'è il 35enne Drazen Ladic, indizio per il Mondiale.

 


A 0.08 il momento più buio della carriera in Nazionale di Ladic: Croazia-Bosnia del 6 settembre 1997, gara decisiva per la qualificazione e gol dello 0-1 regalato per aver valutato male la traiettoria del pallone, rinviandolo dopo che aveva già attraversato la linea. Ma la Croazia vincerà 3-2.


 

Secondi dietro la Danimarca, i croati sono costretti allo spareggio con un'altra new entry del calcio europeo, l'Ucraina che alligna in attacco un ragazzo di 21 anni cresciuto a pane e Lobanowsky – sì,

(ok, lo dico: Shevchenko). Ma la Croazia è superiore, più esperta, più smaliziata e ipoteca il Mondiale con il 2-0 a Zagabria all'andata, firmato da Bilic e Vlaovic. A poco serve, al ritorno,

che procura a Boban e compagni solo un brutto quarto d'ora, prima che un tiraccio di Boksic valga l'1-1 e chiuda ogni discorso. Certo, il confronto con la Jugoslavia non s'ha neanche da fare: i redivivi "

, al ritorno sul consesso internazionale dopo sei anni, hanno asfaltato l'Ungheria con un parziale di 12-1 tra andata e ritorno, vantano il miglior attacco delle qualificazioni europee e si candidano come mina vagante di Francia 1998. Un mese dopo ci si può consolare con un sorteggio abbordabile, il primo Gruppo H della storia dei Campionati: la più forte è senza dubbio l'Argentina, ma le altre due sono Giappone e Giamaica, del tutto inadeguate a questi livelli. È il primo girone dell'era moderna in cui tre squadre su quattro sono all'esordio assoluto in un Mondiale. L'infortunio al menisco di Alen Boksic, pur commentato da Blazevic con toni assai polemici nei confronti della Lazio, è metabolizzato dal gruppo come un semplice incidente di percorso. Il 14 giugno, nel piccolo stadio Félix Bollaert di Lens, inizia un Mondiale da

.

 


I'm an absolute beginner
But I'm absolutely sane
As long as we're together
The rest can go to hell


 



C'è poco di logico e di lineare nella vita e nella carriera di Robert Prosinecki. Orecchini e tatuaggi molto prima che diventi status symbol, è uno dei più rappresentativi e riconoscibili tra i tanti maverick croati, ma anche quello tra i 22 che vanta (si fa per dire) più presenze con la maglia della Jugoslavia: addirittura quindici con quattro gol, di cui uno allo stadio Dall'Ara di Bologna, al Mondiale 1990, contro gli Emirati Arabi. Nato in Germania Ovest da papà croato e mamma serba, ha scelto la Croazia ma ha fatto furore con l'odiata Stella Rossa fino a vincere la Coppa dei Campioni. Ha giocato prima col Real Madrid e poi col Barcellona, riuscendo a non vincere mai il titolo spagnolo. Si è infortunato mille volte, e mille e una è risorto, ogni volta più obliquo di prima, senza mai derogare ai due pacchetti di sigarette quotidiani. Il CT che ne ha fatto un perno della Croazia è anche quello che l'aveva scaricato oltre dieci anni prima, ancora ragazzino alla Dinamo Zagabria: «Se diventerà davvero un calciatore», aveva profetizzato Blazevic, «mi mangerò il diploma da allenatore».

 

È dunque lui a risolvere l'insidiosa prima partita del Mondiale, lo scoglio emotivo su cui si sono schiantate fior di nazionali balcaniche passate e future (per esempio, la Croazia di quattro anni dopo). La Giamaica passa per essere la squadra più scarsa del Mondiale, e sembra confermare le aspettative quando in nove di loro circondano Stimac ma non riescono a impedirgli di catturare il rimbalzo della traversa di Stanic e portare in vantaggio i suoi: mai sfidare un croato sotto canestro, anche se stai giocando a pallone. Eppure, dal nulla, Earle pareggia a fine primo tempo, svelando più di una crepa nell'approssimativa fase difensiva croata, non aiutata da un centrocampo a passo cadenzato dove giostrano tutti insieme Boban, Asanovic e Prosinecki: troppa grazia, mentre dall'altra parte dell'Adriatico si fa fatica anche a schierare un solo numero 10. A inizio ripresa tocca dunque al biondo Prosinecki, con un gol che vent'anni dopo conserva intatto il suo mistero: vuole crossare o pensa già a tirare, quando si sposta la palla dal destro al sinistro facendo tre passi verso la linea di fondo? Quella traiettoria impensabile e implacabile, che scavalca l'incauto Barrett, è uno dei piccoli cult del Mondiale 1998 – nonché un gol storico: nessuno ha mai segnato due gol ai Mondiali con due Nazionali diverse, prima, dopo e ad eccezione di Robert Prosinecki,

(“il grande biondo”).

 


Interludio: Robert Prosinecki si è ritagliato un suo spazio anche nell'ingrata era dei meme.


 

La vittoria è sigillata dal 3-1 di Davor Suker, il primo al mondo a sfruttare il cambio di regolamento imposto dalla FIFA proprio alla vigilia del torneo: da Francia '98 i gol arrivati su deviazione di un difensore su un tiro ugualmente diretto verso lo specchio non saranno più classificati come autogol, ma attribuiti direttamente all'attaccante. Così Suker, da vera faina dell'area di rigore, è ben felice di lucrare il primo dei non pochi gol di quell'estate.

 




Sarà bene subito scostare il velo che copre l'uomo che siede in panchina, Miroslav (“pace e gloria”) Blazevic, CT dal multiforme ingegno, dagli infiniti vizi e dalle notevoli virtù. Lo chiamano “Ciro” e così lo chiameremo anche noi, perché lui è un croato nato in Bosnia e Ciro era il nome del treno espresso che collegava Sarajevo e Zagabria. 63 anni, occhialini tondi da mellifluo protagonista di un film di Polanski, Blazevic è un compendio di luoghi comuni sugli allenatori balcanici. Ha il gusto della battuta paradossale alla Boskov o alla Milutinovic, predica il rilancio continuo come stile di vita, soprattutto in conferenza stampa dove ingaggia duelli furibondi con i giornalisti, specie stranieri: prima di Germania-Croazia memorabile la sfuriata contro i corrispondenti tedeschi, colpevoli di travisare le sue parole a uso e consumo dei tabloid. Ma sa anche come sedurre le folle: dopo l'ottavo contro la Romania si presenta davanti alla stampa con un cappello rubato a un gendarme nei paraggi, come estemporaneo gesto di solidarietà a David Nivel, un poliziotto di Lens ridotto in fin di vita da alcuni naziskin tedeschi prima di Germania-Jugoslavia. Da allora se ne porta sempre uno dietro, in panchina come in conferenza: gliel'ha regalato il comandante della polizia di Lens, dice, «ed è un portafortuna che porto in pellegrinaggio nelle camere dei giocatori: due ore da Asanovic, due ore da Boban...».

 

Ciro ha una lingua sciolta che spesso e volentieri sfocia nella retorica nazionalista tanto cara al suo amico Franjo Tudjman, il più giovane generale di Tito dopo la Seconda Guerra Mondiale, ora capo del governo che sta guidando la Croazia alla resurrezione. Possiede un carisma naturale che farà dire all'avvocato Slaven Bilic, logica ferrea da laureato in legge, non proprio un tipo dal complimento facile: «Se avessimo avuto Capello, Ferguson o Wenger, non sarebbe andata così bene. Era un padre per tutti noi, e un grande motivatore». È incline alle smargiassate, meglio se non verificabili: «Caro amico inglese», dice al giornalista Jonathan Wilson che l'ha incontrato per il suo libro sulla storia della tattica, «sa chi l'ha inventato il 3-5-2? L'ha inventato Ciro Blazevic».

 

Ha un passato francese, molto nebuloso, gravido di sospetti: ha allenato a Nantes dal 1988 al 1991 e alcune sue sfide col chiacchierato Olympique Marsiglia di Bernard Tapie sono state a tinte fosche.

svelerà che, dopo un Nantes-OM 1-1 dell'autunno 1989, sul suo conto svizzero è comparso un accredito da 420 mila franchi proveniente da Marsiglia («Ho solo fatto da intermediario, quei soldi erano rivolti al Sarajevo, non ho visto un solo centesimo»). Proprio a Nantes torna il 20 giugno per la seconda partita di girone, che se hai vinto la prima è ancora più insidiosa. Meno brillante che all'esordio, la Croazia ci mette mezz'ora a prendere le misure al tenero Giappone, a cui non pare vero poter arrivare solo davanti a Ladic come accade al centravanti Nakayama a metà primo tempo; ma Ladic compie una grande parata, e non sarà l'ultima del suo Mondiale. Poi l'intensità dei giapponesi cala ed esce il talento di Suker, che prima colpisce una traversa in pallonetto e poi punisce l'ingenuità di una difesa che ha osato lasciare due metri al centravanti del Real Madrid. La qualificazione agli ottavi arriva con novanta minuti d'anticipo, rendendo inutile la terza partita contro l'Argentina, che forse è meglio prendere sottogamba visto che nel Gruppo G l'Inghilterra arriverà seconda: Blazevic schiera comunque tutti i titolari e riabbraccia capitan Boban, fermo ai box contro il Giappone. Missione compiuta.

 



 



La Croazia non è stata l'unica outsider europea a centrare sei punti nelle prime due partite: a grande sorpresa c'è riuscita anche la Romania, che ha costretto l'Inghilterra a uno scomodissimo ottavo contro l'Argentina. Per festeggiare, i ragazzi del generale Iordanescu si sono presentati in campo nella terza gara di girone contro la Tunisia tutti con improbabili capelli color biondo ossigenato, gettando un'immagine sinistra sulla saldezza mentale del gruppo. Il grigio 1-1 contro i nordafricani conferma i peggiori sospetti, alimentati da dichiarazioni oltremodo altezzose prima dell'ottavo contro la Croazia. Iordanescu sostiene che la Romania è superiore alla Croazia, Hagi si spinge a dire che i croati sono «un avversario abbordabile».

 

Gli abbordabili devono rinunciare allo squalificato Soldo, sostituito da Igor Stimac, e lasciano scientemente fuori Prosinecki per il più potente Jurcic, ma questo non impedisce loro di dominare dal primo al novantesimo, nel 3-5-2 in cui Stanic si sacrifica a destra per lasciare spazio al duo Suker-Vlaovic, con Stimac-Bilic-Simic rigidissimo trio difensivo. L'unico rumeno sopra la sufficienza è il portiere Stelea, probabilmente perché pelato e dunque estraneo alle stravaganze tricologiche dei suoi: a un certo punto è eroica la sua resistenza sotto il tiro a segno dei croati, che nel finale si ostinano a sbagliare il gol del 2-0 in modo addirittura sadico.

 

Chi non sbaglia – e raramente ha sbagliato – è Davor (“dio della guerra”) Suker. Anche lui ha le sue presenze con la Jugoslavia, per la cui causa ha anche segnato un gol. È stato idolo a Siviglia per cinque anni e in uno di questi ha giocato perfino con Diego Armando Maradona: «» lui che mi ha insegnato il gusto della prodezza». Davor Suker è genio e veleno: i colpi a effetto sono attori protagonisti del suo bagaglio tecnico, a partire da

, uno dei gol più belli della storia del calcio croato. La Spagna l'ha addolcito, facendogli incontrare l'amore della bella presentatrice spagnola Ana Obregon, tredici anni più grande di lui, ma per qualcuno l'ha anche rammollito: al Real Madrid è stato mattatore nell'anno dello scudetto di Capello, ma riserva di lusso nel 1997-98, dietro il giovane Morientes e l'amico jugoslavo Mijatovic che ha risolto la finale di Champions contro la Juventus, in cui è entrato all'89esimo, in tempo per fare tappezzeria. Nelle interviste pre-Mondiali ha dato velatamente del dittatore al tecnico Heynckes, ma i Mondiali sembrano fatti apposta per prendersi gelide rivincite. All'ultimo minuto del primo tempo una cintura di Gabriel Popescu su Asanovic porta al calcio di rigore: Suker calcia alla perfezione, ma l'arbitro argentino Castrilli ordina la ripetizione per troppo traffico in area: è stato Boban, scalpitante, a fare invasione. Implacabile, Suker sceglie di non cambiare angolo e viene premiato. 24 ore prima, proprio Mijatovic aveva propiziato l'eliminazione dei suoi tirando sulla traversa un rigore contro l'Olanda: anche dietro gli angoli più impensabili di Francia si può nascondere un Croazia-Jugoslavia.

 



 



La notte più bella della giovane storia croata ha un protagonista sorprendente, il primo calciatore ad aver scavalcato l'Adriatico nel torrido 1991, quando cade finalmente il veto sui trasferimenti all'estero dei giocatori jugoslavi con meno di 25 anni. Nel mercato di riparazione di novembre Robert Jarni e Zvonimir Boban arrivano a Bari, la città dove sei mesi prima la Stella Rossa ha vinto la Coppa dei Campioni. Potrebbe essere l'inizio di una bella avventura, invece gli ambiziosi pugliesi retrocedono in Serie B e i due croati si accasano rispettivamente al Torino e al Milan; eppure, in un breve frammento di un trascurabile Bari-Juventus del febbraio 1992, si intravede un momento di Croazia che sarà. Jarni scappa sulla sinistra e costringe Corini al fallo a pochi metri dall'area; la punizione radiocomandata di Boban (a 1:05 del video qui sotto) aggira a sinistra la barriera ma si stampa sul palo, strozzando in gola l'urlo al San Nicola.

 



 

Il tabellone si è divertito a rimettere sulla loro strada la Germania, due anni dopo l'ultra-polemico quarto di finale di Euro 1996: sull'1-1, l'espulsione di Stimac orientò il confronto a favore dei tedeschi fino al gol irregolare di Sammer, con rovente postpartita a carico dell'arbitro svedese Sundell. Parafrasando Giorgio Gaberscik, valente cantautore di origini istriane, il dilemma è quello di sempre, un dilemma elementare: i tedeschi sono bolliti o la bollitura è la condizione naturale dei tedeschi? Hassler, Moeller, Klinsmann, persino l'antico Matthaeus sono tutti all'ultima recita mondiale, e con loro anche Kohler e Reuter, pure loro in campo in quel Bari-Juventus.

 

Ne esce una partita contratta e piena di spigoli, in cui Ladic si tramuta felicemente in saltimbanco per togliere dalla porta la classica sassata di testa di Bierhoff, prima di spazzare di piede. Da una parte e dall'altra si flirta ripetutamente coi cartellini, finché a fine primo tempo arriva la svolta, quando Worns assesta un calcione a Suker a quaranta metri dalla porta: in un'epoca in cui nessuno parla ancora di “cartellino arancione”, l'arbitro Pedersen sventola il rosso. A stretto giro di posta arriva così il vantaggio croato: Jarni accelera senza opposizione e dalla linea Subbuteo spara un sinistro che coglie Koepke sorpreso come un portiere di calciobalilla. Non è molto più mobile il resto dei tedeschi, anche se spaventano ripetutamente Ladic, strepitoso sulla deviazione di Bierhoff a inizio ripresa. La Croazia è viva, non trema di fronte alla semifinale a un passo, non rinuncia a cercare il raddoppio. E lo trova all'80' con un gol fotocopia del primo, segnato da Goran Vlaovic che esulta scuotendo la testa con il ghigno ammiccante di un cantante di boyband. Vlaovic è un altro magnifico revenant che ha dovuto superare prove ancora più terribili: nell'estate 1995, mentre gioca a Padova, gli hanno diagnosticato un'ipertensione endocranica benigna: un eccesso di liquido che attraversa le meningi, una disfunzione che rischia di sfociare in tumore. Si è operato alla testa, e dopo due anni eccolo lì, a fare gol ai tedeschi in un quarto di finale Mondiale.

 

E Suker, rimane a secco? Ovvio che no: al grande Davor il compito di razzolare senza opposizione nel pollaio tedesco, portandosi a spesso mezza difesa prima di segnare il suo quarto gol al Mondiale. E così i bastardi senza gloria di Blazevic sgominano i tedeschi in terra di Francia, proprio come quel film che sarebbe arrivato dieci anni dopo: la Germania incassa uno 0-3 senza precedenti Mondiali. Ora c'è la semifinale, e c'è Parigi: cose inaudite e incredibili. Nel gergo precompilato dei telecronisti, le bombe sono ora solamente dei tiri da fuori area ben assestati.

 



 



Per lanciare la semifinale Mondiale, un TG croato apre con la notizia, chissà quanto verificata, di una statistica: solo il 5% degli abitanti della Terra conosceva la Croazia prima di Francia '98, ma "grazie agli straordinari successi della nostra nazionale" ora la percentuale è salita al 15%. Non è chiaro da dove vengano questi dati, ma non è la loro esattezza che importa. C'è la netta sensazione di potersela giocare, che questa semifinale coincida con la partita più importante delle loro vite e che tutti loro siano pronti, maturi per andare in finale, né prima né dopo. C'è la sensazione che, al di là del fattore campo, la Francia non sia insuperabile, abbia grossi problemi in attacco (solo un gol segnato in 240 minuti tra Paraguay e Italia, per di più dal difensore Blanc) e abbia i muscoli fiaccati da due partite consecutive ai supplementari. C'è la certezza che la pressione sia tutta francese, perché un Francia-Germania avrebbe alleggerito la testa dei "bleus", mentre una semifinale Francia-Croazia “va vinta”. Ma Boban non è al meglio, anche se non si nasconde: «La Jugoslavia del 1990 era un complesso inaffidabile perché si perdeva nelle occasioni importanti, noi invece abbiamo una mentalità poco balcanica: siamo una generazione speciale che si conosce da tantissimo tempo, e siamo vincenti dentro».

 

Per Zvonimir (“segnale di Dio”) Boban è stato un Mondiale particolare. Lui così anarcoide, con debolezze da artista, con la maglia rigorosamente fuori dai calzoncini, lui che “Milano vende moda Boban” come da soprannome di Carlo Pellegatti, ha dovuto, voluto e saputo irregimentarsi per l'appuntamento con la storia. Il figlio del generale Marinko, che una volta molto famosa prese a calci un poliziotto che stava picchiando la sua gente e per questo saltò per squalifica Italia '90, sta disputando il suo unico Mondiale della carriera con serietà marziale: ha riposto il pennello e comanda le operazioni con piglio da comandante. Il piano suggerito da Blazevic alla vigilia («Vedendo i francesi contro l'Italia ho scoperto un dettaglio che mi sarà utile per la nostra vittoria») sta funzionando alla perfezione: dopo un primo tempo molto bloccato chiuso 0-0, la Croazia porta a compimento il Blitzkrieg all'alba della ripresa. Asanovic, tutto un altro giocatore rispetto alla sua elefantiaca versione nel Napoli 1997-98, pennella oltre la linea francese, dove c'è Suker che controlla e fulmina velocissimo Barthez in uscita – ed è il gol numero 5.

 

La Croazia tocca il cielo con un dito e per la prima volta dopo un mese si dimentica di essere umile. Il primo a peccare è proprio il capitano, che trenta secondi dopo si concede il primo svolazzo del Mondiale: una roulette a saltare l'uomo a qualche decina di metri di distanza da Zidane, maestro indiscusso del gesto. La roulette riesce, e Boban è probabilmente sollevato per aver finalmente appagato il suo inconscio: ma si distrae fatalmente sul pressing proprio di Thuram, che lo costringe a forzare e sbagliare il passaggio in orizzontale. Djorkaeff ruba palla e subito verticalizza proprio per Thuram, che batte Ladic in uscita. Il cielo si è aperto e la Croazia si è rivelata vanitosa e mortale. La punizione divina ha il dito insospettabile ancora di Thuram, che dopo aver scagliato verso Ladic l'incredibile folgore di sinistro (!) del 2-1 si inginocchia sbigottito sul prato di Saint Denis, portandosi l'indice sulle labbra come in un gesto di estrema riflessione. La regia francese inquadra il cappellino di Blazevic, appoggiato, quasi abbandonato sulla borsa del massaggiatore. Riacciuffarla è impossibile, a nulla serve la sceneggiata di Bilic che porta l'arbitro Garcia Aranda a espellere Blanc, facendogli saltare la finale per il disdoro dei parigini (che fischieranno in massa Bilic il sabato successivo). La Croazia ha perso e Blazevic reagisce con la consueta pacatezza: «Sono davvero depresso, morirò da perdente. Il rimorso di aver messo Prosinecki solo all'89' mi accompagnerà per tutta la vita».

 



 



Tutti insieme, vestiti di blu con gli scacchi bianchi e rossi sui fianchi. Se sette giorni prima in Croazia la scena era stata rubata ancora da Ivanisevic, capace di issarsi nuovamente alla finale di Wimbledon (perdendola poi contro Sampras), questo weekend è tutto consacrato al pallone. La finale di consolazione con la bellissima Olanda di Guus Hiddink, a pochi centimetri da eliminare il Brasile, è una delle partite più divertenti del Mondiale. I croati si riscoprono giocolieri, fantasisti, l'arte per l'arte, il calcio per il calcio, attaccano gli spazi con leggiadrie da ballerini; e gli olandesi, si sa, non chiedono di meglio. Prosinecki segna un gol bellissimo, un saggio da giocatore di basket, piede perno con la gamba destra, “la gamba del leone” per via di un grosso felino tatuato sul polpaccio. Il tiro passa tra le gambe del malcapitato Numan, perché si sa – e i croati lo sanno bene – che quando l'attaccante tira tra le gambe del difensore, è quasi sempre gol. Dopo il pareggio di Zenden, il 2-1 croato arriva in contropiede con i tre più brillanti e continui giocatori della spedizione: inizia Asanovic e Boban rifinisce per il sinistro a effetto di Suker, ancora un gol bellissimo, il numero 6 in sei partite diverse. Il secondo tempo è l'ennesimo show dell'acrobata Drazen (“amato”) Ladic, dodici anni senza infamia e senza lode alla Dinamo Zagabria prima di questa inattesa grande vetrina Mondiale: para tutto, su Kluivert, su Overmars, su Seedorf, e protegge un incredibile bronzo.

 



 

Il giorno dopo tutto finisce col sorriso e con qualche lacrima, rigorosamente nascosta in mezzo ai 70 mila di Piazza della Rivoluzione Francese a Zagabria. Finisce un decennio terribile, in cui in molti hanno dubitato persino della possibilità di una vita normale. In molti, quasi tutti, ma probabilmente non loro, gli sportivi, gli atleti, i ragazzi, i

(“focosi”).

 

 

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