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Marco D'Ottavi
Cristiano, perché?
30 ago 2021
30 ago 2021
L'addio del portoghese lascia molti interrogativi sul tavolo.
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Marco D'Ottavi
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Foto di Nicolò Campo / IPA
(foto) Foto di Nicolò Campo / IPA
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L’ultima immagine è stata un urlo smorzato, un gioia interrotta nel suo picco. Impossibile non trovarci una metafora: tre anni riassunti in una spalla qualche centimetro troppo avanti. Il gesto tecnico perfetto come al solito, ma la sensazione che qualcosa non fosse al suo posto. È stato straniante vederlo passare da quell’esultanza rabbiosa, con i muscoli a esplodere pieni di vita, a una fuga improvvisa altrettanto rabbiosa. L’armadietto svuotato in tutta fretta, l’aereo privato pronto sulla pista. Una presa di posizione capricciosa arrivata con le prime piogge. Non che sia una novità: Ronaldo è fenomeno, ma anche noumeno, quando si mette un’idea in testa è difficile fargliela passare.

La prima domanda - che mi pongo da tifoso ma che credo abbia interesse anche in assoluto - è: perché i giocatori con uno star power enorme, sia sportivo che mediatico, negli ultimi anni finiscono sempre per voler lasciare la Juventus (Zidane, Pogba, Dani Alves, ora Ronaldo)? Forse è quella narrazione storica della società, costruita intorno al concetto di “nessuno è più grande della Juventus”? Non si può dire però che questo sia stato fatto con Ronaldo. Eppure tutte le ricostruzioni si trovano d’accordo solo su un punto: il portoghese si sentiva braccato a Torino, come se l’aria della Continassa fosse pesante, irrespirabile. Cosa non va da quelle parti? La Juventus viene quasi sempre descritta come una società attenta, precisa, capace. Appena ci entri - dicono - capisci cosa serve per vincere, per essere completo come calciatore. Eppure Cristiano Ronaldo è voluto scappare dalla sua posizione privilegiata, da una squadra in cui sceglieva ruolo, compiti e presenze e - secondo quanto sostengono i beninformati e i maligni, che spesso sono le stesse persone - allenatori. E lo ha fatto non per vittorie più sicure, dato che è difficile considerare questo United così più favorito della Juventus sia in campionato che in Champions League. Trovare una risposta a questa domanda da qui è impossibile, ma Agnelli dovrebbe interrogarsi a riguardo, mentre cerca di portare il marchio Juventus sul tetto del mondo.La seconda è: perché proprio ora a pochi giorni dalla fine del mercato? Ronaldo ha visto qualcosa nel volo degli uccelli dalla sua villa sulle colline di Torino? Ha rosicato per il gol annullato? Questa fretta improvvisa è difficile da spiegare. Se voleva davvero così tanto lasciare la Juventus con un anno d’anticipo, non avrebbe potuto capirlo a fine maggio? Viene da pensare che, sottotraccia, Ronaldo e Mendes stessero preparando questa mossa da mesi. Magari bastava interpretare meglio i suoi post più criptici, dare fiducia ai sussurri sibillini, come quando - era ancora il 14 giugno - parlando del suo futuro diceva «quello che viene, sarà il meglio per me».Eppure da quel giorno, Ronaldo ha vinto la classifica marcatori dell’Europeo, si è fatto le sue vacanze, è tornato alla Juventus, si è allenato, giocato amichevoli, segnato un(quasi) gol decisivo. Ha anche contraddetto il suo amico Edu Aguirre, che dalla trasmissione il Chiringuito TV aveva lanciato la bomba che Ancelotti stava spingendo per un suo ritorno al Real Madrid. La mia storia in bianco è finita ci aveva detto, lasciandoci pensare avesse chiuso tutte le porte a un suo possibile trasferimento. Invece forse era un diversivo, come se questa fosse una guerra e la Juventus il suo nemico. Cosa è cambiato allora negli ultimi giorni? Si è ricordato che Allegri è un allenatore reattivo, che sotto i suoi ordini ha avuto la sua peggior stagione realizzativa da 15 anni a questa parte? Possibile. Possibile anche che abbia avvertito vibrazioni negative nel nostro calcio. Che alla sua maniera ci stia avvertendo di qualcosa. Quando è arrivato, tre stagioni fa, la Serie A sembrava - proprio grazie a lui - in rampa di lancio per tornare ai livelli dei campionati migliori, mentre quest’estate è stata un’ecatombe: De Paul, Lukaku, Donnarumma, Hakimi, tutti via. L’Inter che smobilita, e anche Milan e Juventus non è che si sentono troppo bene. Dall’altra parte delle Alpi, invece, il PSG metteva in piedi un superteam e in Premier trovavano i milioni di euro scavando sotto terra. Perché rimanere dove non ci sono le telecamere, deve aver pensato, mentre il suo nemico Messi sorrideva nel suo nuovo vestito blu. Più probabile invece che covasse la voglia di partire già da un po', che un piano a lungo pensato abbia avuto solo una realizzazione rocambolesca. Oggi si dicono tante cose, che la partenza sia dovuta alla sordità della Juventus verso una richiesta di rinnovo, oppure che Ronaldo fosse così insofferente da essersi piazzato sul suo aereo privato senza avere un’offerta, così da costringere Mendes a trovare una soluzione che non c’era, che tutti sapessero tutto da tempo. Forse non è proprio così, forse non tutti sapevano davvero, ma il compito di una società è capire, essere lungimirante, anche subdola. Alla Juventus invece nessuno ha pensato, neanche per un minuto, di provare a dire - vero e falso che fosse - che fossero loro a non essere contenti di Cristiano Ronaldo. Che, va bene Cristiano - posso chiamarti Cristiano? - sei uno dei due migliori giocatori di questo millennio, però la Champions chi l'ha vista? E certo, con te se ne vanno 30 gol l’anno, e nessuno mette in dubbio che siano anche tanti, ma alla Juventus costano pur sempre circa un milione l’uno (quasi due, a volerci mettere le tasse). A un certo punto credo sia legittimo chiedersi se ne vale la pena.Invece niente: hanno lasciato totalmente la forma di questo addio a una persona che non fa certo dello stile il suo punto forte: come pensavano sarebbe andata? In questi mesi chiunque avesse mezzo piede dentro la Continassa ripeteva «Ronaldo resta». Tranquilli, dicevano, siamo tutti contentissimi, lui per primo. Pacche sulle spalle a vicenda e via verso la stagione 21/22. Il primo a parlare di un possibile addio da dentro era stato - assurdo a pensarci - Kaio Jorge. Con l’ingenuità dei suoi 19 anni aveva detto appena qualche giorno fa: «Non so se resta», mentre la posizione ufficiale era di negare tutto. Quando poi Ronaldo ha proprio lasciato il palazzo - e ormai negare era impossibile - davanti alle telecamere è stato mandato Allegri.

Come si racconta l’addio dell’uomo che doveva svoltarti la vita? Con l’ultimo arrivato che con un sorriso a 32 denti va dai giornalisti e racconta come Ronaldo il giorno prima gli avesse comunicato la partenza. «Io vado, ma non perdiamoci di vista» deve avergli detto, mentre in mano reggeva le chiavi della macchina, il portafogli e gli occhiali da sole, pronto sull’uscio. Un immagine meno ridicola solo perché il fatalismo di Allegri in questi casi torna utile: «Se passi a Livorno, fammi uno squillo che ti porto al gabbione», potrebbe avergli tranquillamente risposto. Il resto della società, invece, tace. Un silenzio che stride, che rende la Juventus un personaggio sullo sfondo della grande storia che è la vita del portoghese (come scritto da lui in un post di ringraziamento su Instagram).

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Stride perché invece tre estati fa era stata una festa con tutti - tranne Marotta, che secondo alcuni ha lasciato la Juventus proprio per lui - pronti a metterci la faccia. Lo sbarco di Agnelli in Grecia, il brindisi con tutta la cricca, che per conquistare Ronaldo devi conquistare un sacco di gente. Il giorno della presentazione era sembrato un evento in grado di pareggiare la presentazione del primo Macintosh. Cristiano Ronaldo a lanciare il martello che spezzerà il dominio grigio e totalitario del calcio inglese e spagnolo, in favore di quello tutto colorato dell’Italia. Per i giornali era la notizia del secolo, il Rinascimento ma con le ali che fanno gol al posto degli artisti. Oggi siamo tornati in un’epoca buia? Chissà, lo scopriremo immagino. Il divorzio meschino di questi giorni dimostra che tra Juventus e Ronaldo non è stato amore. Ma non per questo è da buttare (com'è logico che sia): il portoghese ha regalato ai tifosi illusione e concretezza. Illusione di poter diventare altro, e la concretezza nei numeri. Quelli sono saliti tutti: nei follower, negli sponsor, gli introiti, nei gol segnati da uno che indossa la numero 7. È stata una sbornia delle possibilità, che però nei tre anni è passata dal momento in cui sei alticcio alla festa e chiedi un’altro giro al mal di testa del giorno dopo. Perché nello stesso tempo salivano i costi. Per lo stipendio da 31 milioni di Ronaldo, certo, ma anche perché per provare ad andare al suo passo si è seguita una strategia suicida di offrire troppi soldi a giocatori mediocri. Contratti sottoscritti non dal portoghese, va ricordato. Anche sostenere che è colpa sua - e del suo stipendio - se la Juventus non è riuscita più a fare un mercato decente è sbagliato: nel momento della firma non doveva essere certo lui a dire ai dirigenti della Juventus «Non è che state esagerando?». Altri numeri, che sarebbero dovuti salire, non lo hanno fatto per contingenze impossibili da predire. L’avvento di una pandemia non ha aiutato il tentativo della Juventus di conciliare la crescita dei propri conti con la crescita dei propri guadagni e su questo nessuno può farci nulla.

La sicurezza di avere qualcuno pronto a buttare in rete qualunque cosa e poi celebrarla col suo liberatorio Siuuuuuu non tornerà più.

Dal canto suo Ronaldo è sempre stato professionale. I vestiti sempre ordinati, il taglio fresco, l'igiene dentale perfetta. In continuità con il suo spirito individualista non ha mai cercato di allisciarsi le folle. È sbarcato a Torino come un’azienda e a Torino come azienda è rimasto, speriamo pagando più tasse di altre multinazionali. Lecito, rispettabile, ma scomodo per una squadra di calcio. Dal suo arrivo tifare Juventus ha voluto dire tifare Cristiano Ronaldo e la Juventus. Una simbiosi, sì, ma mai una vera unione.Si possono citare mille episodi in cui lo scollamento tra il portoghese e l’idea di Juventus è apparso evidente, in campo e fuori, ma non è questo il posto per mettersi a fare aneddotica. Non voglio negare che il calcio possa essere anche uno sport dei singoli e che, magari, se la dirigenza fosse stata in grado di mettergli a disposizione una squadra migliore staremmo qui a salutare l’eroe che ha portato il popolo nella terra santa. Ma quanta distanza si può accettare? Ronaldo non è mai stato un leader, né un trascinatore. Quando andava bene sembrava un buon amico di Pinsoglio e Bernardeschi; quando andava male arrivavano sbuffi, braccia ai fianchi, scatti di nervi. Di quale fosse il “Problema Ronaldo” in campo ne abbiamo già discusso, di come la sua anarchia abbia tarpato le possibilità dei tre allenatori. Un’idiosincrasia a tutto ciò che fosse per gli altri e non per se stesso ogni giorno più evidente (restando all’aspetto tattico, è stato l’attaccante ad aver pressato meno negli ultimi tre anni in Europa). Certo, in cambio sono arrivati 101 gol in 134 partite. Nessuno aveva fatto meglio in bianconero nello stesso periodo di tempo e, c’è da scommetterci, nessuno farà meglio dopo. Ma i gol possono essere presi in considerazione come entità neutra distaccata dal contesto?

Anche nella notte più bella, la rimonta contro l’Atletico Madrid, era sembrato il suo derby personale più che la Champions League della Juventus.

Indubbiamente l’improvvisa partenza di questo porto sicuro deve far paura. Come ha scritto Alfredo Giacobbe in questo articolo in cui si tirano le file della sua esperienza juventina, “Da quando è alla Juventus, Ronaldo ha segnato il 36% delle reti bianconere. Nessun giocatore in Serie A, nello stesso periodo, ha avuto la stessa incidenza sulla propria squadra”. Allegri non potrà chiedere a Kean di sostituire questa mole di produzione offensiva. Anche a voler essere maligni, a guardare come la presenza di Ronaldo può aver portato gol ma non un miglioramento nel gioco, alcuni numeri rimangono obiettivi. Negli ultimi 6 anni nessuno ha prodotto più xG di lui, né tanto meno segnato di più. Una prima dimostrazione si è avuta nella sconfitta in casa contro l’Empoli. Negli ultimi venti metri i giocatori della Juventus sono sembrati impauriti, incapaci, sconnessi. È facile dire che, con Ronaldo, le cose sarebbero andate diversamente, che il portoghese avrebbe trovato il modo di scrivere 2 nella casella dei suoi gol. Con un tap-in, anche se nessuno ha tirato, con un colpo di testa - volando come sa fare solo lui. Eppure ridurre tutto a i gol di Ronaldo è il classico argomento fantoccio: la produzione offensiva di una squadra non è un’equazione semplice composta dalla somma dei vari interpreti e allo Stadium si sono visti problemi vecchi ormai tre anni, che vanno oltre l’assenza di uno che la butta dentro. Se fosse davvero solo una questione di gol, sarebbe ridicolo preoccuparsi. Come far segnare una squadra con Kulusevski, Dybala, Chiesa, Morata, Kean, Kaio Jorge? Non mi sembra impossibile. Anzi, se vogliamo vedere Ronaldo solo come una macchina che produce gol, la Juventus dovrebbe essere contenta della sua partenza. Ha tolto 30 gol, ma ha aggiunto la possibilità di essere più flessibile, leggera, lanciata verso il futuro. Tutti i nomi qui sopra sono calciatori eccitanti. Alcuni devono dimostrare di essere campioni, altri devono affermarsi come tali. Togliere l’alibi Cristiano Ronaldo non può che fargli bene e vediamo chi saprà salire di livello.Tornare indietro, nel momento in cui un ciclo diventa stagnante è una possibilità. Da qualche anno la Juventus è in bilico tra resistenza e ripartenza, e Ronaldo da solo gli ha dato una bella spinta verso la seconda. Averlo fatto negli ultimi giorni di mercato è un problema: averlo saputo a fine maggio magari avrebbe condizionato la scelta dell’allenatore, del resto del mercato. Ma questo è stato l’ultimo atto del suo estremo egoismo - egoismo che è stato gioia e dolore. Per Jonathan Wilson l’acquisto di Ronaldo è da considerarsi uno dei peggiori affari della storia; io piuttosto mi sento di dire che la sua cessione - improvvisa, scapestrata, fastidiosa - può essere uno dei migliori affari, se non della storia, di quella della Juventus. Un anno nel calcio vale tanto. Se lo sai usare.

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