La stampa inglese non è certo tenera quando c’è da commentare l'egoismo di un vecchio re che non vuole mollare il trono, e quando Cristiano Ronaldo quest’estate, con un colpo di teatro, si è spostato dalla Juventus al Manchester United, la critica è stata caustica. Barry Glendenning, per esempio, ha scritto che Ronaldo non ha alcun ethos di squadra e il suo arrivo in Italia ha reso peggiore la Juventus: «Cosa viene dopo, per Ronaldo, un egomaniaco in declino col bisogno di avere sempre il pubblico ai suoi piedi?». Non ci era andato più piano Jonathan Wilson, storico dello sport che si chiedeva cosa cercava il Manchester United in Ronaldo. Perché per lui era evidente: non c’era alcuna ragione tecnica o tattica, e il suo acquisto si poteva spiegare solo col fatto che il club ormai è diventato una società di intrattenimento: «Ronaldo è un contenuto, e un club d’élite oggi è soprattutto un produttore di contenuti». Più facile iniettarsi la dopamina immediata del suo acquisto, che progettare con pazienza e raziocinio il futuro del club.
Alla base c’è l’idea che Ronaldo avrebbe ormai smesso di essere un fuoriclasse per diventare la storia di sé stesso. Un monumento vivente al successo, l’account Instagram con più followers, l’icona della performatività capitalistica. Ronaldo ti trasforma in una società vincente, l’acquisto di Ronaldo si ripaga da solo vendendo le sue maglie, forse, ma sul lato sportivo? Meglio non chiederselo: l’epica del suo ritorno ai Red Devils era scritta così bene, dal lato comunicativo, che valeva la pena rischiare qualcosa.
Cristiano Ronaldo è una delle persone più suscettibili del pianeta, avrà letto questo tipo di critiche e avrà cercato di trasformarle in motivazioni supplementari per non fallire. Come altri atleti che tirano alla lunga il momento dell'addio - Jordan, Totti, Rossi, Federer - anche Ronaldo è alimentato dall’energia oscura che anima il rifiuto della morte sportiva. I discorsi sul loro invecchiamento, e i loro mancati ritiri, arrivano a un punto per cui, questi campioni, finiscono per diventare postumi a sé stessi. Allora ogni nuovo gesto tecnico serve a sbattere in faccia al mondo che si sbagliava, che il loro talento è fatto di una materia più dura e lucente del diamante, quindi inespugnabile dal tempo.
Ronaldo che segna e poi corre verso la bandierina indicando il suolo: «yo estoy aqui», che è: «ci sono io dalla vostra parte, che è come avere Dio dalla vostra parte»; ma è sempre più: «pensate al mio ritiro ma io sono qui e non me ne andrò mai. Continuerò a segnare gol in ogni modo possibile e immaginabile e voi sarete costretti ad ammirarmi e a trovare nuove parole per misurare la mia grandezza e i miei record».
E così Ronaldo è arrivato al Manchester United, tutto scolpito e levigato come al solito. La pelle lucente come solo quella di una persona con un’eccezionale routine di skincare; qualche addominale in più rispetto alla normale anatomia umana, sorridente abbastanza da sembrare in pace con sé stesso, ma non troppo da perdere la determinazione. Del suo antico talento è rimasta un’unica cosa, però la più importante: il gol.
Ronaldo è diventato un calciatore minimo, scavato di tutto ciò che è innecessario alla sua gloria personale. Ridotto quindi all’unico dettaglio che rimane nei tabellini, nei libri di storia, sui post social delle squadre. Si dice di certi attaccanti che vivano per il gol, e per Ronaldo è vero nel senso più completo possibile: senza il gol la sua presenza in campo sarebbe ingiustificabile, ma senza il gol la sua presenza su questa terra rischierebbe di diventare ingiustificabile, almeno per lui, visto lo stato emotivo, disperato, con cui ricerca il gol nelle sue partite. Ogni gol mancato, una coltellata al centro del cuore, ogni gol segnato il sollievo più della felicità. Ronaldo ha l'aria di uno di quei demoni dannati da un’unica ossessione, che vivono come un giogo e non come un piacere. Senza quella ossessione sarebbero liberi di scomparire, finalmente in pace.
All’esordio col Manchester United, contro il Newcastle, dopo 12 anni e 118 giorni dall’ultima partita giocata coi Red Devils, Cristiano Ronaldo è entrato in campo facendo uno di quei suoi salti da cavalletta dallo scopo dimostrativo. E poi, come se niente fosse, ha segnato. Greenwood ha fatto un tiro centrale ma insidioso, il portiere ha respinto corto, e Ronaldo si è trovato lì a spingerla dentro, e quasi non ci credeva che il caso, il sesto senso, il divino, o qualsiasi cosa con cui è in rapporti, gli avesse messo sui piedi un’occasione così facile. Ride con la lingua di fuori e poi esulta col SIUUU, al contempo statua e meme di sé stesso, a seconda degli occhi di chi guarda.
Nella stessa partita ha segnato un altro gol, in quella dopo un altro, e poi non ha più segnato in campionato per un po’. Ma in Champions League continuava a segnare, ritoccando di volta in volta il suo astronomico record di segnature europee. Un uomo che è l’incarnazione dell’epica della Champions; nel riflesso di quanto ci tiene possiamo rassicurarci dell’importanza della competizione.
Di questi gol, però, cosa rimaneva? La sensazione che il Manchester United in fondo avesse grossi problemi. Impantanato a metà della classifica, disfunzionale in modo patologico, a un certo punto è diventato inevitabile suggerire l’esonero di Ole Gunnar Solskjaer. Ma per qualcuno il problema non è Solskjaer ma Ronaldo. O meglio: il fatto che Ronaldo sia ormai un giocatore inallenabile, in grado di divorare le squadre in cui gioca, ridurle a sacrificio del proprio successo personale. Secondo Michael Cox su The Athletic il portoghese appesantisce il Manchester United di un enorme problema tattico.
Nell’articolo pubblica uno specchietto statistico tratto da Statsbomb impietoso. Ronaldo è di gran lunga l’attaccante che porta meno pressioni in Premier League: la metà del penultimo. Su Fbref si può leggere che Ronaldo è nell’1% di attaccanti che portano meno pressioni. Ciò non significa che Ronaldo pressa poco, ma che non pressa affatto. O addirittura: che Cristiano Ronaldo in realtà non corre proprio, che rifiuta di portare qualsiasi tipo di pressione agli avversari. In un calcio più primitivo di quello contemporaneo, sarebbe pure tollerabile, ma oggi come si fa a schierare razionalmente una squadra costretta sempre a difendere con un uomo in meno?
Come successo anche alla Juventus, e al Portogallo, e in parte al Real Madrid, Ronaldo ha inaridito e sfaldato qualsiasi senso di squadra attorno a sé. La struttura del Manchester United ha dovuto adattarsi a questo strano essere umano, in grado di far coesistere in modo paradossale eccellenza e inefficienza. E non ci è riuscita benissimo, a coprire le falle lasciate da Ronaldo nello schieramento difensivo. Con lui in campo, qualcun altro deve finire in panchina, e in genere tocca al fiore all’occhiello del mercato, Jadon Sancho, o allo sfortunato Edinson Cavani, una vita passata all’ombra di attaccanti più egocentrici di lui.
Eppure, come un corpo tossico, il Manchester United ha nella droga Ronaldo l’origine dei suoi problemi e la sua soluzione temporanea. Il disordine tattico che Ronaldo porta, viene risolto da Ronaldo stesso coi suoi gol. E la sua capacità di fare gol - ma anche di costruirsi tiri ed essere pericoloso in generale - rimane sovrannaturale.
Ieri sera l’Atalanta ha giocato una grande, enorme partita. È stata la squadra a controllare meglio gli spazi, il pallone e le variabili tattiche. Dopo 11’ è passata in vantaggio scardinando il blocco basso degli avversari con una semplicità ridicola. Poi ha continuato a giocare serenamente. Il Manchester United ha attaccato in quel modo casuale che la fa sembrare una stanza in disordine: facendo ronzare i tre giocatori offensivi, più Pogba, intorno all’area di rigore, sperando che trovino spontaneamente un’associazione vincente. Sperando che la massa di talento che possono schierare finisca per schiacciare gli avversari. A fine primo tempo, in effetti, è successo, con un’azione bellissima fatta e finita da Bruno Fernandes e Ronaldo. Bruno che si inserisce, e poi col tacco scarica al connazionale. Ronaldo che se la porta avanti con un piccolo tocco di suola, prima di segnare col piatto destro.
La partita ricomincia con le stesse dinamiche. L’Atalanta a suo agio nella difesa posizionale, che per attaccare si appoggia al preciso gioco di passaggi di Koopmeiners, o alla capacità di Duvan Zapata di caricarsi il mondo sulle spalle; l’Atalanta che segna di nuovo, con un gol di Zapata prima annullato per fuorigioco e poi convalidato al VAR. Poi l’Atalanta che difende quel singolo gol di vantaggio cercando di far cuocere il Manchester United nella sua inefficacia, nel suo disordine, nella sua incapacità di attaccare in modo davvero collettivo. Nessuna sfida europea presenta un conflitto tanto didascalico, tra una squadra che è un corpo unico e un’altra che è un ammasso di corpi. E Cristiano Ronaldo, il miglior corpo in circolazione, cosa faceva nel frattempo?
Emilio Andreoli/Getty Images
Si muoveva come pareva a lui. Per un po’ ha fatto persino il riferimento centrale, sporcandosi nel gioco spalle alla porta come mai aveva concesso alla Juventus. In altri momenti si auto-confinava mesto mesto sulla fascia, sgonfiato di qualunque energia psichica. Nulla lasciava presagire quello che poi è successo, quando Ronaldo ha raccolto come Sisifo l’ennesima palla con l’esterno sulla fascia sinistra.
E poi ha iniziato la sua piccola danza di micropassetti. L’azione si è incartata nel caos sciatto di un attacco finale, ma poi la palla è tornata a Ronaldo, ed è nato uno di quei momenti decisivi che Ronaldo riesce a creare come inventando il fuoco ogni volta. Si capiva, quando la palla gli è tornata tra i piedi, che Ronaldo voleva tirare: ha abbassato la testa come un ariete mentre convergeva lasciando che gli avversari gli collassassero addosso. Ci sono troppe gambe, troppi corpi, troppa frenesia di segnare e non far segnare, che fa impennare la palla al limite dell’area dell’Atalanta. Questa palla che rimane a mezz’aria senza padrone, che poi Greenwood sfiora con un tocco malizioso, un passaggio forse, oppure un controllo abbozzato.
Ci accorgiamo con un attimo di ritardo, che la palla si è alzata per Cristiano Ronaldo, come si fa a “tedesca”. All’improvviso, il fatto che fosse lì, in quel preciso e anonimo punto del campo, ha senso: Ronaldo tira col collo, schiacciando la palla a terra, cercando di farla correre dritta verso l’angolo lontano della porta. Con quella tecnica di coordinazione così classica che è strana da vedere animata nel suo corpo ipertrofico. E segna ancora, prendendo ancora possesso di una partita che non sembrava sua.
Sono passati solo pochi giorni, da quando Cristiano Ronaldo con un collo pieno simile per tecnica balistica aveva annientato il Tottenham, nel derby delle squadre apocalittiche. Sono passate un paio di settimane dalla partita d'andata contro l'Atalanta, quando di nuovo lo spazio-tempo della partita si era ristretto fino al suo unico, gigantesco momento di grandezza. A dieci minuti dalla fine era saltato di testa per segnare il gol del 3-2 che aveva suggellato la rimonta.
Ogni volta Ronaldo ribadisce questa legge semplice: che fin quando è in campo non smetterà di trovare le strade più oscure e perigliose per arrivare al gol. Ma cosa si perde, nel frattempo? Quel dorato tiro al volo nei minuti di recupero è stato permesso da tutto ciò che lo ha preceduto: i mancati pressing, le passeggiate, la minimizzazione del lavoro atletico durante una partita di calcio. Ronaldo rinuncia ormai a tutto per un singolo momento di splendore, e il Manchester United rinuncia alla sua identità collettiva per permettere al suo miglior individuo di brillare. Nessun giocatore ha mai posto un trade-off tanto radicale, e nel mezzo è difficile capire se il gioco vale la candela.
Ronaldo è il miglior giocatore della sua squadra, ma la squadra è peggiore dello scorso anno. Mentre il gioco del calcio continua ad avanzare verso una complessità e una sofisticatezza sempre maggiore, Cristiano Ronaldo ne continua a ricordare la semplicità. La mistica con cui comanda i bivi decisivi dei match è brutale, edonistica, viziosa. Tutto il contrario della razionalità con cui un club si costruisce, con cui una squadra prepara le partite e organizza i propri successi. Il Manchester United continuerà a sbrindellarsi nei propri problemi, nell’inconciliabilità dei propri talenti, ma Cristiano Ronaldo probabilmente rimarrà lì a fare - come ha ricordato Rio Ferdinand dopo il match - la cosa più difficile del gioco: il gol.
Tutti i discorsi saranno azzerati, e noi, come sempre, ci ritroveremo ancora a esistere nell’universo modellato da Cristiano Ronaldo.