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Sport Gianluca Ciucci 13 luglio 2016 12'

Cos’è il doping meccanico

I motorini nelle biciclette sono l’ultimo scandalo nel ciclismo professionistico, come si è arrivati a tanto.

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I dati raccolti dall’Automobil club (ACI) in base a statistiche Istat dicono che le strade più pericolose per i ciclisti sono l’Aurelia (in particolare un tratto di 30 chilometri in provincia di Savona), l’Adriatica, la Padana Superiore e la Via Emilia. Centinaia di morti e decine di migliaia i feriti rimasti sull’asfalto. Vi è poi un’altra strada pericolosa che il ciclismo, amatoriale e, si sospetta sempre più, professionistico, ha imboccato da qualche anno. Una strada che non lascia vittime a terra, ma che rischia di dare il colpo di grazia ad uno sport che negli ultimi due decenni ha visto calare pericolosamente gli appassionati. Parliamo della via del doping meccanico.

 

Chi sta seguendo il Tour de France si sarà accorto che nella colonna dei “suiver” (in gergo quelli che seguono la corsa) ci sono anche uomini dotati di telecamere termiche. Si tratta dell’ultima iniziativa, messa in campo dal ministero dello Sport francese in collaborazione con il Cea (commissariato per l’Energia atomica), per scovare i motorini elettrici nelle bici dei corridori, anche quando non sono in azione. A tale iniziativa si sommano i 3000-4000 controlli attraverso tablet che l’Uci (Unione ciclistica internazionale) ha predisposto per le tre settimane della Grande Boucle.

 

«Da mesi abbiamo lanciato un messaggio chiaro per dire che non c’è spazio e modo di imbrogliare in questo modo. Chi lo fa è uno stupido – ha spiegato il presidente dell’Unione ciclistica, Brian Cookson – Una bici modificata, infatti, è facilissima da ispezionare con i nostri scanner che continueremo a usare intensivamente durante il Tour e per il resto della stagione». Parole e una task force niente male per contrastare un problema che per anni, come vedremo, non si è considerato tale e che lo stesso Cookson negava alla vigilia della Milano-Sanremo (19 marzo scorso) : «Non credo che qualcuno utilizzi davvero i motorini. Sarebbe un danno grave quanto il doping».

 

Mentre la stagione 2016 è entrata nel vivo, sul ciclismo professionistico si addensano le nuvole nere del sospetto. A soffiare sul fuoco delle polemiche arriva un reportage andato in onda sulla Tv francese France 2 e intitolato “Moteur, ça tourne”, del giornalista Thierry Vildary. Il video mostra le prime immagini in assoluto di motori nascosti all’interno delle bici in corse professionistiche e rilevati da telecamera termiche utilizzate in moto o a bordo strada. La telecamera lavora sulla differenza di temperatura tra la bici e il calore prodotto dal motore, che lavora tra ai 40 e i 200 watt. Nel reportage anche un estratto di un filmato inedito realizzato subito dopo l’arrivo della tappa di Verbania del Giro d’Italia 2015, vinto da Alberto Contador su Fabio Aru.

 


 

Pochi minuti dopo l’arrivo l’Unione ciclistica internazionale (Uci) effettua un controllo a sorpresa sulla bici dello spagnolo, discusso per un misterioso cambio di bicicletta del giorno precedente, nel documentario si vede un Mario Cipollini piuttosto contrariato dalla prassi di Contador. La bici viene sigillata con una fascetta e portata dietro al palco delle premiazioni, dove l’Uci ha predisposto una tenda accessibile solo agli ispettori. Le immagini mostrano Faustino Munoz, storico meccanico del Pistolero, armeggiare attorno alla ruota della sua bici e all’orologio che portava al polso. E poi, con una seconda telecamera nascosta, gli strumenti di controllo usati nella tenda: un martello con cui lo stesso Munoz smonta il movimento centrale davanti a un ispettore distratto. La ruota non viene nemmeno toccata, eppure anche lì si può nascondere il trucco.

 

Nel finale del doc, infatti, lo scienziato-stregone ungherese Istvan Varjas mostra un oggetto diventato mitologico: la ruota a induzione magnetica. È una carcassa in carbonio con inserite all’interno placche magnetiche al neodimio. Grazie a un “ponte” generato da un magnete a spire nascosto sotto la sella, permette di guadagnare almeno 60 watt (che significa un sesto della potenza massima sprigionata da un ciclista di circa 60 kg al massimo dello sforzo). La ruota, spiega Varjas, non è rintracciabile ai controlli se non si usa un rilevatore di campo potentissimo. Costa oltre 50 mila euro ed è nella disponibilità di pochissimi atleti.

 

Sempre nel documentario francese vengono mostrate immagini registrate con una telecamera termica che dimostrerebbero come sette partecipanti alla Strade Bianche di Siena e alla Coppi & Bartali di Riccione abbiano corso con motorini elettrici nascosti nel telaio. In cinque casi i motorini erano nel movimento centrale e spingevano sui pedali. In due nel pacco pignoni, per fornire trazione posteriore alla bici. La telecamera termica mostra sensibilissime variazioni di temperatura: gli esperti interpellati la spiegano solo col calore generato da un motore.

 

Quest’anno tra i fiori ha vinto l’outsider Arnaud Demare, tra sorprese e polemiche

 

Il 19 marzo, alla vigilia della Milano Sanremo che storicamente apre la stagione ciclistica internazionale, Brian Cookson, presidente Uci, ha detto alla Gazzetta: «Non credo che qualcuno utilizzi davvero i motorini. Sarebbe un danno grave quanto il doping».

 

 

Senza fine

 

A quasi vent’anni dai primi sospetti di doping sugli atleti delle due ruote, sospetti che si rivelarono giusti nel 1998 con lo scandalo Festina che travolse una delle squadre internazionali più vincenti di quegli anni e che fece conoscere a tutti l’eritropoietina, l’Epo, entrato di prepotenza nel vocabolario di cronisti e appassionati, oggi a destabilizzare un mondo ancora ferito da ciò che è stato, arriva il sospetto del motore.

 

Non più la paura che il motore umano sia truccato con sostanze proibite e pericolose ma che ce ne sia un altro di motore, all’interno dei mezzi meccanici sempre più sofisticati ed evoluti. I sospetti sono diventati certezze il 30 gennaio scorso quando, ai Mondiali di ciclocross di Zolder in Belgio, la diciannovenne ciclista belga Femke Van Den Driessche è stata trovata in possesso di una bici effettivamente dotata di un vero e proprio motore elettrico. Sul caso della giovane belga c’è poca chiarezza e molte speculazioni.

 

Come è possibile barare? così.

 

Incastrata con tecnologie sofisticate, annuncia l’Uci. Beccata dalla polizia che indagava su altro, spiegano fonti giudiziarie. L’Uci utilizza il caso per sbandierare l’efficienza dei controlli, messa in discussione da Jean-Pierre Verdy, direttore uscente dell’Agenzia francese antidoping: «Lo scorso luglio ci arrivarono informazioni attendibilissime sull’uso di motori al Tour, con nomi e cognomi di atleti top. Avvertimmo l’Uci: nessuna risposta, nessun controllo». La bici non risulta essere stata utilizzata in gara ma è stata trovata fra quelle a disposizione di Van Den Driessche. È il primo caso del genere nel ciclismo professionistico, sebbene della tecnologia in questione si parli già da diversi anni.

 

La data del 26 aprile 2016 è di quelle da segnare in rosso nella storia del ciclismo mondiale, infatti la 19enne belga si è vista infliggere sei anni di squalifica, una multa di 20.000 franchi svizzeri e il pagamento delle spese del procedimento oltre, alla restituzione di medaglie e premi in denaro ricevuto nel periodo coperto dalla squalifica. La squalifica di Femke parte dall’11 ottobre 2015 e termina il 10 ottobre 2021 e quindi copre anche il campionato europeo under 23 di ciclocross vinto il 7 novembre in Olanda a Huijbergen. Femke Van Den Driessche diventa così la prima ciclista a subire una condanna per il nuovo illecito di frode tecnologica.

 

 

Van Den Driessche ha terminato la gara valida per il Mondiale ciclocross under 23 al 28esimo posto, ma questo non ha fatto cambiare idea all’Uci, che voleva una pena esemplare di fronte alla marea di sospetti che non farà altro che allargarsi, Femke o non Femke. La ciclista belga è stata stangata dal punto di vista della squalifica, poiché il periodo minimo previsto per la frode tecnologica è di 6 mesi, ma le è andata “di lusso” economicamente: le multe vanno da 19 mila a 192 mila euro, nonché sanzioni pecuniarie anche più pesanti per la squadra di appartenenza (fino a un milione di franchi svizzeri).

 

Curiosamente la Van Den Driessche a Zolder è stata smascherata nonostante non sia riuscita a concludere la prova iridata. Infatti, partita dalla prima fila ha completato in sella tre dei quattro giri previsti nella gara: nelle prime due tornate è stata in 10ª e 12ª posizione, nella terza è scivolata alla 28ª, ha tagliato il traguardo a piedi spingendo la bici. Con una mossa apparentemente di scarsa rilevanza, ma che rende le cifra di quanto accaduto, l’account Facebook di Femke è stato subito sospeso e da quel giorno mai più aggiornato.

 

Ora aspettiamo che l’azienda produttrice, l’italiana Wilier Triestina, che aveva comunicato di voler sporgere denuncia nei confronti della ciclista belga se le fosse riconosciuta una violazione per “frode tecnologica”, adisca le vie legali. Van Den Driessche si è difesa dicendo che la bicicletta sequestrata dagli ispettori non è sua, ma di un amico che aveva provato il percorso prima della gara e poi ha lasciato la bici con il motore tra quelle della sua squadra. Tornata alle corse in patria il primo aprile Femke, che è ancora in attesa della decisione dell’Uci, ha fatto delle dichiarazioni che fanno pensare a un’ammissione di colpa.

 

In principio era Gruber che «permette di raggiungere mete che altrimenti sarebbero raggiungibili solo con enorme sforzo».

 

La tecnologia che si sospetta usata è l’evoluzione di quello che si chiama Vivax Assist, che è a sua volta l’evoluzione del Gruber Assist, un prodotto conosciuto già nel 2010 e che era anche in vendita per poco più di 2mila euro. Il Vivax Assist funziona più o meno come il motore di una bicicletta elettrica, solo che lo fa in maniera invisibile, occupando molto meno spazio: il piccolo motore a batteria può essere nascosto facilmente nel telaio della bicicletta. Il motore pesa circa 2 chili e può essere azionato da un pulsante collocato sul manubrio, vicino alla leva dei freni. Il Vivax Assist può generare una potenza di quasi 200 watt: più che sufficiente a un corridore professionista per staccare, senza il minimo sforzo, tutti i suoi rivali.

 

Uno dei primi esperti a mostrare e spiegare il funzionamento di un motore di quel tipo è stato Davide Cassani, ex ciclista, ex commentatore Rai e attuale commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo. In un video del 2011 Cassani afferma che una bicicletta dotata di una tecnologia simile esiste dal 2004 e che l’ha ricevuta da un meccanico, che gli ha detto di sapere che alcuni ciclisti professionisti l’avevano usata in gara. «Vi potrei dire che se io corressi con questa bicicletta potrei vincere delle tappe al Giro d’Italia, nonostante abbia cinquant’anni», dice Cassani in quel video.

 

L’originale del video Rai con Cassani ripreso come prova da France 2.

 

Su YouTube esistono diversi video che secondo alcuni provano l’uso di biciclette truccate. Già nel 2010 fece molto discutere un video che mostrava delle improvvise accelerazioni in alcune corse del ciclista svizzero Fabian Cancellara, ma anche in quel caso non c’erano abbastanza elementi per dire con certezza se era Cancellara a essere particolarmente forte o se era la sua bicicletta a essere truccata.

 

Qui Michele Bufalino costruisce la sua accusa contro Cancellara, il video è stato visto più di un milione di volte e ha dato una certa notorietà al giornalista.

 

Cancellara nel 2010 vinse la Parigi-Roubaix e il Giro delle Fiandre, ma entrambe le vittorie sono state contestate dalle accuse partite da un video di YouTube messo insieme dal giornalista Michele Bufalino partendo dal servizio di Cassani andato in onda su Rai Sport. Il video mostra il funzionamento di una bicicletta in tutto simile a quelle usate dai ciclisti, ma con una piccola aggiunta: un piccolo motore di 22 centimetri infilato nella canna in grado di far girare le ruote da sole. Di seguito vengono date letture delle performance di Cancellara nelle classiche del Nord di sei anni fa che, seppure piuttosto drastiche, non hanno riscontro ufficiale.

 

Un altro momento che ha lasciato molti interdetti riguarda il ciclista canadese Ryder Hesjedal, vincitore del Giro 2012. Siamo alla settima tappa della Vuelta 2014, Hesjedal cade in una curva a sinistra, scivola per qualche metro sul fianco sinistro con il pedale destro agganciato. Poi, quando è praticamente fermo, si sgancia e appena la ruota posteriore tocca terra la bici riprende repentinamente velocità. Compie un giro di 180° con la leva del freno sinistro a terra che fa da perno, quello che i motociclisti chiamano “burnout”, bloccato dall’impatto contro la moto di un cameraman che gli passa sopra mentre il canadese cerca goffamente di riacciuffare la sua bici.

 

Senza contare che in quella curva piuttosto stretta i ciclisti sono in frenata.

 

Dalle immagini è impossibile stabilire con assoluta certezza se la bici fosse o meno motorizzata. In quei giorni Hesjedal è vicino al ritiro, ha 34 anni e da due non vince una gara, a voler essere maligni lo stesso trionfo al Giro 2012 non appare consono al suo rango di buon corridore, ma non eccelso. Eppure in quella tappa arriva secondo, e addirittura si aggiudica la quattordicesima, una delle più dure con traguardo in salita. La sua squadra è la Garmin-Sharp di Jonathan Vaughters, prima ex compagno di Lance Armstrong poi grande accusatore, che sventola l’etica come una bandiera.

 

 

Uragano

 

Altro corridore a finire nel mirino di questa nuova anti doping è stato Chris Froome al Tour della scorsa estate. Il ciclista keniano dal 2012 è visto con ammirazione e sospetto, da quando cioè arrivò secondo al Tour da quasi sconosciuto, vincendolo l’anno successivo, dapprima con l’accusa di aver fatto uso di sostanze proibite (mai trovate in nessuna analisi) e successivamente per il trucco del motore (anche qui senza risultati). Di certo c’è che l’azione di Froome ha qualcosa di eccezionale: riesce a raggiungere la frequenza mostruosa di 100 pedalate al minuto in salita. Una novità assoluta.

 

Sul Mont Venotux alla quindicesima tappa del Tour de France 2013 il mondo conosce la velocità di Froome.

 

Questa pedalata è stata ribattezzata “a mulinello”: non è bella da vedere, sembra quasi che Chris pedali a vuoto, come quando si prova a pedalare in discesa, ma è estremamente efficace. Quando Froome ha scelto di “azionare il mulinello”, aumentare la frequenza di pedalata e staccare gli avversari, ci è quasi sempre riuscito, con ottimi risultati. L’ultima e più evidente prova dell’efficacia della sua pedalata è stata la decima tappa del Tour 2013, corsa il 14 luglio sul Mont Ventoux. Successivamente sono successe alcune cose: tutte hanno a che fare con i sospetti su Froome e il doping, compreso quello meccanico.

 

Il 15 luglio, giorno successivo alla vittoria del ciclista Sky, vengono condivisi online due video che mostrano alcune immagini televisive del britannico mentre fa due importanti salite, a cui sono stati sovrapposti i valori fisiologici e i dati tecnici sulle sue prestazioni (frequenza cardiaca e di pedalata, potenza espressa). Non è chiaro se i valori mostrati in quei video siano veri e attendibili: si sa però che il 14 luglio il team manager della squadra di Froome, la Sky, ha detto: «Siamo convinti che ci sia stato un attacco di pirateria informatica e che qualcuno abbia copiato i valori di allenamento e la scheda di Chris. Il nostro ufficio legale sta lavorando sulla questione». Si è parlato soprattutto di uno dei due video, quello che mostra la ormai famosa ascesa di Froome al Mont Ventoux.

 

La potenza sviluppata da Froome non si è mai vista prima.

 

Il video è stato molto discusso: presenta valori sorprendenti (nessuno ne ha mai certificato l’autenticità), ma non sufficienti per provare che Froome faccia uso di doping. Sono valori alti, eccezionali – per certi versi straordinari – ma non necessariamente impossibili. I dati si sono anche mostrati in linea con quelli analizzati nel 2013 dal quotidiano sportivo francese l’Equipe: già allora la Sky aveva deciso di fornire al giornale i dati relativi alle prestazioni di Froome, e l’Equipe li aveva giudicati “coerenti”.

 

Le immagini del Mont Ventoux tornano in voga due anni dopo quando, sempre alla decima tappa (stavolta da Tarbes a La Pierre Saint Martin, Froome piazza un’altra prestazione disumana. Il canale televisivo francese France 2 diffonde un nuovo video in cui ipotizza alcuni valori fisiologici del ciclista britannico e Pierre Sallet, esperto di antidoping, commenta quei dati (stimati, non reali). L’esperto dice di Froome: «Le sue prestazioni non sono fisiologicamente spiegabili». Secondo France 2, nel percorrere in poco più di 41 minuti i 15,3 chilometri dell’ultima salita della decima tappa, Froome aveva raggiunto una potenza pari a 7,04 watt per chilo: un valore troppo alto, mai raggiunto da nessun altro ciclista in simili condizioni di pendenza e sforzo.

 

I dati fisiologici secondo Sallet-France2.

 

Martedì 21 luglio, durante uno dei due giorni di riposo del Tour de France, la Sky organizza una conferenza stampa in cui Kim Kerrison, responsabile delle performance dei corridori della squadra, comunica quelli che dice essere i veri dati su Chris Froome durante l’ultima salita della decima tappa: sui 15,3 km della salita, Froome ha impiegato 41’28”, con una potenza media di 414 watt e una velocità ascensionale media (Vam) di 1602 metri/ora. Chris pesa 67,5 kg, ha espresso una potenza media di 5,78 watt/kg. Ha usato il 52/38 davanti, 11/28 dietro. Cadenza media di pedalata 97 al minuto, battito cardiaco medio 158 e massimo 174. La potenza massima espressa da Froome in salita è stata di 929 watt.

 

In sintesi, la tesi della Sky è semplice: i dati di France 2 sono “profondamente sbagliati” e di conseguenza lo sono anche le analisi di Sallet. Team Sky spiega che l’errore principale e più evidente riguarda il peso di Froome: France 2 ha ipotizzato che fosse superiore ai 70 chilogrammi, la Sky sostiene che Froome (che è alto 1 metro e 86 centimetri) pesa, dopo due settimane di Tour de France, 67,5 chilogrammi. Nelle stime di France 2 «ci sono stati anche altri errori, su questioni più tecniche».

 

I dati fisiologici secondo Kim Kerrison.

 

Due giorni dopo la conferenza del team Sky, il Guardian scrive che il motore elettrico nel ciclismo è quello che il mostro di Loch Ness rappresenta per il mondo naturale. Ed è vero che ogni volta che si sono fatti controlli su corridore e mezzo non si è trovato niente di illegale. È anche vero che in seguito alle polemiche sulla tappa di Mende e alla tazza di urina che Froome ha ricevuto in faccia da un tifoso, il “mulinello” è scomparso. Nairo Quintana ha recuperato terreno sulla maglia gialla fino alla penultima tappa dove, complice un taglio del percorso a causa di una frana, non gli è riuscito il sorpasso in classifica generale.

 

Nulla che non rientri nel normale agonismo di una competizione sportiva lunga e sfibrante come è la più grande corsa a tappe del ciclismo, ma è anche vero che il ciclismo ci ha abituati in un ventennio a non mettere la mano sul fuoco per nessuno, oltre ad aver inacidito l’umore di tanti appassionati. E proprio a tal proposito risuona grottesca la battuta che Lance Armstrong dedicò al suo ex compagno di squadra Floyd Landis, che continuava ad accusarlo di doping massiccio ancora nel 2010, proprio nei giorni in cui Fabian Cancellara piazzava i suoi scatti eccezionali nelle classiche di primavera: «Landis è un bugiardo, quando assaggi del latte per scoprire se è acido, non ti serve bere tutta la busta».

 

 

Tags : alex schwazerciclismodopingmotori

Gianluca Ciucci è giornalista professionista. Nella vita precedente ha insegnato italiano, precariamente, in scuole medie e istituti professionali. Scrive di pallacanestro per il Corriere adriatico e di utopia su Vaielettrico.it.

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