Cosa tenere d’occhio nel 2017
Le 40 questioni che sono già sul menù del nuovo anno.
- Chi sono i giovani ciclisti da tenere d’occhio per l’anno nuovo?
In questi anni si sta compiendo un profondo ricambio generazionale dopo il dominio incontrastato di alcuni grandi campioni. Dopo aver annichilito tutti i possibili oppositori della generazione immediatamente successiva alla loro, Cancellara e Boonen hanno già ceduto lo scettro di Re del Nord a Peter Sagan, poi sarà il turno di Contador, alle prese con l’ultimo disperato assalto al Tour de France. E così, insomma, le vecchie glorie stanno lasciando spazio alle nuove leve.
Per le Classiche faccio un solo nome: Julian Alaphilippe, francese classe ‘92. Nel 2015 ha sorpreso tutti finendo 2° alla Liegi-Bastogne-Liegi, l’anno scorso ha buttato buona parte della sua preparazione per colpa di una mononucleosi ma è comunque riuscito a fare un’ottima campagna nelle Ardenne. Quest’anno è il suo anno: Valverde non durerà in eterno, Gilbert è il fantasma di se stesso già da un paio d’anni, e per sua fortuna il suo calendario si intreccia solo in parte con quello di Peter Sagan.
Per le grandi corse a tappe occhio a Miguel Angel Lopez, classe ‘94, l’ultimo ritrovato di un ciclismo colombiano in grande crescita, capace di vincere Milano-Torino e Giro di Svizzera nel 2016. Quest’anno è chiamato a confermare le enormi aspettative su di lui compiendo un ulteriore salto in avanti. In seconda battuta da tenere d’occhio Louis Meintjes (‘92, ma è già al punto in cui deve decidere se diventare un Contador o un Caucchioli) e Pierre Latour (‘93, giovane scalatore francese in rampa di lancio. Per dove non si sa, ma comunque lo teniamo d’occhio).
E gli italiani? Purtroppo sono pessimista. L’Italia ha saltato una generazione nell’immobilismo totale della FCI. Le giovani promesse sono ancora acerbe, e quelle già maturate non stanno mostrando i risultati sperati. Aru e Felline potrebbero conquistare buoni risultati nei rispettivi campi, ma a 26 anni suonati non mi sento di definirli “giovani promesse”. Gianni Moscon (‘94) potrà forse togliersi qualche soddisfazione, ma è solo al secondo anno fra i professionisti, in una squadra, la Sky, intasata di capitani per ogni terreno, e ancora deve ben capire se concentrarsi sulle Ardenne o sul Pavé per il futuro.
Discorso opposto per Giulio Ciccone (‘94 anche lui) che invece correndo nella Bardiani-CSF avrà poco spazio a disposizione per dimostrare il suo valore nelle corse che contano. Ma almeno per una volta voglio essere fiducioso.
- Riuscirà Milano nell’impresa impossibile di scucirsi il tricolore dalla maglia?
Quando si corre soli, l’unico vero rischio di non tagliare il traguardo consiste nell’inciampare sui propri passi. Questa è la storia recente e il destino immediato dell’Olimpia Milano, corazzata che solca i mari placidi di una Serie A al cui orizzonte s’intravede poco più di una manciata di navi pirata agguerrite, pronte a dare battaglia ma in grado al limite di scalfire la murata in acciaio su cui è inciso il simbolo EA7. Nonostante i rinnovati psicodrammi — ormai caratteristica patogenetica peculiare dell’organismo Olimpia, dalla grottesca gestione della querelle Gentile ai consueti, schizofrenici tentativi di sistemare in corsa un roster rivelatosi disfunzionale dopo nemmeno tre mesi di campo — ipotizzare un naufragio tra le secche della post-season risulta un azzardo eccessivo.
L’organico a disposizione di coach Repesa, certamente discutibile quanto a coesione e omogeneità, non trova termini di paragone adeguati tra le dirette inseguitrici dell’attuale classifica. La fisicità, il talento dei singoli e la lunghezza delle rotazioni rendono difficile immaginare che Milano possa perdere quattro volte nel giro di dieci giorni contro le volenterose Reggio Emilia, Venezia o Avellino di turno. In assenza di antagoniste all’altezza delle imprese storiche riuscite per metà ad una Siena ormai prossima al fallimento nel 2014 e per intero alla Sassari corri & tira di Meo Sacchetti l’anno successivo, lo scenario più probabile è che a giugno possano partire i festeggiamenti per il 28° scudetto biancorosso. Sarà il terzo dell’epoca Armani, tra i più annunciati di un ultimo decennio già di per sé piuttosto monotono. Quanto all’affermazione a livello europeo e, ancor di più, al ruolo di guida di un movimento in costante crisi, per l’Olimpia si prospetta invece un’altra stagione di sonore bocciature.
- Riusciranno i New York Yankees a tornare grandi?
La stagione che verrà potrebbe finalmente segnare il ritorno ai massimi livelli dei New York Yankees. Dopo I fasti degli anni a cavallo del millennio (6 volte alle World Series e 4 vittorie tra il ’96 e il ’03), nella decade successiva i Bronx Bombers sono andati via via spegnendosi. Certo non sono mancati quasi mai i playoff e nel 2009 è arrivato un altro titolo. Ma gli addii di Jeter e Rivera, solo per citarne alcuni, e l’inevitabile declino causa invecchiamento delle altre stelle, hanno finito per causare il collasso delle ultime stagioni, culminate nell’unica apparizione nella post season (2015 sconfitta nel wild card game contro Houston) degli ultimi quattro campionati.
L’anno scorso però è arrivata l’inversione di tendenza con l’inizio del processo di ricostruzione. Hanno lasciato A-Rod e Texeira, ad agosto sono stati ceduti Beltran e Miller. A novembre se n’è andato anche McCann. In compenso si è rivelata la stella Gary Sanchez, 20 home run in 53 partite per il 24enne catcher dominicano alla prima stagione in Mlb. Lui insieme a Didi Gregorius, Greg Bird (fuori per infortunio durante tutto il 2016) e Aaron Judge, rappresentano la linea verde, potenzialmente fortissima, su cui il manager Joe Girardi è pronto a scommettere. L’innesto del veterano Matt Holliday e il ritorno del closer Aroldis Chapman possono far volare la squadra, il cui unico punto interrogativo resta la rotazione dei partenti nel quale, l’unico punto fermo resta Masahiro Tanaka.
I sogni del 2017, che ogni tifoso di baseball vorrebbe vedere avverarsi, sono due. Il ritorno in campo di A-Rod, che virtualmente è ancora sotto contratto con gli Yankess, magari per dare una mano nelle fasi calde della stagione. E ovviamente la finale del secolo contro i Chicago Cubs.
- Riuscirà Valentino Rossi a vincere, finalmente, il decimo titolo nel Motomondiale?
Nonostante ci sia andato più vicino nel 2015 (e non sapremo mai se lo avrebbe perso anche senza il palese aiuto di Marc Marquez a Jorge Lorenzo), è nel 2016 che Valentino Rossi deve mangiarsi di più le mani per una serie di scelte errate che lo hanno condannato.
Il 2017 gli toglierà di mezzo un compagno scomodo come Lorenzo, passato in Ducati nonostante in molti la ritengano una moto troppo scorbutica per uno stile di guida estremamente pulito come il suo. Oltretutto la Yamaha ha (giustamente) vietato a Lorenzo, da contratto, di poter provare la moto italiana prima di febbraio: non è inimmaginabile qualche gara di sofferenza per lui a inizio campionato.
Valentino Rossi avrà un anno di più e avrà il solito Marquez tra i piedi. Come compagno di squadra avrà Maverick Viñales, il pilota in assoluto più cresciuto nel 2016 con quella spaventosa vittoria in solitaria a Silverstone, con cui Rossi ha un ottimo rapporto da diversi anni. Jorge Lorenzo recentemente ha detto che ben presto finirà l’idillio tra Rossi e Viñales, ma di certo potrebbe essere problematico per il giovane spagnolo essere subito veloce e costante con una moto che pretende risultati maggiori, visto che non sempre aveva la meglio sul suo compagno in Suzuki (Aleix Espargaro) pur avendo dato una netta accelerata al rendimento nella seconda metà dell’ultima stagione.
La crescita che Viñales avrà nel 2017 lo potrebbe rendere pronto per il Mondiale forse nel 2018. Con Jorge Lorenzo limitato un po’ dalla Ducati soprattutto nelle prime gare, Valentino Rossi potrebbe avere solo Marquez e la Honda come avversari degni per tutto l’anno e di certo avrà bisogno di un’altra stagione all’insegna della massima continuità, come nel 2003 o nel 2015.
- Chi vincerà il premio di MVP tra gli ex-compagni Westbrook, Harden e Durant?
Sam Presti non avrebbe mai immaginato di trovarsi, a 40 anni suonati, con gli occhi lucidi, costretto a togliersi continuamente gli occhiali per asciugare l’accenno di lacrime che non riusciva a trattenere. La proclamazione ufficiale era avvenuta il giorno precedente, anche se la notizia era nell’aria dalla prima palla a due della stagione. Ora, seduto in seconda fila tra il nutrito pubblico accorso per la conferenza stampa, gli risultava impossibile dominare quel groviglio di felicità e rimpianti, soddisfazione e nostalgia. Alle prime parole pronunciate da Russell Westbrook, le sinapsi di Presti si erano accese come il sole di quel giugno caldo e luminoso. La regular season in tripla doppia dell’ultimo superstite di una dinastia mai ascesa al trono era servita a poco; il settimo posto nella Western era valso un primo turno tramutatosi nella tremenda vendetta della vecchia aristocrazia nero-argento.
Ma non era l’eliminazione da parte degli Spurs a tormentare il GM dei Thunder: quello era uno scenario preventivato da tempo. Il pensiero di Presti, cadenzato dal ritmo del discorso d’accettazione del nuovo MVP, volava lontano, correva all’indietro per cinque lunghi anni per poi tornare bruscamente in quella sala stampa. Sul podio, giusto una manciata di voti dietro a Russ, erano finite due facce note, progenie della medesima dinastia incompiuta.
Primo: Russell Westbrook.
Secondo: James Harden.
Terzo: Kevin Durant.
Ripetere, anche solo mentalmente, quei tre nomi provocava a Presti un dolore quasi quasi fisico, un ingombro al petto che lo opprimeva. L’estensione rifiutata dal Barba, lo scambio con Houston, gli infortuni, il rinnovo del contratto collettivo arrivato troppo tardi per arginare la voglia di California e anelli a ripetizione. Tutto si mischiava, confondendosi in un unico, terribile presentimento: l’essere ricordati come il più colossale ‘what if’ di sempre.
- Quanti dribbling riusciti avrà, a fine anno, Cristiano Ronaldo?
Non siamo noi i maniaci del dribbling ma lui, che prova a saltare l’uomo come faceva un tempo senza più riuscirci. Le statistiche sui dribbling riusciti di CR7 sono angoscianti per chi non sopporta i discorsi sulla mortalità e la fine delle cose – questi sono dati di ottobre, ma rimangono piuttosto validi. E non rappresentano solo la rappresentazione di un aspetto del gioco, bensì la spia del suo declino fisico o almeno della fine di Ronaldo per come lo conosciamo Nel 2017 sarà interessante osservare, una volta di più, come CR7 negozierà le condizioni con un corpo che non riconosce più.
- Quale altro grande giocatore lascerà il basket nel 2017?
Esiste un limite alla tristezza che il cuore di un appassionato di basket può sopportare. Il 2016, anno ancor più nefasto in altri ambiti, ha modificato per sempre lo scenario cestistico come un ciclone stravolge il paesaggio con la sua furia. Certo, si è trattato di una calamità preventivata da tempo (il celeberrimo ‘Father Time’ che finisce sempre per avere la meglio), ma la consapevolezza dell’inevitabilità non ha contribuito poi molto ad attenuare la malinconia.
Kobe Bryant, Tim Duncan e Kevin Garnett, nomi a cui risulta del tutto superfluo aggiungere altro. Anche Ray Allen, in verità fermo da un paio di stagioni, ha messo a tacere le insistenti voci di possibile rientro dicendo addio al gioco. Buon ultimo, nello scorso settembre, Paul Pierce ha annunciato via The Players’ Tribune l’intenzione di smettere al termine dell’attuale stagione (non prima di aver firmato un contratto di un giorno con Boston, giusto per ritirarsi da Celtic). Delle architravi che hanno sorretto il peso della lega nel passaggio all’era post-Jordan rimane ben poco e il 2017 potrebbe demolire il resto.
In cima alla lista dei possibili addii svetta un’altra autentica leggenda come Dirk Nowitzki. I persistenti problemi fisici che lo hanno fortemente limitato in questo avvio di stagione (è sceso in campo solo in 9 partite delle prime 34 disputate) potrebbero accelerare le tempistiche di una decisione prevista in realtà per il 2018, seppur l’opzione per il prossimo anno sia in favore dei Dallas Mavericks. Ma il rapporto tra Dirk e Mark Cuban ha dimostrato negli anni di poter andare ben oltre le formalità e gli accordi nero su bianco. In assenza di certezze, immaginare l’addio di “Wunderdirk” è, ad oggi, niente più che un esercizio di puro masochismo. Nel caso dovesse succedere, comunque, c’è da scommettere che il congedo del gigante da Würzburg si rivelerà l’ennesima dimostrazione di classe e stile, un po’ come avvenuto al momento del suo addio alla Nationalmansschaft avvenuto a margine di Eurobasket 2015.
Subito dietro a Dirk, nella ipotetica classifica dei possibili commiati, c’è Manu Ginobili. Il suo impegno con gli Spurs terminerebbe con l’attuale stagione e, anche se l’efficienza fisica e l’impatto dalla panchina garantiti in questi primi due mesi parrebbero indicare il contrario, non è da escludere che l’argentino decida di seguire le orme del suo ex-capitano e scrivere la parola fine ad una carriera che definire epica è persino riduttivo.