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Napoli a pezzi
11 feb 2021
I problemi della squadra di Gattuso sembrano sempre più irrisolvibili.
(articolo)
9 min
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Sono tempi duri per Rino Gattuso, l’uomo che ha preso il Napoli dalle mani del suo mentore Carlo Ancelotti e lo ha risollevato dalle polveri di un ammutinamento fino al trionfo della Coppa Italia nella stessa stagione. Contro il Genoa, per il Napoli è maturata la settima sconfitta stagionale in campionato, che lo allontana dal treno di Milan, Inter e Juventus, forse irrimediabilmente. Ieri sera, il Napoli ha detto addio alle speranze di giocare un’altra finale di Coppa Italia contro la Juventus, perdendo a Bergamo contro l’Atalanta per 3-1.

Il rapporto tra l’ambiente e l’allenatore è logoro. Neanche per me, che vivo a Napoli, è chiaro quale sia stato il punto di rottura. La stampa locale accusa Gattuso di sperimentalismo tattico, di una testardaggine eccessiva nei confronti del 4-2-3-1. Questa squadra è nata per il 4-3-3, e per «palleggiare in faccia agli avversari» come ebbe a dire Maurizio Sarri, sostengono.

I giornalisti-tifosi che popolano le emittenti regionali hanno messo su un grande apparato di insulti, a volte grotteschi: "Gattuso è un incompetente", "ha destabilizzato la squadra con la sua malattia", "i calciatori non sopportano più le sue urla da bordocampo". A un discorso così violento Gattuso ha risposto dicendo che nell’ambiente napoletano, «simile a quello romano», «si dicono stronzate». Insomma, come si dice, sono volati gli stracci.

Ora, che Gattuso reagisca ai sospetti che certa stampa locale abbia intercettato i malumori di Aurelio De Laurentiis e cerchi di ingraziarsene così i favori, è una pura illazione. Però il rapporto tra l’allenatore e il presidente non è mai stato privo di opacità. L’anno scorso, già quando Gattuso aveva i risultati dalla sua, dagli ambienti presidenziali filtrava l’apprezzamento per il lavoro di Fabio Liverani a Lecce. Mentre scrivo, il vento di scirocco porta di bocca in bocca il nome di Vincenzo Italiano, il tecnico del sorprendente Spezia, con cui si è congratulato dopo la partita delle scorse settimane.

Cosa ha oggi il Napoli che non va? Gli interrogativi che si formulano più spesso nelle analisi di queste settimane sono principalmente due e riguardano l’efficacia dell’attacco e della difesa.

Il Napoli non segna abbastanza?

Gli Expected Goals valutano la qualità della produzione offensiva, per il Napoli portano l’asticella a 46,3 xG. Ciò significa che, nei cinque migliori campionati europei, le squadre con le stesse occasioni costruite fin qui dal Napoli, avrebbero segnato in media 46,3 gol. Il Napoli, escludendo i rigori, ne ha segnati fin qui 41. Quindi, è vero che ne avrebbe potuti segnare di più, ma non è tanto vero che non ne ha segnati abbastanza. Togliendo i rigori, il Napoli ha comunque il terzo attacco del campionato, è dietro a Inter e Atalanta che hanno giocato una partita in più.

Da un punto di vista statistico non c’è quasi niente che si possa rimproverare al Napoli. Gli azzurri hanno tirato più di tutti in campionato in situazioni di azione manovrata. Hanno messo più tiri nello specchio di tutti. Sono secondi in Serie A per il baricentro medio, quarti per dominio territoriale. Sono ancora secondi sia per il numero di passaggi riusciti in area di rigore sia per quello nel terzo offensivo avversario.

Ci sono solo due numeri in controtendenza. Il primo riguarda il valore di ogni tiro preso: il Napoli infatti è solo decimo per gli xG per tiro effettuato. Cioè i giocatori del Napoli sbagliano la scelta del tiro più spesso di quanto dovrebbero, decidono di prendere un tiro anche quando sono in situazioni non particolarmente vantaggiose. Il Napoli è infatti la prima squadra della Serie A per numero di tiri da fuori area, ne prende più di sette a partita. Il Milan, che è secondo, ne prende 5,8. È un dato che potrebbe far intendere una difficoltà del Napoli a penetrare i blocchi difensivi, a ricercare nel tiro da fuori una soluzione quando questa non arriva attraverso il gioco. In realtà, il dato sui passaggi riusciti in area, mostrato in precedenza, dice piuttosto il contrario. Quindi dev’essere una questione di scelte individuali.

Genoa-Napoli ha rappresentato un esempio estremo, ma allo stesso tempo tipico, della shot selection del Napoli di quest’anno.

Il secondo dato è la percentuale di conversione, ovvero il rapporto tra i gol fatti e i tiri concessi. Il Napoli, come squadra, ha la settima prestazione del campionato. Dal punto di vista individuale, i giocatori del Napoli si dividono in due gruppi. Matteo Politano è in questo momento l’attaccante più preciso del Napoli, ha segnato 6 gol da 31 tiri (19,4% di riuscita). Seguono Lozano (18,8%) e Petagna (18,2%). C’è poi un secondo gruppo, guidato da Dries Mertens (12,9%). Seguono Zielinski (12,5%), Insigne (8,5%) e Osimhen (6,7%). Le percentuali di Mertens e Insigne sono basse, la media per un attaccante della Serie A è del 14-15%, i finalizzatori di razza si attestano intorno al 20%, a fine stagione. Le loro percentuali sono basse ormai dall’ultima stagione vissuta con Maurizio Sarri e potremmo concludere che questi sono i loro livelli attuali, difficilmente potranno fare meglio.

Sono numeri che nell’arco di un campionato variano tanto. Per esempio, è inverosimile che Mattia Destro e Borja Mayoral continuino a trasformare in gol il 36% dei loro tiri. Ma è anche difficile che Politano mantenga a lungo quelle percentuali, proprio per il tipo di conclusioni che di solito preferisce prendere. È quindi ancora una volta una questione di scelta del tiro.

Il Napoli subisce tanti gol?

Anche dal punto di vista difensivo, i numeri del Napoli non sono tutti negativi, anzi. Gli azzurri sono quarti per tiri concessi agli avversari e quinti per gli xG concessi su azione di gioco manovrata. Concedono poco o niente da calcio piazzato. Permettono agli avversari pochi passaggi nella propria area di rigore (seconda prestazione del campionato). Vincono la maggior parte dei duelli a tutto campo, solo Sassuolo, Milan e Verona fanno meglio.

È quasi ironico constatare che gli unici due indicatori in cui il Napoli non fa bene in fase difensiva sono gli stessi per cui era in difficoltà in fase offensiva. Per pericolosità media dei tiri concessi, il Napoli è nono. Per percentuale di conversione dei tiri in gol, il Napoli è dodicesimo. Cioè in poche parole: il Napoli concede occasioni semplici da trasformare.

Il primo meccanismo difensivo del Napoli è la contropressione. Quando gli azzurri perdono palla, aggrediscono l’avversario per tentare di riprendersela immediatamente. In tutti gli altri casi, il Napoli rinuncia alla pressione e preferisce allinearsi in un blocco compatto. Con la difesa che si assesta ad altezze medie di campo, se il Napoli è in campo con il 4-2-3-1, la punta e il trequartista formano la prima linea di pressione, e schermano a turno il possessore di palla avversario. Se il Napoli adotta il 4-3-3, insieme alla punta, a schermare il possessore sul giro palla, sale a turno un centrocampista. Di fatto, senza palla il Napoli è schierato sempre con un 4-4-2.

Al di là del sistema tattico, in ogni organizzazione difensiva le letture individuali sono fondamentali, e se c’è un errore da parte di un compagno, il resto della squadra deve reagire prontamente. Nell’immagine, relativa all’ultimo Verona-Napoli, Di Lorenzo fa una scelta forte, segue il movimento profondo del centrocampista offensivo avversario ben oltre la metà campo avversaria. Lozano vede Di Lorenzo fuori posizione. Soprattutto vede partire Dimarco, inizialmente lo segue, poi improvvisamente lo molla. Dimarco segnerà, inserendosi alle spalle del centrale di destra, nello spazio lasciato vuoto da Di Lorenzo.

Non è un modo per gettare la croce su Hirving Lozano, su cui Gattuso sta lavorando e ottenendo risultati. L’azione poteva avere un esito diverso anche con altre contromisure: Di Lorenzo che rientra meno pigramente; Koulibaly che non si decentra orientandosi su Barak, che a sua volta avrebbe dovuto avere Demme più vicino. Ma è certo che se Lozano avesse seguito Dimarco fino all’interno dell’area di rigore, le possibilità di subire gol si sarebbe ridotte.

In una recente intervista, Giorgio Chiellini ha detto: «Per vincere i duelli con gli attaccanti bisogna essere pessimisti e prevedere il peggio». Ieri sera, in Atalanta-Napoli, Rrahmani non immagina che la palla possa arrivare a Pessina, e si lascia superare dal centrocampista atalantino. Quando Zapata, seppur pressato, riesce a servire l’inserimento del terzo uomo, per il difensore del Napoli è già troppo tardi. Il posizionamento di tutta la difesa del Napoli è rivedibile, a dir poco: Hysaj e Maksimovic, più bassi di 5 metri rispetto agli altri, tengono in gioco Zapata. Nonostante questo, se Rrahmani avesse ragionato velocemente e con lucidità, probabilmente avrebbe potuto ancora sventare il gol.

Tra i gol incassati (sono 18 in campionato, escludendo i rigori, e avrebbero dovuto essere 23 secondo gli xG), ci sono anche quelli provocati dagli errori di Udine e di Genova. A Udine il Napoli cercava una giocata codificata: il trequartista scatta in profondità, abbassa la difesa per generare spazio per la ricezione della punta. Il terzino non riesce a servire la punta, perché sul viaggio della palla la mezzala si è mossa in avanti. A questo punto, Hysaj fa un giocata strana. Decide, correttamente, di dare un altro giro al pallone ma non passa dal centrale di sinistra, più vicino, bensì dal centrale di destra. E va bene, il successivo appoggio di Rrahmani verso il portiere è goffo, con poca forza, e forse il difensore non si rende conto di quanto velocemente stia rinvenendo Lasagna su di lui. Però, in linea di principio, Rrahmani quella palla – forte, rimbalzante e all’indietro – non avrebbe dovuto neanche riceverla.

A Genova, è stato lo stesso Gattuso, nel post-partita, a spiegare la dinamica del gol subito, il primo dei due di Goran Pandev. I due centrali sono troppo “chiusi”, troppo vicini tra loro. Avrebbero dovuto stare più “aperti”, cioè larghi, con i piedi all’altezza dei due vertici dell’area di rigore per intenderci. Chiusi come sono i difensori del Napoli, gli attaccanti del Genoa li aggrediscono con un angolo di pressione che non lascia scampo. Se fossero stati aperti, i difensori avrebbero avuto più di una giocata a disposizione. Maksimovic aveva una sola opzione possibile: la giocata all’indietro verso il portiere. Invece ha tentato lo stesso di servire il vertice basso e ne è uscita una palla persa. Dall’immagine però si capisce che l’errore di Maksimovic è il secondo dello stesso tipo: già Manolas non ha capito che l’unica scelta giusta era la giocata sul portiere, ha servito invece il compagno di reparto.

Gattuso ha detto che l’errore nasce dalla mancanza di allenamenti. In un periodo in cui il Napoli ha giocato una partita ogni tre giorni, l’unico lavoro che la squadra è riuscita a fare tra un match e l’altro è quello di recupero atletico. L’assenza di lavoro sulla parte tattica non è qualcosa che riguarda solo il Napoli e Gattuso, è dall’inizio dell’anno che gli allenatori fanno dichiarazioni simili, da Pep Guardiola a Jurgen Klopp. Non si allena più, ma si gestiscono le forze. Questa stagione compressa tra ottobre e giugno si sta rivelando più pazza di quella spezzata in due manche dell’anno scorso.

Attraverso l’allenamento, i giocatori sono messi in condizione di riconoscere determinate situazioni di gioco, e imparano a reagire a queste correttamente e con il minimo dubbio. Lì dove non c’è allenamento, e per di più c’è una scarsa lucidità per accumulo di stanchezza, solo i giocatori più evoluti, con un’intelligenza calcistica più elevata, riescono a sopravvivere.

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