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Dario Pergolizzi
Cosa sono e perché vanno così di moda i gol in cutback
11 gen 2023
11 gen 2023
Forse li avrete notati durante i Mondiali.
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Dario Pergolizzi
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IMAGO / Sportimage
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Magari l'avrete notati durante gli ultimi Mondiali, i gol segnati con tiri arrivati mentre la squadra che difende collassa in area, propiziati da cross leggermente curvi all’indietro oppure dai cosiddetti cutback, termine che in italiano si potrebbe tradurre con “palla dietro” o “passaggio a rimorchio”. Durante i gironi, in particolare, c’è stato un momento in cui sembrava che i gol potessero essere segnati solo così. Pareva che il calcio fosse stato hackerato, che avremmo d’ora in poi vissuto in una distopia di cross orizzontali e tocchi all’indietro, di squadre che ricercano compulsivamente di segnare il gol più facile possibile a costo di non prendersi più nessun tipo di rischio davanti all’area avversaria.

Per la verità questa è una tendenza che era già chiara nel calcio per club, dove è più importante l'occupazione “razionale” degli spazi, gli attacchi posizionali prolungati, le strutture organizzate in modo da avere coperture preventive solide per le transizioni difensive. Dove il gioco collettivo è più strutturato. Non è stata una novità dei Mondiali, insomma, ma ha fatto comunque impressione vedere di tutti questi gol consecutivi arrivati così, attraverso lo sfruttamento di uno spazio ritenuto difensivamente sacro, da cui concedere un gol sembra quasi un peccato mortale.

In questa analisi di qualche mese fa, ad esempio, Antonio Gagliardi evidenziava le differenze di utilizzo, precisione ed efficacia tra tre tipologie di cross. Il traversone dalla trequarti alle spalle della linea difensiva, il cross “tradizionale” e il cutback, che statisticamente pare essere la soluzione con il miglior rapporto di conversione sia per quanto riguarda l’arrivo al destinatario, sia per la quantità di tiri trasformati in gol. Per le squadre che attaccano a lungo di posizione, in particolare, la ricerca del cutback diventa la soluzione più invitante perché dà modo di evitare il fuorigioco, portare più uomini all’attacco della porta e alla ricezione in posizioni migliori (per esempio dal dischetto di rigore), avere più corpi vicini per l’eventuale riaggressione, e soprattutto garantirsi una soluzione “di riserva” nel caso in cui il destinatario dell’ultimo passaggio non riesca a trovare la conclusione. Due esempi sono i gol di Vinicius e Kudus, entrambi contro la Corea del Sud.

Forse però, come suggerito dal grafico qua sopra, aver visto tutti quei gol ravvicinati può averci indotto a una sorta di recency bias, un pregiudizio cognitivo che ci ha portato a sovrastimare l’effettivo aumento dell’incidenza di questo tipo di conclusioni da cutback sul totale. Nonostante ciò, possiamo comunque fare delle riflessioni sul perché questa tipologia di assist e conclusioni sembra essere particolarmente ricercata ed efficace.

Anche Juanma Lillo, in questa sua intervista per The Athletic uscita durante il Mondiale, sembrava aver notato la tendenza di un numero crescente di gol da passaggi all’indietro e cutback. Il suo focus in questo caso è stato sul timing di arrivo in area, soffermandosi sulla probabilità più alta di segnare in quel tipo di situazioni per chi è l’ultimo arrivare in area, piuttosto che per chi si trova già davanti, o comunque più vicino alla porta al momento del passaggio.

I gol di Depay e Blind contro gli USA, per esempio, vedono i due arrivare alla conclusione alle spalle di altri due compagni. Altri due gol citati da Lillo per supportare la sua riflessione sono quello di Paquetà contro la Corea del Sud e quello di Milinkovic-Savic contro il Camerun. Si tratta di due azioni abbastanza diverse rispetto a quelle dell’Olanda, nel primo caso perché la traiettoria del pallone che arriva a Paquetà è alta e morbida, mentre Milinovic-Savic riceve un passaggio di scarico dal compagno e ha il tempo di aggiustarsi il pallone e tirare da fuori. In comune, però, hanno il concetto accennato da Lillo, secondo cui chi sta più indietro può segnare più facilmente.

La presenza dei compagni più avanzati funge da “calamita” per i difensori, che finiscono per schiacciarsi verso la linea di porta, concedendo dunque molto spazio in area a chi sopraggiunge da dietro. Uno spazio che spesso è di difficile protezione per il resto della squadra. Non sono importanti, dunque, solo il modo con cui arriva il pallone o la posizione di chi lo passa, ma anche la zona in cui si trova il potenziale tiratore. Una zona che è relativa, nel senso che dipende dallo spazio concesso da chi difende e dalla dinamica dell’azione: può trovarsi a più altezze dentro l’area di rigore, più o meno vicino al dischetto o defilata, o persino fuori dall’area. Come tante altre cose nel calcio, anche qui è tutto legato alla relazione con l’avversario e all’adattamento alla situazione. In questi casi, alla capacità di cogliere controtempo il movimento “negativo” dei difendenti, leggendo rapidamente dove si libera lo spazio, come lo si può attaccare senza palla e come è più efficace farcela arrivare.

Due dei gol più iconici di questo mondiale, molto diversi tra loro, hanno in comune tra loro questo sfruttamento dell’inerzia contraria alla direzione di corsa e attenzione di chi difende. Sto parlando del gol di Julian Alvarez su assist di Messi contro la Croazia e del tiro al volo di Richarlison contro la Serbia. Nel primo caso, Messi gioca con Gvardiol catturando su di sé anche l’attenzione degli altri giocatori croati, mentre Alvarez si limita a rimanere fermo, vicino a Messi ma non troppo. In questo caso è il non-movimento di Alvarez a creare una separazione decisiva.

Diversissima invece la dinamica del gol di Richarlison: Vinicius, pur trovandosi in una posizione pressoché parallela al compagno, che è già qualche metro dietro rispetto al movimento dei due difensori, accelera lo sviluppo dell’azione crossando di esterno, prendendo in controtempo i difensori. Ovviamente in questi gol sono le giocate di Messi e Richarlison a dare “la svolta” all’occasione, però a rendere magici simili colpi di talento è anche il fatto che servano a ottimizzare dei vantaggi (dinamici, di posizione, numerici e così via) attraverso soluzioni creative che permettono di sfruttare a pieno le piccolissime finestre temporali in cui si presentano, prima che queste si chiudano.

Ma non sono mancati goal di questo tipo in cui le sfumature di intuito, tempismo, creatività sono state meno evidenti. Quelle azioni in cui il pallone è arrivato in rete come nel più classico dei “goal della merda” di FIFA, con il tiratore che sembra materializzarsi emergendo da sottoterra in uno spazio vicino alla porta.

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Goal come quelli di Grealish contro l’Iran, Giroud contro l’Australia, Embolo contro il Camerun, Ayew contro il Portogallo, Dieng contro il Qatar, Mbappé contro la Danimarca, Aboukhlal contro il Belgio, Horta contro la Corea del Sud, sono tutti arrivati con palloni passati all’indietro quasi dalla linea di fondocampo, o quantomeno da quelle zone esterne dell’area di rigore (o nelle loro immediate vicinanze) tra il lato corto dell’area piccola e quello dell’area di rigore. Una zona di campo che da qualche anno viene chiamata, in alcuni “modelli”, letteralmente assist-zone, data l’efficienza media degli assist arrivati da quelle porzioni di campo.

Non tutti i palloni provenienti da queste cosiddette assist-zone possono essere così puliti, rasoterra, all’indietro per un compagno libero di tirare, però. Nel caso del goal di Pulisic contro l’Iran, per esempio, è stato decisivo il colpo di testa di Dest verso il centro dell’area, indirizzato questa volta su una immaginaria linea orizzontale, per premiare l’inserimento dell’attaccante del Chelsea. In questo caso non è stato il cutback o un pallone alle spalle della difesa a creare un vantaggio, ma la posizione e la dinamica da cui è nato l’assist: Dest avrebbe potuto controllare il pallone e poi successivamente cercare di servire la palla dietro sfruttando il controtempo della corsa all’indietro della difesa, ma il fatto che il terzino del Milan si sia trovato nella zona assist con una postura che gli ha consentito di elaborare le traiettorie di corsa di compagni e avversari mentre la palla arrivava morbida verso la sua testa, e si sia reso conto di poterla piazzare al centro.

Quest’ultimo gol ci è utile per riflettere sul fatto che la frequenza dei palloni all’indietro dalle zone assist sarà sicuramente aumentata negli ultimi anni, alimentando il desiderio delle squadre di trovare ricezioni in quelle porzioni di campo, che a loro volta possono diventare vantaggiose anche per sfruttare occasioni diverse dal passaggio a rimorchio. Questa tipologia di azioni, che siano cutback veri e propri, cross alti all’indietro dal fondo o cross orizzontali, ha un valore poiché emerge in risposta a un comportamento tattico diffuso, cioè dare sempre più la priorità alla difesa della porta man mano che ci si avvicina ad essa. Nonostante questo, non sempre la zona lasciata libera dai difensori in area può essere occupata con rapidità dai compagni di squadra e gli inserimenti da dietro non sono sempre efficaci. Allo stesso tempo, una difesa più attenta a non concedere spazio in area mentre ripiega verso la linea di porta potrebbe doversi confrontare con giocatori in grado di aumentare ulteriormente la potenzialità dell’occasione, riuscendo a concludere con meno spazio a disposizione, oppure a scoprire la palla creando l’assist dal nulla.

Insomma, è giusto e interessante analizzare l’utilità di ricercare una rifinitura in zone che statisticamente si rivelano più proficue, ma senza mai dimenticare l’importanza dell’interpretazione del momento e dell’adattamento alla circostanza. Anche perché, col tempo, chi difende si adeguerà sempre meglio, riducendo questo tipo di possibilità, ma magari aprendone altre.

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