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Alessandro Ferri
Cosa significa scappare dalla guerra
24 mar 2022
24 mar 2022
Ce l'hanno detto due ragazzi ucraini accolti in Italia dalle Zebre.
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Alessandro Ferri
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Oleg e Dmytro non si chiamano Oleg e Dmytro. Sono io a chiamarli così per paura che possano subire ritorsioni in futuro, anche se dalla guerra sono già scappati. Hanno 16 e 17 anni, sono arrivati in Italia da meno di 24 ore quando li conosco, e hanno attraversato l’Europa dell’est a bordo di un bus messo a disposizione dalle Zebre. La squadra di rugby di Parma ha facilitato l’ingresso nel nostro paese di 73 persone (per ora): quasi tutte parenti (madri, mogli, nonne, figli) dei giocatori del Rugby Club Polytechnic di Kiev. Tra di loro, però, ci sono anche alcuni giocatori delle giovanili, proprio come Dmytro e Oleg, che invece partendo verso il confine ungherese hanno lasciato alle spalle le loro famiglie nell’inferno della capitale Ucraina.


 

«A Kiev giocavamo entrambi a rugby», mi racconta Oleg, che riesce ad essere chiaro anche parlando un inglese meno fluido del suo amico «La mattina in cui siamo stati attaccati ho sentito un boato enorme. Non potevo crederci. Per questo ho chiesto a mia madre cosa fosse e lei mi ha risposto “è la guerra”. Ero davvero confuso, è stato spaventoso».


 

Oggi che l’invasione dell’Ucraina è realtà possiamo a ricostruire a posteriori le mosse di Putin nelle settimane precedenti, come quella di ammassare centinaia di migliaia di soldati e di mezzi al confine. Ma prima che avvenisse l'eventualità ci sembrava ancora remota e lo stesso era vero anche in Ucraina. Oleg e Dmytro non riuscivano a figurarsi un’eventualità così drammatica. «È stato assurdo», prosegue Oleg «abbiamo fatto battute su un’improbabile guerra per mesi, ci siamo scambiati meme, abbiamo riso e fatto finta di niente. Invece era tutto reale. Scappando da casa sono passato davanti all’edicola dove andavo sempre e al suo posto c’era un cratere. Solo a pensarci mi torna la paura».


 

«È stato come vivere un horror, ma nella vita vera. Di quei momenti ricordo solo il panico e la fretta. Abbiamo raccolto le nostre cose e siamo andati a rifugiarci lungo i binari della metropolitana. Eravamo tutti disorientati: a un certo punto i miei genitori si sono fermati in mezzo alla strada a parlare per capire cosa fare, ma le sirene erano diventate assordanti. Non si erano resi conto del pericolo: ho preso mia madre per la mano e l’ho portata di forza dentro la fermata della metro. Lì ci siamo trovati vicino a diverse persone spaventate che urlavano o che piangevano, perché sapevano che non potevano rimanere lì per sempre».


 

Gli allenatori di Oleg e Dmytro sono rimasti a combattere in Ucraina, così come ha fatto anche l’ex presidente della federazione ucraina di rugby, l’83enne Giorgi Dzhangirian, e il direttore tecnico federale Oleg Zalizniy. Loro invece sono venuti a conoscenza del progetto delle Zebre e si sono lanciati in un viaggio per la sopravvivenza. Ma come ha fatto una squadra professionistica di rugby in Italia a conoscere la storia di un piccolo club di uno stato in guerra?


 

Tutto è iniziato a settembre 2021, quando Andriy Dutko, presidente del Polytechnic Kiev, è venuto in Italia per vedere una partita delle Zebre nello United Rugby Championship (il campionato disputato dalle franchigie di Italia, Scozia, Galles, Irlanda e Sudafrica). In quell’occasione Dutko ha incontrato la dirigenza del club di proprietà della Federazione Italiana Rugby per pianificare dei progetti insieme. Le Zebre infatti contano circa 120 club affiliati, che costituiscono la cosiddetta “Zebre Family”, una rete che avvicina le squadre dilettantistiche ai livelli più alti. Dutko voleva aggiungere il suo Polytechnic alla lista quando ancora sembrava impensabile che l'Ucraina sarebbe stata sconvolta dalla guerra e la sua popolazione costretta a scappare a milioni verso l’Europa occidentale.


 

Appena capito cosa stesse succedendo, il presidente delle Zebre Michele Dalai e il suo staff si sono messi in moto per capire cosa fare e come farlo. Nessun membro della squadra di Parma è partito verso il confine ungherese: un posto in più occupato sul bus equivale a una vita salvata in meno e questo non volevano né potevano permetterselo. Tutti, dentro e fuori l’Ucraina si sono messi a disposizione, senza la minima esitazione. Come l’allenatore del Polytechnic, Dimitri Basilaia, ex giocatore della Nazionale georgiana, che ha segnato una meta all’Inghilterra durante i mondiali del 2011: «Conosco la guerra, ho visto l’invasione russa nel mio paese nel 2008» ha raccontato in un’intervista rilasciata al canale ufficiale di World Rugby «Quindi so che la cosa fondamentale per la gente è il cibo, è il pane. Per questo tengo aperto il mio ristorante a Kiev, con cui do da mangiare ad almeno 340 persone al giorno». Basilaia ha arruolato i suoi giocatori e li ha messi a sbucciare le patate, a impastare, a tagliare, a cuocere: ognuno si mette a disposizione come può, tenendo bene a mente che «quello che possiamo fare lo facciamo con il cuore».


 

Tutte le persone che sono arrivate in Italia (49 con il primo viaggio, 24 con il secondo, entrambi da 48 ore, entrambi con partenza Barabás, al confine tra Ucraina e Ungheria) hanno lasciato i propri cari nell’incertezza e nell’orrore di una guerra che ogni giorno mostra il suo lato più atroce. Questo lo sanno bene anche Dmytro e Oleg che, come gli altri, vivono in uno strano equilibrio: da un lato c’è la salvezza, la volontà di costruire una nuova vita nel nostro paese; dall’altro ci sono la paura e il senso di impotenza.


 


Uno dei bus, all'arrivo in Italia (foto Le Zebre).


 

«Sentiamo spesso i nostri genitori» mi spiega Dmytro «ma è abbastanza difficile a livello tecnico perché non abbiamo ancora una Sim card italiana e possiamo connetterci solo con la rete wireless del posto in cui siamo (cioè la Cooperativa 100 Laghi a Corniglio, un paese di meno di duemila abitanti tra gli Appennini, in provincia di Parma, ndr), quindi è tutto precario. Questo ci limita anche un po’ negli spostamenti, perché non possiamo comunicare con nessuno, né possiamo aggiornarci sui canali Telegram che seguiamo se non abbiamo connessione. La gente, però, qui è incredibile».


 

Gli abitanti di Corniglio hanno subito stretto un rapporto amichevole con le persone scappate dalla guerra, offrendo loro cibo e bevande, accogliendoli nei negozi e nei bar, o limitandosi a un semplice “buongiorno” per strada. «Sembrano piccole cose ma in Ucraina non ho mai visto una persona fare così», mi dice Oleg «Siamo grati agli italiani. Stamattina ho insistito per pagare la colazione in un bar. Ho dei soldi con me, non sarebbe stato un problema, ma non ci sono riuscito. Ci sentiamo accolti e al sicuro».


 

Ma il dolore rimane duro da affrontare, soprattutto quando arrivano notizie terribili. «Un nostro compagno di squadra di 17 anni è stato ucciso dai soldati russi. Sua nonna e sua sorella sono state portate in Bielorussia. Un’altra sua sorella di 10 anni è stata colpita alla testa e ora è in rianimazione. Sono bambini, scappavano da casa con i loro genitori e i loro nonni, non avevano armi… è impensabile». Dmytro aggiunge: «Le immagini che vediamo ogni giorno ci fanno paura, soprattutto perché non possiamo fare niente. I nostri amici e parenti si nascondono o combattono strada per strada. È difficile mettere questi pensieri da parte e distrarsi».


 

Ora per loro è il tempo di ripartire, nonostante tutto. «Io e Dmytro frequentavamo entrambi le scuole superiori. Ora siamo qui, dobbiamo imparare la lingua, cercare di integrarci, per questo anche avere una linea telefonica italiana è fondamentale». In questo senso, anche trovare una sistemazione a Parma sarebbe ideale: Corniglio è un posto molto accogliente e immerso nella natura, ma è un piccolo paese che dista un’ora di auto dalla città emiliana. Dmytro e Oleg, come altri loro amici arrivati coi bus della speranza, hanno bisogno di conoscere altri coetanei e di provare a integrarsi.


 

Le Zebre stanno provvedendo anche a questo: la raccolta fondi online che hanno organizzato ha superato i 17mila euro e serve proprio a fornire alle persone accolte tutto ciò di cui hanno bisogno. «Per ora vi chiediamo solo di donare e comunicarci in dm o alla mail se avete la possibilità di ospitare alcuni di questi nuclei familiari (per ora abbiamo una lista di 30 nomi ma potrebbe crescere nelle prossime ore)». Questo è un passaggio del testo che accompagna la raccolta fondi. Sotto, i nomi dei donatori: ci sono anonimi, scrittori, imprenditori, ma ci sono soprattutto tantissimi giocatori delle Zebre, praticamente tutti. Anche campioni di altri sport, come Gigi Datome, si sono mossi per aiutare i giovani del Polytechnic, donando moltissimo materiale da allenamento. Ognuno versa ciò che può.


 

Oleg e Dmytro vorrebbero anche ricominciare a giocare: mentre il presidente Dalai cerca di trovare un modo per farli tesserare con il Rugby Parma, i due si allenano in una palestra messa a disposizione dai cittadini di Corniglio. «Ci manca tanto il rugby», mi dicono quasi in coro «Per ora sogniamo di allenarci con una grande squadra come le Zebre, poi chissà, speriamo di tornare a giocare».


 

Lo scorso 12 marzo i due ragazzi sono stati ospitati nella tribuna d’onore dello Stadio Olimpico di Roma per seguire la partita del Sei Nazioni tra Italia e Scozia. A qualunque livello, il rugby rimane questo: avanzare, sostenere, continuare ad avanzare, continuare a sostenere. Questi sono i principi che vengono insegnati ai bambini nel primo momento in cui mettono piede su un campo da rugby, e rimangono validi anche dopo, ogni volta che escono e smettono di essere solo rugbisti.


 

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