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Tommaso Clerici
Cosa significa diventare pugili da soli
23 set 2022
23 set 2022
Intervista a Rocco Vassallo, giovane pugile emergente.
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Tommaso Clerici
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Stefano Guindani
(foto) Stefano Guindani
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Rocco “Rocky” Vassallo è un pugile professionista italiano che registra due vittorie prima del limite e nessuna sconfitta. 26 anni, figlio d’arte, dato che suo padre Stefano era un peso massimo di buon livello con 17 match professionistici all’attivo negli anni Ottanta, Vassallo vive a Sestri Levante, comune ligure di 17 mila abitanti, e si allena tra Sestri e Levanto, un paese di 5 mila anime. Avversari fraterni L’ho conosciuto quando ho accompagnato un altro pugile, il promettente peso welter Christian Mazzon, a una seduta di sparring con lui. Mazzon e Vassallo si sono affrontati da dilettanti: “Rocky” è andato knockout al primo round e tra i due è nata una profonda amicizia dentro e fuori dal ring. «Quando mi ha battuto in quel modo ho pensato: “Cazzo, questo è forte”, allora ho iniziato a scrivergli per organizzare qualche allenamento insieme. Salivo a Milano una volta a settimana per farci sparring, credo che l’abbia colpito la mia voglia di migliorare, e così si è creato un rapporto sincero, ci siamo trovati come persone». Lui è così: è un pugile generoso, che ama la boxe in modo viscerale, per questo appena nota un suo collega che reputa talentuoso lo contatta, si mette al volante e percorre anche centinaia di chilometri in giornata per misurarsi con lui e imparare. Ma muoversi da cane sciolto, senza un team o un entourage che ti copra le spalle, comporta dei rischi, perché si è tutelati di meno, anzi, per nulla. Come una volta in cui Vassallo è stato ingaggiato per fare da sparring partner a un pugile più pesante ed esperto di lui, che invece di allenare i riflessi e il timing con un atleta più leggero, lo ha affrontato come se fosse un incontro vero. Vassallo ne è uscito malconcio («Mi ha sfondato, ed era pure il giorno del mio compleanno»), e non poteva essere altrimenti visto lo squilibrio di forza e potenza. Rientrato a casa (trecento chilometri in un giorno) si è addirittura presentato al lavoro la sera stessa, dato che saltuariamente fa il buttafuori nei locali, e poi si è sentito male. Nonostante ciò non si è perso d’animo e continua a spostarsi alla ricerca di colleghi validi per affinare le proprie qualità. D’altronde era stato proprio Mazzon a spiegarmi in un’altra occasione: «Il modo in cui un atleta si comporta sul ring e vive il pugilato rivela molto del suo carattere e della sua personalità. E spesso quei pugili che sono disposti a soffrire di più sono persone di gran cuore nella via privata, trasparenti e altruiste». Anche lui è fatto della stessa pasta, da qui l’amicizia con Vassallo. Tornando al giorno in cui ho incontrato “Rocky”, Mazzon ha preso la macchina guidando per quasi tre ore dalla provincia di Bergamo dove abita fino a Levanto (e non è la prima volta), perché Vassallo è un ottimo sparring partner e in più è un «puro», come lo ha definito, cioè una persona schietta, vera, sincera. Dopo una sessione di guanti intensa e spettacolare in una cornice inedita, un negozio di surf dove il proprietario, Gabriele, che sostiene e supporta “Rocky” sia a livello morale che economico, ha allestito un ring in un angolo per permettergli di allenarsi, siamo andati a fare un bagno sul lungomare di Levanto per poi mangiare uno squisito piatto di spaghetti alle acciughe di Manarola (una delle Cinque Terre). Mentre eravamo a tavola Mazzon ha detto a Vassallo: «Prima, sul ring, ti ho beccato due volte di fila al fegato, allora ho aumentato il ritmo perché volevo metterti giù, mandarti knockdown». «Eh l’ho visto, ma sono riuscito a restare in piedi e ti ho interrotto l’azione» ha risposto “Rocky”. «D’altronde siamo professionisti, ci si allena per questo e bisogna sempre spingere al massimo. E comunque sei stato bravo», ha concluso Mazzon.

Vassallo posa con Mazzon dopo lo sparring.

In quella mezza giornata Vassallo mi ha raccontato a sprazzi la sua storia, ma qualche episodio è bastato per incuriosirmi e volerne sapere di più, così qualche giorno dopo ci siamo incontrati in un bar di Chiavari, un’altra cittadina della riviera ligure, quella in cui “Rocky” ha indossato i guantoni per la prima volta. Lui saluta tante persone mentre chiacchieriamo, la gente lo riconosce e sembra si preoccupi per lui («Non è un drink, vero?» gli chiede scherzando un tizio indicando la spremuta che Vassallo sta bevendo). “Rocky” è alto quasi un metro e novanta, è moro con i capelli lunghi raccolti dietro la testa con un elastico e ha un bel viso con il classico naso da pugile, modellato dai colpi. Il suo è un fisico longilineo e asciutto ma tonico, con i muscoli ben definiti. Combatte nei pesi welter, al limite dei 67 chili, ma in questo periodo è sui 72. Ha un sorriso e un’allegria, una spensieratezza contagiosa, che però sparisce quando parla di qualcosa di spiacevole, facendosi serio all’improvviso, con la fronte corrucciata e uno sguardo tagliente. Mentre ricorda episodi del passato ne imita i dialoghi, gesticola, spalanca gli occhi come se volesse portarti lì, dove sono avvenuti, con un comportamento che definirei cinematografico, e penso che probabilmente non sfigurerebbe su un set, se provasse a fare l’attore. In nome del padre «Sono nato a Sestri Levante. Ho avuto un’infanzia abbastanza tranquilla, mio papà aveva appena finito la carriera da pugile e ha avuto qualche alto e basso, diciamo che ha ceduto a qualche eccesso» comincia quando gli chiedo di partire dall’inizio. «Non è mai facile abituarsi a una vita normale quando appendi i guantoni al chiodo, ricerchi altrove l’adrenalina del ring e può capitare che fai errori. Ma è stato un padre eccellente, un lavoratore, infatti a livello economico non mi è mai mancato nulla, ho sempre avuto tutto quello che mi serviva. E mamma è stata fondamentale, la colonna portante della famiglia, quando papà ha avuto le sue debolezze. Lui ce l’ho tatuato sul costato, un ritratto da una sua vecchia foto in cui è in una posa da pugile. I miei altri tatuaggi non gli piacciono, di questo invece ha detto che è un’opera d’arte. Abbiamo un panificio che esiste sin dal 1930, dove lavoro anch’io. Mia madre invece è un’impiegata delle Poste, e ho una sorella maggiore laureata in ingegneria civile. Io ho il diploma, ho fatto il liceo scientifico, poi ho smesso di studiare perché non ce la facevo più», e ride. «Vivo da solo sopra Sestri, in collina» mi spiega. «Sto lì con i miei tre Rottweiler, ho un giardino grande e li lascio scorrazzare nel bosco circostante. Qualche anno fa uno dei Rottweiler che avevamo in quel periodo ha azzannato mio padre a una mano, e sai come è riuscito a liberarsi? Gli ha mollato un gancio sinistro. Te lo giuro, ha messo KO un cane da sessanta chili. Però gli hanno dovuto mettere 40 punti per ricucire la ferita, aveva la pelle squarciata, si vedevano le ossa». Rocco mi racconta che negli ultimi giorni hanno un ospite in più, un altro cane che stanno accudendo perché il proprietario, un senza tetto, è ricoverato in ospedale, ferito da una tempesta di grandine.

Vassallo sul ring a Santo Domingo. Credits: via Instagram / @rocky_vassallo

«La boxe è sempre esistita nei miei ricordi, da bambino andavo in palestra con papà, qui a Chiavari, a guardarlo, e i suoi amici facevano finta di farsi prendere a pugni da me», “Rocky” sorride mentre lo dice. «All’inizio boxavo solo per compiacerlo, il pugilato non mi piaceva: pensa che ho esordito da dilettante a 17 anni e prima di quel match ho pianto. È uno sport che mi ha conquistato piano piano, fino a diventare una fissazione. Sono state le sconfitte a spronarmi, pensavo: “Ah vedi, credevo che l’avversario fosse un brocco, invece mi ha battuto”, e mi rinchiudevo in palestra per riscattarmi. Mi è sempre servita una brusca battuta d’arresto per risvegliare l’orgoglio. Anche nella vita, ogni tanto una scossa mi fa bene». Vassallo è un pugile atipico per un aspetto in particolare: «Non ho una palestra di riferimento, in realtà non l’ho mai avuta. Faccio una seduta di sparring a settimana viaggiando. I colpitori me li tiene un mio amico, Marco, gli ho insegnato io come si fa, e adesso è più bravo di molti Maestri che ci sono qui. Ho un preparatore atletico che mi fa le schede, poi vado a correre. La nutrizione invece me la gestisco da solo, ammetto che non sono molto regolare, a volte sgarro e poi digiuno per recuperare. Anche perché non mi va di pagare qualcuno che mi dica cosa fare in questo campo, regole rigide come una dieta ferrea non mi piacciono. Pure l’alcool non mi va di eliminarlo completamente, ogni tanto ci vuole. Mi aiuta il fatto che non aumento mai troppo di peso, ho un metabolismo veloce. C’è stato un periodo in cui ero bulimico, avevo una fame nervosa che mi faceva strafogare e poi mi ficcavo due dita in gola per vomitare e smaltire». Senza compromessi «Ho girato parecchio sin da ragazzino per trovare la mia giusta dimensione», continua. «Da Chiavari sono andato in una palestra di Rapallo, qua vicino, e dopo a Genova. Poi a Milano, dove ho vissuto per sei mesi, ma è stata un’esperienza negativa, anche perché sono abituato a stare al mare: tornavo a Sestri per poter correre in spiaggia. In certi periodi mi allenavo anche quando andavo in vacanza, alle Canarie e a Barcellona. Poi mi sono spostato in Toscana, prima a Cecina e successivamente a Firenze e a Livorno. Spesso pagavo per farmi allenare dai Maestri, oppure ci andavo un paio di volte a settimana perché non mi ci sono mai trasferito in pianta stabile. Non avevo nessuno che mi seguisse negli allenamenti quotidiani, passo dopo passo, salvo mio padre che mi ha sempre dato qualche consiglio. Infatti più di una volta mi sono ritrovato confuso, a chiedermi se stessi facendo la cosa giusta. Non ho mai trovato riferimenti solidi sia perché in tanti si sono comportati male con me, o se ne sono approfittati proprio perché sapevano che mi autogestivo, sia per via del mio carattere: non sono uno da mezze misure, e non scendo a compromessi. Neanche la fidanzata la trovo in pianta stabile, sono fatto così. Faccio fatica a mettere le radici in un luogo in cui non sono nato, e non ho mai trovato uno stimolo tale per cui valesse la pena trasferirmi. Vado in un posto, ma appena ci sono due o tre cose che non mi vanno bene saluto e faccio le valigie. Invece a volte ho ricevuto delle porte in faccia, non hanno creduto in me e mi hanno scartato. Dimostrerò che si sbagliano» conclude, convinto.

«Sì, ho partecipato come modello al Pitti Uomo. Ma pure quello è in un mondo in cui per avere devi dare, e io non do niente a nessuno senza un motivo per farlo». Credits: via Instagram / @rocky_vassallo

«Non avendo un manager ufficiale o un promoter di fiducia, se voglio combattere l’avversario devo procurarmelo io, o meglio, ci deve pensare Gabriele, che è un santo» riprende, mentre sorseggia il cappuccino che ha ordinato. «Altrimenti mi chiamano per propormi match contro i beniamini di casa in cui so già che favoriscono l’altro pugile. E allora non ci sto a salire su un ring in un evento da quattro soldi, prendere pugni in bocca e magari perdere pure perché mi rubano l’incontro. Col cazzo, piuttosto non combatto. Pensa che tre giorni prima di quello che sarebbe dovuto essere il mio esordio da professionista, in Toscana, il mio Maestro dell’epoca mi scrive che c’erano problemi burocratici e l’incontro rischiava di saltare. Poi non mi dice più nulla. Allora il giorno del peso, ho preso e sono andato a fare sparring a Milano. Finiti i guanti mi chiama il mio Maestro e mi dice: “Ma come, non ti sei presentato per fare il peso?”. Ma se manco sapevo se c’era l’avversario! Sono impazzito, piangevo e volevo andarci lo stesso ma mia madre mi ha fermato. Ho dovuto pure pagare una penale per aver fatto saltare l’incontro, i soldi glieli ho tirati addosso. A quel punto ho deciso di andare negli Stati Uniti, prima a Miami, per quasi due mesi, e poi a Santo Domingo, dove ho fatto due match in quindici giorni, che sono le mie vittorie da professionista. Mi hanno dato dei mestieranti ma all’inizio funziona così, e in più lì almeno hai visibilità, caricano i video degli incontri su YouTube. Io non ho paura di andare all’estero o di combattere lontano da casa alle giuste condizioni, perché sono abituato ad andare a fare gli sparring da solo, senza avere nessuno all’angolo. A breve tornerò nella Repubblica Dominicana per un altro incontro, sarà il 24 settembre e lo trasmetteranno in diretta streaming, dopo c’è una proposta interessante in gioco e più avanti spero di riuscire a combattere qui, in Italia. A Miami ho fatto sparring con atleti di ottimo livello, li affrontavi e magari scoprivi che erano imbattuti con una dozzina di match alle spalle, quindi gente tosta».

«Non ci sto a salire su un ring in un contesto scadente, prendere pugni in bocca e farmi rubare l’incontro. Piuttosto non combatto». Credits: Luca Sprea

Da “Rocky” a Rocco «Senza la boxe non mi comporterei bene come faccio ora» confessa. «Da ragazzino frequentavo compagnie sbagliate, andavo a ballare la musica techno ai festival e capitava che prendessi qualche droga sintetica. Sono periodi, forse ci si deve passare. Il problema è che facevo i rave e poi andavo direttamente al match… Ho fatto tante cazzate. In futuro sogno di vincere il titolo italiano per mio padre, perché quando combatteva ha provato a conquistarlo due volte senza successo, anche se è stato il numero 5 in Europa quindi ha avuto una carriera importante. Per ora mi accontenterei di qualche cintura minore, arriverò al resto. Sai, ci sono stati dei momenti in cui non ci ho più creduto neanche io. Sono andato avanti per inerzia, facevo la boxe senza un obiettivo. Ma papà mi ha sempre detto: “Devi allenarti anche quando non sai perché lo fai, persino se tutto va male”. E così ho fatto». Mentre lasciamo il bar Vassallo dà 5 euro a un ragazzo che fa l’elemosina, e io gli faccio l’ultima domanda: «Eh, che cos’è per me la felicità… Non saprei» mi risponde. «Ti faccio un esempio: quando vinco un incontro sì, sul momento sono contento, ma è relativo, non riesco a godermi quella sensazione perché guardo subito oltre, dopo qualche momento di smarrimento, oppure trovo sempre un difetto. La felicità per me è il periodo di preparazione a un match, quando hai quell’ultimo mese in cui devi spingere forte in vista del traguardo e magari vai a fare il camp all’estero e vivi una bella esperienza. L’attesa prima del risultato, più che il risultato stesso. Nella vita sono felice quando so che i miei genitori stanno bene, non chiedo altro. Oppure quando sto con una ragazza che mi piace, anche se tendo sempre a fuggire dalle relazioni. Se mi stufo o mi impaurisco? Non saprei, sta di fatto che mi allontano. Sarà perché in passato sono stato tradito, ho avuto un rapporto malato per cui ho sofferto tanto, perdendo la fiducia negli altri, e mettici anche che sono un tipo solitario, che va a periodi. Ormai mi sono abituato a stare da solo, a non avere legami. Dalla boxe ho imparato che puoi trarre energie positive da un episodio negativo. Quando una cosa ti ferisce, ti fa male, suscita una reazione e sprigiona energia, sta a te elaborarla e saperla indirizzare, renderla utile. Mentre la vita mi ha insegnato a fidarmi solo di me stesso, e neanche completamente, mai degli altri. In tanti mi hanno deluso, come ti dicevo, persino alcuni amici, e sono rimasto scottato. Non bisogna dare troppo peso alle persone che abbiamo intorno, ce le si può godere e trascorrerci dei bei momenti, ma non devono influenzarci oltre un certo limite». Ci salutiamo con un abbraccio, e Rocco mi ringrazia per l’intervista, dicendo che anche queste cose lo motivano ad andare avanti, a continuare a crederci. https://www.youtube.com/watch?v=Wj_maC9HMX8&t=39s Il giorno dello sparring con Mazzon, mentre stavamo pranzando tutti insieme, si è fermato a scambiare due chiacchiere un ex pugile professionista che conosceva Gabriele, il proprietario del negozio di surf. A un certo punto l’ex pugile ha chiesto a Vassallo: «Tu con chi sei che non mi ricordo?», intendendo in quale palestra si allenasse. “Rocky” lo ha guardato e gli ha risposto, secco, sicuro, quasi duro: «Io sono con me stesso».

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