L’uomo più cattivo sul pianeta terra
"The Baddest Man on the Planet" è il modo in cui nel pugilato prima e nelle MMA poi ci si è rivolti al campione dei pesi massimi. Perché i pesi massimi non rappresentano solo la più alta categoria di peso negli sport da combattimento (escludendo i supermassimi, molto meno prestigiosi), ma sono anche lo spettacolo in cui alcune espressioni delle MMA vengono estremizzate.
Il rematch tra Daniel Cormier e Stipe Miocic era uno scontro di stili molto interessante dal punto di vista tecnico, arricchito a un livello narrativo dai loro precedenti. Il match arriva un anno e un mese dopo il primo, disputato nel luglio dello scorso anno a UFC 226. Dopo mesi di trattativa, una difesa titolata da parte di Daniel Cormier contro Derrick Lewis, il fantasma di Brock Lesnar a minacciare l’immediata rivincita, per Miocic si trattava forse del match più importante della carriera.
Miocic è stato il campione più dominante nella storia UFC dei pesi massimi, con tre difese titolate all’attivo. Cormier però gli aveva tolto il titolo in maniera sorprendente. Un fighter che aveva passato l’ultima parte della propria carriera nella divisione inferiore. Daniel Cormier però non è un fighter qualsiasi, ma uno dei migliori in circolazione, anche per una capacità di adattamento prodigiosa.
Già dal weigh-in si capisce l’aspetto più importante della sfida: la condizione atletica. Sia Cormier che Miocic si sono presentati più leggeri rispetto al loro primo match.
Il primo round è stato tutto per DC: Miocic fatica a trovare le misure e Cormier lo punisce con diversi leg kick; entra a piacimento in clinch e realizza un takedown con annessa slam. Cormier tiene Miocic sospeso prima di schiantarlo al suolo. Miocic però non concede la schiena, e anzi recupera la mezza guardia e difende la posizione.
Un’autentica impresa contro un wrestler eccezionale come Cormier. I due comunque poco dopo tornano in piedi, con Miocic che quasi riesce a colpire DC con un upkick. La sensazione al termine del primo round è che Cormier sia partito col solito copione: controllo delle distanze superbo (nonostante la differenza di stazza e allungo), wrestling e grande pressione. Infine, attività da terra per guadagnare posizione e sfruttare il ground and pound. Una strategia applicata con un’efficacia difficile da arginare.
Nel secondo round, però, Miocic entra più convinto. Attende l’avanzamento di DC, lo attrae in modo da farsi attaccare, si muove e colpisce. Cormier però ha ancora l’inerzia dalla sua: connette una gomitata, affonda ancora su Miocic, poi lo raggiunge con un eye poke che Herb Dean giudica regolare. Cormier prova a portare a parete Miocic, che però ribalta la situazione e inizia a colpire DC fino a guadagnare l’inerzia nel corso dell’azione. Cormier però riesce a raggiungere Miocic con un uppercut.
Il campione è ancora padrone del match. Miocic soffre l’avanzamento di DC e rischia di buttare via il match. Al termine della seconda ripresa si ha la sensazione che Cormier sia totalmente in controllo, nonostante qualche buona uscita da parte di Miocic.
Il terzo e il quarto round sono uno l’evoluzione dell’altro: Miocic inizia a trovare delle aperture, ma è ancora Cormier a dettare il ritmo, cercando il clinch e raggiungendo l’avversario con montanti e ganci. In certe fasi sembra di rivedere il match contro Gustafsson. Miocic però connette buoni colpi, soprattutto jab e ginocchiate. Comincia ad accettare di scambiare col suo avversario. Dal canto suo, Cormier non ascolta l’angolo, che lo prega di portare a segno un takedown e controllare Stipe al tappeto.
Nel corso del quarto round si realizza l’imprevedibile: mentre Cormier pare avere la situazione sotto controllo, Miocic trova l’apertura per un colpo al fegato. Non sembra un colpo pesante, ma ha capito che Cormier ha difficoltà ad intercettare il colpo e ad azzeccarne la parabola con cui va a segno. Da quel momento l’incontro inizia a girare. Attraverso delle finte Miocic inizia a far aprire sempre di più Cormier, che comincia a subire l’offensiva dell’avversario. Miocic demolisce il corpo di Cormier e poi passa al volto. Mette a segno almeno quattro buoni colpi. Cormier si accascia. L’arbitro interrompe il match al quarto round decretando il TKO in favore di Stipe Miocic.
È successo tutto così in fretta che l’atmosfera è surreale. Stipe Miocic è pronto a indossare ancora la corona dei pesi massimi, e se l’è ripresa in un incontro che sembrava compromesso grazie alla calma e alla lucidità con cui ha cambiato strategia in corso d’opera. È riuscito a trovare il glitch nel Matrix, il difetto nella Morte Nera, la falla in un sistema quasi perfetto, Daniel Cormier.
Video e sottotitoli di Tere Fight Italia.
DC ha descritto la sua sconfitta come “una pillola amara da mandare giù”, rinviando ogni considerazione sull’eventuale ritiro. Una nuova pagina dello sport viene scritta da Stipe Miocic, il secondo uomo, l’unico oltre a John Jones, a battere Daniel Cormier, campione di due categorie in UFC.
Nate Diaz è tornato
Il co-main event di UFC 241 si presentava come un papabile Fight of the Night (premio che invece è stato assegnato al match precedente in card, tra Paulo Costa e Yoel Romero, di cui parliamo tra poco), perché Anthony Pettis e Nate Diaz sono due dei fighter più spettacolari e carismatici dell’intero roster UFC. Se poi ci aggiungete il fatto che Nate Diaz non combatteva da 3 anni e che Pettis era in forte ascesa, dopo la splendida e spettacolare (scusate ma quando si parla di Pettis è un aggettivo che torna spesso) vittoria contro Thompson e l’altrettanto spettacolare e più che onorevole sconfitta contro Tony Ferguson.
La vittoria di Pettis su Stephen Thompson è stata tanto inaspettata quanto brillante, arrivata grazie ad un pugno a pendolo (superman punch) che ha trovato la linea giusta per mandare al tappeto il suo avversario. Pettis era all’esordio nei Welter ed è riuscito a diventare il primo uomo a mettere KO Thompson, includendo anche la sua carriera nella kickboxing. Insomma, l’ex campione dei Pesi Leggeri WEC e UFC, dopo un periodo con più ombre che luci aveva trovato la vittoria più importante della sua carriera, per giunta in una categoria superiore a quella a cui era abituato.
Per questo si presentava con i favori del pronostico contro un redivivo Nate Diaz, lontano dall’ottagono da tempo immemore: era l’agosto del 2016 quando vedeva Conor McGregor superarlo con verdetto di decisione maggioritaria (UFC 202). Disinteressato al rientro, di lui si erano perse le tracce fino a quando, come un fulmine a ciel sereno, venne annunciato il suo ritorno contro Pettis.
Una delle cose che più ha segnato il match è stato il ritmo forsennato, dal primo minuto del primo round all’ultimo del terzo. Sorprendentemente ma fino a un certo punto (parliamo di uno che nel tempo libero fa triatlhon), Nate Diaz ha condotto le danze in avanzamento, mettendo pressione a Pettis e sporcando l’incontro grazie alla propria dirty boxing, sicuramente non elegante ma estremamente efficace, ed alla grande capacità nel clinch, evitando ogni colpo pericoloso.
“Showtime” Pettis se siete tra i pochi a non sapere perché si chiama così, cliccate qui) ha tentato più volte di esporre Diaz e di colpirlo in counterstriking, ma senza successo: lo stile estroso ed altamente spettacolare di Pettis non ha sortito effetto su un Nate Diaz troppo robusto, convinto della resistenza della propria mascella e pertanto pronto ad ogni scambio brutale.
Nel corso del primo round si è visto spesso Pettis muoversi bene in arretramento, con molte finte e movimenti laterali volti ad esporre Diaz, che però è andato incontro a Pettis provando ad aprire la sua guardia con qualche jab, per poi preferire accorciare e chiudere Pettis a parete, dove ha potuto colpirlo con le prime ginocchiate. Proprio le ginocchiate sono state un’arma fondamentale nel successo di Diaz, che ha avuto successo anche con un takedown, che è servito a Pettis per impostare una ghigliottina, ancora senza successo. I due si rialzano e parte un’azione frenetica che vede Diaz avere la meglio prendendo la schiena di Pettis e portarlo a terra, poco prima della fine del round.
Le caratteristiche di Diaz - abituato ad accorciare e fare bagarre dalla corta distanza - sembrano sposarsi benissimo con lo stile di Pettis, che invece ha bisogno di ampie distanze per esprimersi al meglio. Il secondo round si apre con un leg kick di Pettis, che prende però la peggio sul block effettuato da Diaz, finendo a terra. La strategia di Diaz nel secondo round ha successo quando mette ancora a parete Pettis e lo costringe a subire delle ginocchiate al corpo. Diaz sembra essere in pieno controllo dalla corta distanza e nel grappling in generale e nonostante le buone risposte da parte di Pettis chiude il round vincendo anche l’ultimo scambio.
Il terzo round vede il dominio totale da parte di Nate, ma allo stesso tempo mette in mostra una tempra di ferro da parte di Pettis. Diaz inizia il round mettendo pressione e cercando ancora la dirty boxing e le ginocchiate da parete, Pettis prova un headkick: ma Nate sa che il suo avversario è estremamente pericoloso e quindi accorcia immediatamente, trovando anche il successo con due ginocchiate di cui una al volto. Pettis è stordito, sembra essere l’inizio della fine, e invece Pettis è ancora nel match (merito anche dell’arbitro Mike Beltran che lo invita più di una volta a difendersi, dandogli il tempo necessario per rispondere).
Nel dominio della teraz ripresa Diaz prende la schiena di Pettis e ha il controllo prima che quest’ultimo riesca a ribaltare la situazione, finendo nella sua guardia. Anche da terra però, Diaz è iperattivo e pericoloso: le sue gomitate vanno a colpire l’avversario alla testa, prendendo tempo e rimanendo attivo, e dopo un viavai di prese alla schiena che finisce in favore di Diaz, e qualche colpo in ground and pound, il match finisce.
Si dice sempre che i match come questo hanno due vincitori, non solo perché questo tipo di match restano nella memoria di chi li guarda ma anche perché per farli ci vogliono a prescindere due fighter unici. La vittoria sui cartellini, però, è giustamente assegnata in maniera unanime a Nate Diaz, tornato in una forma davvero incredibile, dimostrando ancora una volta che grazie ad uno stile old school fatto di dirty boxing e di un gran jiu-jitsu - oltre che ad un mento di ferro - può fare ancora grandi cose.
Borracinha ha confermato l’hype
L’incontro tra Yoel Romero e Paulo Costa “Borracinha” è stato premiato come “Fight of the Night”, questo nonostante abbia lasciato qualche dubbio sulla decisione finale.
Sfidando uno dei fighter più forti di categoria, Costa aveva l’occasione di dimostrare di appartenere all’élite dei pesi medi. Una prova superata brillantemente. Anche se in molti contestano l’effettivo risultato finale sui cartellini, nessuno invece può più permettersi di dubitare dello spessore dell’incontro del brasiliano.
Ad impressionare di Costa più di ogni altra cosa è stata la sua aggressività in avanzamento. Ha combattuto con un’attitudine impavida, pronto a subire colpi pesanti anche contro un fighter pericolosissimo come Romero. Borracinha è rimasto comodo nella sua impostazione non ortodossa, capace di cambiare guardia a piacimento e di essere efficace da qualunque posizione.
Romero ha 42 anni, un fisico scultoreo e una mandibola ancora affidabile. Il suo cardio però inizia a vacillare e lo costringe a scegliere con attenzione i propri colpi. Quello del cardio è un problema invece che non sembra preoccupare particolarmente Costa, sempre spavaldo e pronto a colpire.
I primi tentativi di Costa a dire il vero risultano un po’ telefonati. Romero evita agilmente dei leg kick e rientra, cercando di comprendere da subito il range da cui lavora il suo avversario. Se c’è una qualità che spicca nello stile di Romero, oltre all’incredibile atletismo, è senz’altro la sua intelligenza: il cubano sembra adattarsi facilmente al suo avversario, ed è capace di esporlo, condurlo all’errore e approfittarne.
Bisogna però sottolineare la robustezza e la solidità di Borracinha. Costa subisce i primi colpi singoli da parte di Romero, abbocca a qualche finta, ma è sempre in piedi e in avanzamento, pronto a tagliare ogni angolo d’attacco e di fuga di Romero. In poco tempo lo costringe a combattere a parete, ma non va in clinch: sceglie la distanza e inizia a martellare; centra anche Romero con due buoni ganci, ma il cubano risponde, facendo perdere l’equilibrio a Costa e mettendolo a sedere. I due sorridono e continuano a scambiare.
Per la prima volta Romero ha serie difficoltà a imporre la propria lotta proprio per via delle caratteristiche di Costa: solido, dall’ottimo equilibrio e dalla grande forza fisica, Borrachinha non ha troppe difficoltà a scrollarsi di dosso Romero e a costringerlo a tornare a scambiare dalla distanza.
Nel corso delle battute finali del primo round Romero sembra stanco: subisce un colpo basso, recupera lentamente, poi stenta a ripartire allo stesso ritmo. Guardingo e dalla postura molto laterale, gira all’esterno fino alla fine della ripresa per evitare i colpi duri dell’avversario.
Il secondo round riparte sulla falsariga del primo: Costa conduce l’incontro, Romero prova a rientrare col counterstriking. Le linguacce che riserva a Costa sembrano tradire stanchezza. Anche Costa non è più al massimo e subisce dei reverse jab, colpi dati col dorso della mano, ai quali risponde con buoni middle kick circolari. Romero cerca di controbattere, ma Costa è un muro: mangia tutti i colpi del cubano e torna con colpi più potenti. L’evoluzione di Borracinha è chiara, dal punto di vista del ritmo, della precisione dei colpi e della gestione dell’incontro.
Nel corso dell’ultimo minuto costringe ancora Romero a indietreggiare e lo punisce con buone combinazioni di braccia che lo fiaccano. L’unica soddisfazione per Romero è un takedown dell’ultimo secondo.
Nel terzo round finalmente Romero risponde. Il serbatoio è quasi finito, ma il cubano ha ancora gas per offrire per cinque minuti di fuoco. I due sono visibilmente più lenti rispetto ai round precedenti, ma continuano a scambiare. La strategia di Costa è ancora quella di fiaccare il corpo di Romero usando i calci circolari. Romero risponde con dei diretti che trasforma in reverse jab, dati col dorso della mano. L’iniziativa sortisce effetto, centrando spesso il brasiliano sulla bocca.
Romero comunque capisce che è il momento di schiacciare l’acceleratore, negli ultimi due minuti, seppur in arretramento, è lui il protagonista: si scioglie e comincia a lasciar andare le braccia, centrando spesso Costa al volto. Il brasiliano prova a contrattaccare, ma nel corso di questa ripresa Romero ha un ottimo pugilato. I due si sfidano anche psicologicamente: mani dietro la schiena per entrambi, richieste di scambiare a parete da parte di Costa mentre Romero vuole il centro dell’ottagono, ancora colpi pesanti. Quando, verso la fine, Romero riesce finalmente a mettere Costa a parete, però, inaspettatamente rinuncia a continuare a colpirlo. Costa richiama la sua attenzione invitandolo a rientrare, il cubano però vuole ancora una volta il centro dell’ottagono. Le braccia di Romero sono basse, subisce un headkick senza troppa foga e poi, in un tentativo di clinch, assorbe anche buoni montanti al corpo. Ecco l’essenza di Yoel Romero: può essere colpito, ma non può essere distrutto.
Costa rimane aggressivo e si svincola lateralmente da un tentativo di takedown prendendo la schiena. Quando i due tornano in piedi sarà Costa a mettere l’ultimo colpo: uno spinning backfist abbastanza potente, ancora una volta assorbito da Romero.
Il verdetto dei giudici è unanime: 29-28 per Costa, un risultato condivisibile nonostante i fischi e i boati di disapprovazione del pubblico che vedeva vincente Romero.
Costa ringrazia tutti, poi loda Romero, infine chiede ciò per cui è lì: la chance titolata. A seguito del match di UFC 243, che avrà luogo il 6 ottobre al Marvel Stadium di Melbourne, Australia, e che vedrà l’unificazione del titolo dei pesi medi sarà difficile ignorare ancora Paulo Costa. Borracinha ora è davvero ai vertici, con un percorso simile a quello di Adesanya, culminato però con la vittoria su uno dei pesi medi più duri e forti di sempre. Alla luce di una prova così brillante sarà complicato negargli la futura title shot, specie se il titolo dovesse vincerlo Israel Adesanya, un fighter che con Costa si punzecchia su Twitter da parecchio tempo. Un incontro che probabilmente non dovremo attendere a lungo.