Cosa resta di questa Coppa d’Africa
Cosa abbiamo imparato dall’inaspettata vittoria del Camerun.
La delusione egiziana
di Gabriele Anello
Parafrasando un famoso passo di Per un pugno di dollari: «Quando una striscia positiva incontra una maledizione targata Héctor Cúper, quella striscia sta per morire». Nonostante la cabala non possa sconfiggere le statistiche, in Africa è sempre tremendamente di moda, specie nel contesto di un ultimo atto. L’Hombre Vertical non ce l’ha fatta: ha perso la sua sesta finale, la prima da ct di una Nazionale, ma soprattutto ha intaccato la striscia da 24 partite senza sconfitte nella fase finale della Coppa d’Africa, che proseguiva dal gennaio 2004.
Dopo le tre mancate qualificazioni (2012, 2013 e 2015), era importante che l’Egitto potesse dare un segnale di vita, superando il girone e magari puntando a qualcosa in più strada facendo. È sembrato chiaro fin da subito che l’Egitto tri-campione tra 2006 e 2010 – quello guidato da Hassan Shehata – fosse una squadra più debole, ma di gran lunga più divertente rispetto a quella attuale. L’obiettivo dei “Faraoni” non è mai stato quello di divertire in questa edizione: il profilo di solidità e ripartenze proposto da Cúper è stato anzi più che mai funzionale in una Coppa d’Africa dal tasso qualitativo molto basso.
Una scelta ripetuta anche in finale, specie contro un Camerun apparso attivo, ma confusionario nella prima frazione. Dopo il vantaggio firmato Elneny e l’intervallo, l’impressione generale era che l’Egitto avesse la situazione in pugno, e un 2-0 avrebbe chiuso qualunque contesa. Ma l’atteggiamento estremamente difensivo, opposto alle forti motivazioni (e un paio di cambi azzeccati) hanno finito per regalare l’AFCON al Camerun. Tuttavia, si può dire che l’Egitto abbia perso questa partita senza bisogno di aiuti: zero tiri in porta dopo il gol dell’1-0, squadra poco veloce nel ripartire e spesso colta di sorpresa – soprattutto atleticamente – dalle transizioni avversarie. Il solo cambio di Sohbi non ha potuto cambiare questa situazione.
Salah ha contribuito a tutti e cinque i gol dell’Egitto in questa Coppa d’Africa (compreso quello in finale), ma ci sarà un motivo se alla fine il premio di MVP è andato a Christian Bassogog.
Al di là della delusione (ovviamente cocente), l’Egitto può contare comunque su un futuro luminoso, fatto di una qualificazione al Mondiale 2018 più che possibile. Cúper si è difeso prima della finale, rispondendo alle critiche per un gioco considerato difensivo: «Non posso soddisfare 90 milioni di tifosi: la responsabilità delle scelte, alla fine, ricade su di me». E in fondo ha ragione: El-Hadary rimane uno degli MVP della competizione (ha vinto il premio di miglior portiere), l’Egitto ha incassato tre reti in sei gare, l’età-media dei giocatori più forti è abbastanza bassa (dai 25 di Hegazy ai 19 di Sobhi). Soprattutto la nazionale ha di nuovo un futuro, confermato dall’esito della AFCON 2017. Per molti con Cúper. Per altri, nonostante l’argentino.