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Cosa rende speciale l'Inter
23 apr 2024
Un'analisi tattica di una squadra stellata.
(articolo)
8 min
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Alla sua terza stagione alla guida dell’Inter, dopo aver arricchito la sua bacheca personale - e quella dei nerazzurri - con due Coppe Italia e tre Supercoppe, Simone Inzaghi ha finalmente conquistato il suo primo scudetto. Un trionfo che certifica il successo di uno dei progetti più entusiasmanti e completi degli ultimi anni in Serie A, nonostante una situazione societaria che è stata a tratti complessa. Tra l’inverno e la primavera di appena un anno fa la storia dell’Inter di Inzaghi sembrava addirittura aver raggiunto un punto di non ritorno, e invece aver mantenuto la fiducia nel lavoro dell’allenatore ha infine premiato la dirigenza nerazzurra.

Dopo la già incredibile finale di Champions dell’anno scorso, che sembrava l’apice più alto possibile per questa rosa, l'Inter è riuscita a vivere una stagione per certi versi ancora più entusiasmante dal punto di vista del funzionamento della squadra, delle intese di gioco, del rendimento dei singoli. Insomma: per tutto il campionato l’Inter è stata una sentenza inesorabile, per qualsiasi tipo di avversario. Tutto ciò nonostante la perdita di pilastri dello scorso anno come Onana, Brozovic, Dzeko e Lukaku. Oggi questi sembrano nomi lontani, ma se è così è solo perché il lavoro di Inzaghi ha continuato a portare l'Inter avanti.

La stagione dell'Inter l'abbiamo raccontata anche attraverso "Che Partita Hai Visto", il nostro podcast riservato agli abbonati sulle partite più importanti della settimana.

Nelle stagioni precedenti Inzaghi aveva già fatto vedere qualcosa di innovativo e interessante, in particolare con l’uso offensivo dei “braccetti” della sua difesa a tre. In questa, però, l'Inter si è espressa nella sua forma più radicale di sempre, con una fluidità di gioco memorabile e unica in Italia. Com'è noto, i nerazzurri non sono mai stati famosi per la capacità di creare superiorità saltando l’uomo, anzi: anche quest’anno, secondo StatsBomb si tratta della squadra con meno dribbling tentati per 90 minuti di tutta la Serie A: 9.12. Si potrebbe pensare quindi a una squadra che ha raggiunto il suo traguardo soprattutto attraverso la solidità, la compattezza, limitando i rischi. D'altra parte il modulo di riferimento è il 3-5-2. Questo però, come sappiamo, è molto lontano dalla realtà.

È vero che l’Inter ha avuto una tenuta difensiva di alto livello, e che la sua efficacia difensiva è stata fondamentale per mantenere un rendimento così costante nel tempo. Ma, allo stesso tempo, il suo stile di gioco con il pallone è diventato con gli anni sempre più ambizioso, fluido, dinamico. Un atteggiamento che ha compensato ampiamente la carenza di dribblatori “puri”, creando vantaggi competitivi in ogni zona del campo attraverso l’imprevedibilità di movimenti, e che è diventato il vero tratto distintivo di questa squadra, ciò che insomma l’ha resa diversa e interessante.

Una delle azioni “virali” dell’Inter di quest’anno, nella partita di andata contro l’Atletico Madrid, con i difensori a un certo punto tutti davanti ai centrocampisti scesi a impostare: Pavard a destra, De Vrij al centro insieme a Bastoni.

Le azioni dell’Inter iniziano sempre in maniera paziente: Sommer si è integrato perfettamente nella costruzione calma dei nerazzurri, gestendo una grande mole di palloni anche sotto pressione. Tipicamente i due difensori laterali si allargano già nelle prime fasi delle azioni, consentendo agli esterni di salire (anche se Dimarco tende a rimanere più vicino) lasciando lo spazio interno libero per l’abbassamento (se necessario) di un centrocampista, di solito Calhanoglu (ma anche Barella si trova spesso nelle vicinanze). Se l'Inter non riesce a superare subito il pressing avversario, trovando un’accelerazione della verticalità, l’altezza del palleggio interista si alza gradualmente, e i posizionamenti iniziano a farsi meno leggibili, meno costanti: è allora che la fluidità inizia a manifestarsi a pieno.

Azione del gol del raddoppio contro il Monza. De Vrij si smarca in avanti ricevendo da Barella, per poi saltare l’uomo e creare i presupposti per l’attacco dell’area in vantaggio dinamico.

I difensori laterali dell’Inter accompagnano praticamente sempre gli sviluppi offensivi nella metà campo avversaria. La qualità di rifinitura e palleggio sulla trequarti di Bastoni si è cristallizzata nella ricerca di smarcamenti costanti in avanti per il difensore della Nazionale. Ma anche dall’altra parte, soprattutto con Pavard, l’Inter riesce a spingere regolarmente col difensore laterale. In questo modo, anche le doti balistiche di Dimarco hanno trovato maggior coinvolgimento nella finalizzazione delle azioni.

L’asse di sinistra è diventato così sempre più determinante per le azioni dell’Inter (una costante dei tre anni di Inzaghi), sia per una risalita funzionale del pallone che per l’incisività negli ultimi metri. Dimarco e Bastoni riescono perfettamente a coadiuvare i compagni di reparto e i centrocampisti nel lavoro di attrazione e superamento del pressing, per poi andare ad accompagnare l’azione più avanti. Dall’altro lato, invece, l’apporto di Dumfries e Darmian si è concentrato soprattutto sul tempismo nei tagli senza palla in profondità.

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Qui sopra vediamo quattro momenti rappresentativi dello stile offensivo dell’Inter. Nella prima azione, si viene a creare un tentativo di sovraccarico sulla sinistra con Sanchez in allargamento, Calhanoglu a supporto interno, e Bastoni e Dimarco entrambi alla ricerca di smarcamenti interni. Nella seconda azione Pavard ricerca il traversone anticipato notando il movimento in area dell’esterno opposto, in questo caso Dimarco. Poi uno dei gol più iconici di questa stagione: l’assist di Bastoni per Darmian contro il Napoli, un altro caso di assist di un centrale per l'esterno opposto. Infine, contro il Bologna, il capolavoro della proposta tattica di Inzaghi: il gol di Bisseck, con assist da centrale a centrale.

Questo tipo di movimenti dei difensori non sarebbe sostenibile senza un adeguato sistema difensivo che possa permettere di recuperare il pallone perso e riciclarlo. Anche per questi aspetti è stata decisiva la stagione di Calhanoglu, sempre più inserito nel cuore del gioco nerazzurro come primo riferimento davanti alla difesa. Oltre al grande contributo di gol (principalmente grazie alla sua costanza dal dischetto), il centrocampista turco non ha fatto rimpiangere un perno come Brozovic, interpretando la nuova posizione a suo modo, alternando sventagliate chirurgiche a trame di passaggio più corte per manipolare le pressioni avversarie spostandosi indietro, davanti, di lato. Ai suoi fianchi, Barella e Mkhitaryan con la delicata funzione di svuotamento e riempimento continuo degli spazi interni hanno contribuito a loro volta a rendere illeggibile la fluidità dell'Inter, completata dai movimenti incontro delle punte o le fughe in avanti di esterni e difensori.

Una coppia dinamica come Lautaro-Thuram, in questo contesto di continue occupazioni, svuotamenti e riempimenti degli spazi centrali, ha dato vita a un’intesa perfetta in termini di movimenti e abbinamenti tecnici. La voglia di Lautaro di andare incontro per legare il gioco, giocando a scarico o girandosi per poi muoversi liberamente, ha trovato una compensazione perfetta nel nuovo partner Thuram, a suo agio sia nel lavoro di cucitura che nell’attacco della profondità, oltre che sfogo, al bisogno, per il gioco lungo.

Non è stato sempre così, però: nella prima immagine qui sopra, per esempio, Thuram si è reso disponibile andando incontro per una verticalizzazione di Bastoni, leggendo poi l’opportunità di scarico sull’inserimento da terzo uomo di Mkhitaryan. In tutto questo, Lautaro aveva iniziato a portarsi verso l’area, trovando poi la finalizzazione per il gol del vantaggio. Nella seconda azione, invece, è Thuram ad attaccare in avanti (venendo servito benissimo da Darmian con un lancio di sinistro).

La sinfonia fluida dell’Inter è risultata bella ed efficace perché, nella sua costanza, ha mantenuto irregolarità, imprevedibilità. Rotazioni, scambi di posizione e movimenti spontanei e caotici, ma non confusionari. L’Inter è diventata una delle squadre più difficili da pressare e contenere in Europa grazie alle molteplici soluzioni di risalita del campo e alla dinamicità con cui tutti i suoi giocatori di movimento danzano nello spazio all’interno della propria struttura, e quindi in quella avversaria, in maniera poco codificata.

Certo, nella spontaneità e irregolarità dei movimenti dell’Inter in possesso, ci sono state delle costanti, delle situazioni più frequenti di altre, delle dinamiche emergenti dalle inclinazioni dei singoli giocatori che sono diventate strada facendo delle certezze da ricercare. Ed è probabilmente questo il merito più alto di Inzaghi: essere riuscito a leggere e mettere insieme le migliori qualità dei giocatori a disposizione, valorizzandone le interazioni e la libertà di interpretazione pur mantenendo una coerenza strutturale, che a sua volta si reggeva sulla stessa malleabilità e sensibilità di lettura dei giocatori: capire quando svuotare uno spazio, quando riempirlo, quando coprire l’avanzata di un compagno o diventare un riferimento attivo per la progressione dell’azione, e così via.

In un calcio dove gli atteggiamenti tattici e le filosofie di stile sono sempre più sfumate, nonostante le solite battaglie di etichetta, l’Inter di Inzaghi ha rappresentato un’eccellenza che ha accontentato tutti, dimostrando come l’imprevedibilità di movimento e i movimenti dei giocatori più arretrati possano coesistere con una solidità strutturale di base.

La vittoria dello Scudetto è il coronamento del percorso di Simone Inzaghi, capace di arricchire le sue squadre sempre di più, un pezzo di novità alla volta, fino ad arrivare a questa versione dell’Inter, la più dominante e allo stesso tempo tatticamente più ricca della sua gestione. Niente sarebbe stato possibile, però, senza le peculiarità dei suoi giocatori: dalla personalità di Sommer, la qualità di Bastoni e Calhanoglu, l’intraprendenza di Dimarco e Barella, la capacità di associarsi di Thuram, l’inesorabilità di Lautaro, l’affidabilità e duttilità di Darmian.

Inzaghi è stato abile a capire i suoi giocatori, i principali protagonisti di questa cavalcata entusiasmante, e a “metterli insieme”. Non è proprio questo che dovrebbe fare un grande allenatore?

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