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Daniele V. Morrone
Cosa pensare della regola del 50+1?
10 mar 2018
10 mar 2018
Giacomo ci ha chiesto della regola che in Germania permette ai tifosi di avere la maggioranza delle quote del proprio club. Risponde Daniele V. Morrone.
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Daniele V. Morrone
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Cara redazione,

cosa pensate della 50+1 rule? La considerate una regola lungimirante o no? Può ancora essere sostenuta? Mi piacerebbe sentire la vostra opinione su questo argomento molto discusso.

 

Giacomo

 



 

Ciao Giacomo, grazie per la domanda, che ci permette di approfondire una questione che nel passato recente abbiamo affrontato 

 sul perché è difficile confermarsi nella Bundesliga. Della regola del 50+1 ne avevamo scritto anche tre anni fa nel pezzo sulla Red Bull e il calcio, chiamato “

”. La questione però di recente è però diventata centrale nel dibattito del calcio tedesco ed è bene riaffrontarla.
Prima di risponderti vorrei costruire un minimo di contesto: fino al 1998 le squadre di calcio tedesche erano considerate organizzazioni no-profit ed erano quindi in mano ai tifosi che ne desideravano diventare soci pagando la quota annuale. Le uniche eccezioni contemplate erano il Bayer Leverkusen e il Wolfsburg, da sempre legate alla fabbrica (la Bayer e la Volkswagen). Dal 1998 per aumentare la competitività economica del calcio tedesco la Federazione ha aperto alla trasformazione dei club in società (pubbliche o private), con la condizione però che il 50%+1 della proprietà dovesse necessariamente rimanere ai tifosi-soci. Insomma, un privato può prendere quante quote vuole di una squadra fino al 49%. Nel caso del Bayern ad esempio il 49% è posseduto in parte da tre famose aziende bavaresi come Audi, Adidas e Allianz. Nel tempo c’è chi si è opposto in modo chiaro alla regola, come il presidente dell’Hannover Martin Kind, e chi ha trovato invece il modo di aggirarla, come il presidente dell’Hoffenheim Dietmar Hopp ma soprattutto la Red Bull con il RB Lipsia.

 

Solo di recente, però, è nato un forte movimento per cambiare la regola. Anche il presidente del Bayern Rumenigge si è esposto: «Ognuno dovrebbe decidere da solo se vuole aprire la porta a nuovi investitori. Bisogna lasciare alle squadre la decisione se vogliono farlo. Siamo l’ultima delle 5 grandi leghe in Europa a lasciare fuori gli investitori». Il presidente della Federazione ha poi deciso di aprire un dibattito, soprattutto dopo che il presidente dell’Hannover si è lamentato di questo freno, mettendo in discussione la sua voglia di continuare ad investire.

 

Chi vuole cambiare la regola del 50+1 pensa quindi che sia ormai inadeguata a questo panorama economico. Quando è stata scritta la regola la Premier League non aveva questo potenziale finanziario enorme e non esistevano interi fondi sovrani dietro squadre di calcio, come nel caso del PSG. Se la Bundesliga vuole lottare alla pari con le squadre inglesi o qatariote ci sarebbe bisogno di aprirsi ai grandi capitali. In tutto questo i tifosi si sono invece mostrati in stragrande maggioranza in favore della regola: i tifosi dell’Hannover hanno chiesto al presidente Kind di andarsene, per dire.

 
Dopo aver ricostruito lo scenario, proviamo a rispondere. La regola del 50+1 ha il pregio di mantenere un ottimo equilibrio tra investimenti e identità della squadra. Più che in altri campionati, in Germania i club sono ancora radicati radicata sul territorio (tolto ovviamente il RB Leipzig), mantenendo intatte le proprie unicità e assorbendo i tifosi come parte integrante del proprio brand. Il controllo dei tifosi permette anche di far restare i prezzi calmierati, mantenendo un principio di inclusività allo stadio totalmente assente negli altri campionati.

 

Il 50+1 è stata una regola lungimirante perché ha arginato alcuni fenomeni di distorsione del pubblico calcistico, primo fra tutti quello della gentrificazione, che ha alzato l’età media e la classe sociale dei tifosi che possono permettersi un biglietto. In Inghilterra gli stadi sono pieni ma in pochi possono permettersi il biglietto. Pensare che basti aprirsi del tutto ai capitali stranieri per raggiungere il livello economico della Premier League è utopia. La Premier League ha un primato economico schiacciante per via dei diritti tv, una forma di ricavo che però dipende da diversi fattori (primo fra tutti la lingua inglese). A cui si aggiunge l’avanguardia nel marketing e la spremuta economica nei confronti dei tifosi (biglietti che valgono quanto un bitcoin). Non c’entrano quindi gli oligarchi che mettono soldi, come poteva essere vero dieci anni fa. Ora, per via del FFP, persino Abramovich chiede l’autofinanziamento del Chelsea.

 

La diseguaglianza imperante nel calcio inglese funziona proprio da esempio negativo, come dichiarato dal Presidente del Friburgo Keller: «Lotteremo contro il cambio della regola più che possiamo. Molti club stanno cercando nuovi modi di avere soldi, ma quant’è successo in Inghilterra dovrebbe essere d’avviso».
In Germania la massa sociale conta e se questo non permette forse alle piccole squadre di rimanere a lungo ad alti livelli, è al contempo difficile vedere casi di club - anche grandi - che passano di mano a gente poco raccomandabile per poi fallire. L’ultimo esempio è quello del 1860 München che per via di scelte poco lungimiranti è andato vicino alla bancarotta e alla dissoluzione, eppure si è salvato e sta già ripartendo dalla quarta divisione con tanto di stadio pieno. Avere un rapporto così stretto tra dirigenza e tifo, permette di avere una politica comune attenta ai fenomeni sociali: la società stessa se ne fa promotrice: non è un caso se le tifoserie tedesche in Bundesliga sono per la stragrande maggioranza contro il fascismo e il razzismo. Allo stadio gli striscioni sono anche per l’accoglienza e contro il caro biglietti e non contro la polizia o le squadre avversarie (eccezion fatta ancora per il RB Leipzig).

 

Il player trading (prendere giocatori a poco e rivenderli dopo averli valorizzati) già esiste in Bundesliga e che gli stadi sono già pieni, le maglie sono già vendute e il brand è presente per quanto possibile in ogni mercato (ad esempio in Asia la Bundesliga vende benissimo). Nel nostro scenario va ricordato che gli investimenti che un mecenate può fare sono comunque limitati dal FFP e quelli che una squadra è libera di fare (nuovo stadio, strutture, migliori giovanili, etc) sono già più che coperti dalle squadre tedesche, in questo senso all’avanguardia. Anche se Kind dovesse prendersi il 100% dell’Hannover, a parte alzare il prezzo del biglietto, non avrebbe comunque grandi margini di manovra negli investimenti. Può comprare giocatori e alzare il monte stipendi, ma se nel frattempo gli introiti non sono aumentati viene multato dal FFP una volta che mette piede in Europa. L’idea che Kind possa prendersi tutto l’Hannover e poi sfidare alla pari il PSG suona come una sparata da campagna elettorale.

 

Questo sistema ha generato squadre sane e competitive dal punto di vista economico, già molto avanti nella ricerca dei ricavi commerciali: il Bayern, il Dortmund e lo Schalke sono nelle prime 15 squadre per ricavi commerciali di tutto il calcio nel 2017. Il Bayern è la migliore al mondo. Solo Juventus e Inter per l’Italia rientrano in classifica e sono davanti allo Schalke. I ricavi commerciali sono l’unica cosa a spostare davvero la competitività sportiva della squadra.

 

Watzke, CEO del Borussia Dortmund, ritiene che la strada attuale sia quella giusta e che si debba proseguire così invece di puntare verso un altro sistema che rischia di diventare non sostenibile: «Fin quando qualcuno di quelli che vogliono cambiare la regola mi dice perché si dovrebbe fare se Real Madrid e Barcelona, che sono i due club più di successo al mondo, sono in mano ai loro soci, io lotterò per l’esistenza della regola». Il Borussia Dortmund insegna che è possibile avere uno stadio da 80mila posti sempre pieno, strutture all’avanguardia e una rosa che si mantiene grazie al player trading. Il Dortmund ad inizio 2000 era vicino alla bancarotta e ora è tra le 15 squadre più ricche d’Europa. La 50+1 aggiustata (facilitando l’entrata di capitali stranieri in quel 49%) penso sia il perfetto compromesso tra l’apertura e il mantenimento di questa struttura locale che ha permesso di fare della Bundesliga un campionato virtuoso.

 
Rimane però un problema. La regola ha forse come effetto quello di cristallizzare la competitività interna del campionato. Mi spiego meglio: posto che la massa sociale e il tessuto di investimenti locali attorno ad una squadra va a pesare sul potenziale economico di una squadra, il Bayern che ha dietro una regione intera (può essere a tutti gli effetti paragonato solo al Barça in ambito europeo) avrà sempre un vantaggio enorme rispetto al Friburgo, che viene da una città universitaria che sta in mezzo alla Foresta Nera. A meno di non avere una massa sociale comparabile (Dortmund o Schalke) e un imprenditore o un’azienda locale ricca disposta ad investire sulla squadra (Mercedes per lo Stuttgart), difficilmente questa è in grado di competere con il Bayern.

 

Il Bayern ha quindi fagocitato la concorrenza, rendendo il campionato poco avvincente e i diritti tv meno vendibili di quanto le potenzialità del primo mercato europeo potrebbero far pensare. Ma se anche i diritti tv salissero ancora, lo farebbero anche per il Bayern. Il fatto che solo due squadre negli ultimi dice anni hanno battuto il Bayern fa pensare, ma è anche vero che non basta avere un capitale straniero alle spalle per raggiungere i punti di accumulazione che si sono creati in alcuni campionati Europei. Anche nell’Italia liberista e dai presidenti stranieri sta succedendo lo stesso con la Juventus. Proprio l’Italia dagli stadi vuoti e dai mille problemi di sostenibilità insegna che avere dietro un milionario non garantisce nulla di più di avere una struttura solida in mano ai tifosi come a Dortmund. Come sempre, più che avere soldi conta come li si spende. Il calcio tedesco è altamente sostenibile e competitivo, la regola potrebbe essere aggiustata ma abolirla in questo momento storico sarebbe un controsenso.

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