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Cosa fare con i calciatori non vaccinati?
06 gen 2022
06 gen 2022
Un problema complesso da diversi punti di vista.
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Dal prossimo 10 gennaio tutti i calciatori italiani, compresi quindi anche quelli di Serie A, dovranno essere in possesso del cosiddetto green pass rafforzato, che diventerà obbligatorio non solo per accedere al trasporto pubblico e diversi altri servizi essenziali ma anche per l’attività agonistica all’aperto. Questo nella pratica significa che dovranno essere completamente vaccinati contro il coronavirus o guariti da meno di sei mesi altrimenti non potranno scendere in campo. Nonostante la Serie A abbia una percentuale di calciatori con green pass rafforzato piuttosto alta (circa il 98%) - più alta di quasi tutti e quattro gli altri principali campionati europei (cioè Premier League, 77%, Bundesliga, 94%, Liga, 97%, e Ligue 1, 95%) - non è ancora chiaro cosa debbano fare istituzioni e club con i pochi giocatori che hanno deciso di non vaccinarsi. In termini assoluti parliamo di un gruppo di circa 28 giocatori - cioè «una percentuale attorno al 4, 5% di giocatori che non hanno il green pass da vaccino» come ha specificato il presidente della FIGC Gabriele Gravina - anzi pure di meno perché per «alcuni di loro ciò dipende dal fatto che ne hanno ricevuto uno non riconosciuto nel nostro Paese». Gravina parla dei calciatori che sono stati immunizzati con vaccini non riconosciuti nel nostro paese, come Sputnik V o Sinovac, per cui sembra che il governo italiano sia comunque aperto a fare delle deroghe.


 

Numericamente, in ogni caso, parliamo di un problema apparentemente contenuto. O almeno molto più contenuto che in Premier League, dove ancora oggi ben il 16% dei calciatori secondo il New York Times non ha ancora ricevuto nemmeno una dose di vaccino. Non è un caso che le dichiarazioni più controverse in questo senso siano arrivate proprio dal campionato inglese. Jurgen Klopp per esempio ha dichiarato che in futuro il Liverpool prenderà in considerazione se comprare o meno un giocatore non vaccinato: «Se un giocatore non è vaccinato sarà una minaccia costante per tutti noi. Ovviamente non è che vuole essere una minaccia, ma anche se in teoria non pensa direttamente: “Non mi interessa degli altri”, in realtà lo sta facendo». Con Klopp si è detto d’accordo anche il nuovo tecnico del Manchester United, Ralf Rangnick, che ha dichiarato che lo status vaccinale sarà una variabile da prendere in considerazione in fase di mercato: «Se compri un giocatore che non è vaccinato devi essere consapevole che in tempi di Covid non sarà disponibile, non solo per una decina di giorni ma periodicamente».


 

Anche se in Premier League ci sono più giocatori che non vogliono vaccinarsi, questo però non significa che la Serie A non si trovi davanti a un problema ugualmente complesso - soprattutto per i club, che a breve potrebbero non poter più schierare giocatori regolarmente sotto contratto. Non è un caso che la situazione sia diventata particolarmente tesa anche in campionati dove la percentuale di calciatori vaccinata è molto più alta di quella della Premier League. In Bundesliga, forse proprio per anticipare questo problema, alcuni club hanno iniziato a prendere misure molto dure nei confronti dei giocatori che non hanno voluto vaccinarsi. Secondo Bild e l’emittente regionale Bayrischer Rundfunk (BR), per esempio, il Bayern Monaco avrebbe deciso di decurtare dallo stipendio dei giocatori non vaccinati il numero di settimane passate in quarantena. Tra questi c’è sicuramente Joshua Kimmich, che alcune settimane fa aveva ammesso di non essere ancora vaccinato per timori di possibili effetti a lungo termine del vaccino sulla sua salute, per cui il taglio ammonterebbe a circa 400mila euro a settimana. Se calcolate che Kimmich è stato fuori esattamente un mese tra positività e quarantena (dal 9 novembre al 9 dicembre) potete capire che non parliamo di cifre da niente, persino per un calciatore del suo calibro. Per Kimmich comunque alla fine il taglio dello stipendio non è stata nemmeno la peggiore delle notizie dato che le complicazioni della sua infezione sono state più gravi del previsto per via di una leggera infiltrazione ai polmoni che non gli ha permesso immediatamente di tornare ad allenarsi - «Il pericolo è che il liquido mi arrivi al cuore e che ci siano conseguenze a lungo termine», ha dichiarato successivamente. Alla luce di tutto questo non stupisce che poche settimane fa Kimmich abbia annunciato di aver cambiato idea sul vaccino. Il Bayern Monaco comunque non è l’unico club tedesco ad aver preso questo tipo di misure: anche l’Hertha Berlino infatti ha deciso recentemente di non pagare le settimane passate in quarantena ai suoi giocatori non vaccinati.


 

Anche se non sembra, per la Serie A il problema è ancora più impellente. Il campionato italiano, insieme a quello francese, è infatti l’unico tra i principali europei ad aver fissato una data oltre la quale i calciatori saranno di fatto costretti a vaccinarsi (il 10 gennaio per la Serie A, il 15 per la Ligue 1). Cosa succederà dopo? La questione è spinosa da diversi punti di vista, e non solo perché i club rischiano di non poter schierare giocatori anche importanti della propria rosa. Data la fobia che ha il calcio, soprattutto quello italiano, di comunicare all’esterno, e l’incapacità dimostrata da diversi club di gestire situazioni complesse con la stampa, come faranno le squadre a entrare in un dibattito che è già oggi molto polarizzato e violentissimo? Teoricamente i club sarebbero chiamati anche a proteggere la privacy dei giocatori che hanno deciso di non vaccinarsi, o che magari ci stanno ancora pensando, ma è più probabile che alla fine cercheranno di fare finta di niente, magari comunicando infortuni inesistenti all’esterno. D’altra parte la reazione sui social media nei confronti di chi ha cercato di comunicare onestamente i propri timori, anche se magari in maniera ingenua e poco informata, è stata già molto violenta - lo ha raccontato sempre Kimmich secondo cui «si parla sempre di rispetto, tolleranza e apertura mentale ma credo che siano valori che sono mancati nel dibattito in corso». Dall’altra parte, però, senza una comunicazione chiara le illazioni su quali siano i giocatori non vaccinati sono già iniziate, con tanto di ricostruzioni e dietrologie. E in questo modo la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente.


 

Non bisogna sottovalutare nemmeno l’aspetto giuridico del problema. Dato che al momento per i lavoratori è richiesto il green pass base, quello cioè concesso con il semplice tampone negativo (a parte quelli sopra i 50 anni, per cui ieri è stato previsto l'obbligo vaccinale, e alcune particolari categorie come gli operatori sanitari), come si può giustificare che ai calciatori professionisti sia richiesto invece quello rafforzato? Il governo potrebbe risolvere la questione decidendo per l’obbligo vaccinale de jure per tutti i lavoratori, quindi anche per i calciatori professionisti (come auspicato dal presidente della FIGC, Gabriele Gravina), ma questo finirebbe per aprire un altro vaso di Pandora legale. Le società potrebbero davvero obbligare i propri giocatori a vaccinarsi? Il rischio è che i calciatori si appellino ai propri contratti, stipulati quando ancora l’obbligo vaccinale non era in vigore. A quel punto sarebbe più facile da un punto di vista pratico che il governo impedisse alle società di schierare in campo i propri giocatori non vaccinati, ma questo a sua volta creerebbe ulteriori problemi.


 

Ad esempio: come si farà con i giocatori non vaccinati che vengono in Italia dall’estero per le coppe europee? Secondo alcune fonti la UEFA non avrebbe preso bene le norme decise dal governo italiano e starebbe addirittura pensando di far giocare le gare casalinghe delle squadre italiane impegnate nelle coppe su campo neutro (in un Paese, cioè, dove non è previsto un obbligo vaccinale nemmeno di fatto nei confronti degli atleti). Da un punto di vista strettamente legale il problema si ingigantisce in dismisura in questo caso: per risolverlo ci sarebbe bisogno di una specie di obbligo vaccinale internazionale che coinvolgerebbe non solo l’Unione Europea ma anche il Regno Unito, la Russia e tutti gli altri paesi extra europei che però fanno parte della UEFA. Improbabile che qualcosa di simile avvenga, soprattutto prima del 16 febbraio, quando il Liverpool dovrebbe andare a Milano per affrontare l’Inter negli ottavi di finale di Champions League. Prima di quella data il governo italiano per tagliare il nodo gordiano forse potrebbe decidere per una deroga solo per i calciatori di primo livello, come d’altra parte era già stato fatto nelle prime fasi della gestione pandemica per far riprendere il campionato.


 

Oggi però il contesto sembra essere molto cambiato e il governo potrebbe temere il contraccolpo politico di una scelta simile, che sarebbe tutt’altro che popolare. Come abbiamo imparato a nostre spese, dentro questa pandemia non ci sono scelte facili né per i governi né per i cittadini, e il calcio per una volta non fa eccezione.


 

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