Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Gian Marco Porcellini
Cosa è stato "Campioni, il sogno"
21 set 2023
21 set 2023
Un programma che ha segnato un'epoca, raccontato dai suoi protagonisti.
(di)
Gian Marco Porcellini
(foto)
Dark mode
(ON)

Il 14 settembre del 2000 è un giorno storico per la televisione italiana e in particolare per Mediaset: viene trasmessa la prima puntata del Grande Fratello. Dopo alcuni programmi andati in onda negli anni ’90 a metà tra la fiction e il documentario, come Real World su MTV e Davvero su Rai 2, il Grande Fratello è il primo reality show “integrale”. Il programma prevede che dieci concorrenti vengano chiusi in una casa senza contatti con l’esterno per un determinato periodo tempo (nella prima edizione 100 giorni), ispirandosi alla trama di 1984, il celebre romanzo distopico di George Orwell.

Lo show ottiene un successo senza precedenti, perché attratto dalla curiosità di spiare i concorrenti e le relative dinamiche nella quotidianità: tutti i litigi, i sotterfugi e gli intrighi amorosi tra i personaggi vengono proposti apparentemente senza alcun tipo di filtro o interferenza, in modo appunto da restituire allo spettatore le sembianze di un prodotto autentico. La scelta stessa di dare spazio a persone non famose si rivela determinante ai fini della riuscita del GF, almeno nelle prime edizioni: lo show vuole concedere a persone comuni una celebrità improvvisa e far sì che il pubblico si possa immedesimare con maggior facilità. È un format che rivoluzionerà irreversibilmente la televisione italiana e internazionale, il quale apre la strada a tanti altri reality show di successo e dubbio gusto, dove il feticismo degli spettatori per il gossip, la polemica e il momento trash ne diventano il cuore pulsante.

Nel 2004 Mediaset prova a replicare il successo del Grande Fratello - per capire le proporzioni: la finale della prima edizione è stata seguita da oltre 16 milioni di spettatori, più dell’audience media del Sanremo di quello stesso anno - buttandosi su uno dei principali fenomeni culturali del nostro Paese, il calcio. L’idea è quella di travasare le dinamiche dei reality show in una squadra, provando a rompere per la prima volta il tabù dello spogliatoio, da sempre un territorio inaccessibile a tifosi e media.

Uno dei promo del programma.

Nasce così: Campioni, il sogno - un programma che forse ha avuto un successo più fugace di quanto non ci si immaginava al tempo ma che ha comunque lasciato una traccia indelebile sul nostro immaginario. Al punto che ci sono varie domande che ancora mi faccio a riguardo e a cui non sono riuscito a rispondere scrivendo questo pezzo. Per esempio: perché proprio il Cervia? Forse per la produzione televisiva era semplicemente più semplice “insediarsi” in un club di Eccellenza, per una questione economica da un lato ma anche perché nella sesta categoria non avrebbe incontrato particolari resistenze da parte dell’ambiente attorno alla squadra. Immaginatevi affidare una squadra di primo o secondo livello a un’emittente televisiva, le possibili reazioni dei tifosi.

Il format di “Campioni, il sogno”

L’obiettivo dei giocatori del Cervia è naturalmente quello di vincere il campionato di Eccellenza, a cui se ne aggiunge un altro da perseguire individualmente. “Il sogno” menzionato nel titolo è quello di partecipare a un mese di ritiro con Milan, Inter e Juve dando così la possibilità a tre calciatori dilettanti di allenarsi con giocatori che magari avevano visto soltanto in televisione. Una formula ibrida, che riprende e in parte anticipa i tratti dei talent show che caratterizzeranno gli anni successivi.

La produzione nell’estate del 2004 avvia una serie di provini per selezionare la rosa del Cervia, e il 6 settembre va in onda la prima puntata su Italia 1, condotta da Ilaria D’Amico.

Già dai primi momenti è chiaro che il calcio non avesse un grandissimo ruolo, rimanesse quasi sullo sfondo. Più che altro, viene creato hype attorno ai giocatori selezionati, l’ingresso dei giocatori (“i magnifici 24”, come li chiama il giornalista Davide De Zan che seguirà la squadra per tutta la stagione) nella residenza di Milano Marittima, una piccola frazione del comune cervese, viene spacciato come un bagno di folla. Succede anche che un giocatore venga annunciato per errore da Ilaria D’Amico. È Vincenzo Zanzi, che abbraccia i genitori prima di scoprire di non far parte della squadra. Lo farà come “sfidante” e si giocherà il posto con un altro compagno, Zoran Ljubisic. I due si sfideranno a distanza di qualche settimana in varie prove a posteriori ininfluenti, perché è sempre il televoto a stabilire chi rimane nel Cervia.

I momenti che precedono il “play out”, come viene definito dalla trasmissione, tra Zanzi e Ljubisic. Non sarà l’unico nel corso del programma, che anche sotto questo punto di vista ricalca le dinamiche degli altri reality. 

Il pubblico da casa ricopre un ruolo attivo anche nella scelta della formazione, visto che vota tre titolari, uno per reparto, obbligati a giocare almeno un tempo. L’XI titolare viene ufficializzato nella puntata del sabato pomeriggio, che va in onda dagli studi di Mirabilandia - il parco divertimenti che dista poco più di un chilometro dallo stadio “Germano Todoli” di Milano Marittima, dove si disputano le partite casalinghe.

Come allenatore viene scelto Francesco “Ciccio” Graziani, il protagonista principale del biennio di Campioni. Graziani ha segnato più di 100 gol in Serie A e vinto il Mondiale del 1982, ma da allenatore è reduce da esperienze in chiaroscuro da tra Catania e Montevarchi (C2). Nella conferenza stampa di presentazione Graziani rimane subito nella storia affermando che: “stiamo facendo un programma così innovativo che se ci guardiamo dietro vediamo il futuro”. In un video del canale YouTube Calcio di periferia, l’ex allenatore del Cervia ha spiegato che “l’accordo era che una parte di giocatori li decidevo io e una parte li decideva la produzione”. I vari Di Matteo, Spagnoli e Olivieri, che l’anno precedente erano stati allenati da Graziani in C2, verosimilmente erano quindi una richiesta del tecnico, e forse lo stesso si può dire anche di altri giocatori scesi di una o due categorie. Poi c’erano alcuni profili più funzionali al reality, i veri personaggi che hanno portato alla ribalta il programma.

Bondi racconta “Campioni”

A differenza del GF, Campioni, il sogno non va in diretta h24 e le riprese non sono integrali: viene registrata gran parte della giornata, ma le telecamere si spengono attorno alle 22. Il girato poi viene tagliato e proposto il giorno successivo in una striscia di mezzora trasmessa nel primo pomeriggio e in replica in seconda serata.

La sigla “Campioni nel cuore” è cantata da un Gigi D’Alessio nella fase ascendente della sua carriera.

Purtroppo, però, su internet non è rimasto molto materiale, e bisogna affidarsi a qualche clip caricata sui social o YouTube. Per avere qualche informazione in più ho deciso di contattare un giocatore di quella squadra, Matteo Bondi, uno di quelli che è più rimasto legato a Cervia e al Cervia: dopo una lunga carriera tra i dilettanti (ma anche 39 presenze tra B e C nei primi anni 2000) nel 2014 è tornato proprio nella società ravennate, di cui è diventato pure direttore sportivo. Ha origini emiliane, ma ormai vive a Cervia dal 1999. Un pomeriggio di giugno mi ha ospitato negli uffici dietro allo stadio Todoli per raccontarmi la sua esperienza a 19 anni di distanza.

«Un’esperienza che se domani mi chiedessero di rifarla accetterei subito», esordisce Bondi, che oltre a fare il DS lavora in un negozio di articoli sportivi a Cesena «perché al di là del fatto che dal punto di vista calcistico venivo dai professionisti e magari può essere stata una scelta discutibile, quello che ho fatto in quella stagione lì probabilmente non la rifarò in tutta la mia vita. Dall’ambito televisivo ai campi calcati, perché siamo stati in tanti stadi di Serie A, per non parlare di tutto quello che è stato al di là del calcio: le ospitate a “Scherzi a parte”, “Paperissima”, “Buona domenica” e i programmi con Bonolis. Eravamo al centro del mondo televisivo».

Gli chiedo quindi se nel 2004 si sarebbe potuto immaginare a cosa sarebbe andato incontro, considerato che magari qualcuno poteva vedere in Mediaset un’opportunità unica in termini di visibilità per la propria carriera, sottovalutando tutto l’aspetto extracampo che alla fine ha prevalso sul discorso sportivo. A maggior ragione per uno come Bondi che aveva già maturato diverse presenze tra i professionisti e presumo puntasse a tornare in quelle categorie. «Noi siamo stati convinti in quel modo lì. Ci hanno detto che saremmo andati in tv tutti i giorni, le partite le avrebbero viste tutti e saremmo andati a giocare contro squadre di livello superiore».

Ma nella realtà dei fatti si trattava di un esperimento inedito a tutti i livelli: dalla produzione al pubblico, passando per gli stessi protagonisti del programma. «Ti ritrovi dalla sera alla mattina con gli occhi di tutti addosso e il primo periodo è stato tosto perché eri entrato dentro una lavatrice senza sapere cosa ci fosse dentro. Non è che mi aveva comprato una squadra nuova dove potevano cambiare alcune situazioni ma era pur sempre il mio mondo. Lì era calcio, ma durava 2-3 ore al giorno. Il resto era tutt’altro».

Nell’intervista del canale Calcio di periferia menzionata sopra, era intervenuto anche un altro giocatore, Lorenzo Spagnoli, che ha confermato lo stesso disagio. «Sono stati difficili i primi mesi con le telecamere che ti seguivano ovunque. Ne parlai anche col mister, che mi disse che se non mi davo una mossa anche a livello televisivo non ci potevo stare lì dentro».

Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da A.S.Cervia1920 (@a.s.cervia1920)

Una delle primissime puntate, in cui la squadra entra in studio e viene coinvolta da Ilaria D’Amico. Più che un’intervista, la conduttrice sembra un’insegnante che prova tirare fuori le parole di bocca a degli studenti impacciati.

Naturalmente i giocatori vengono ripresi e microfonati in ogni loro spostamento, anche durante l’allenamento. «Quella è stata una delle cose più difficili a cui abituarsi», ammette Bondi «Perché avevi tutta l’imbragatura col microfono sotto l’ascella e le prime volte non era facilissimo». Oltre al campo sportivo, l’altro luogo di riferimento è la residenza in cui la squadra alloggia. Una villa gigantesca, dotata di ogni confort. «Si trova in centro a Milano Marittima, dallo stadio ci si arriva a piedi. Al piano terra c’era un salone con varie stanze, l’ufficio del mister e il confessionale. Al piano superiore almeno una decina di camere, i bagni, l’altra ala con la regia e l’ufficio della Gialappa’s, che otteneva il materiale direttamente dalla produzione. Era una casa sfitta che dopo il programma è tornata ad essere disabitata».

View this post on Instagram

A post shared by A.S.Cervia1920 (@a.s.cervia1920)

La presentazione della residenza.

Il Cervia però spesso e volentieri è fuori dalla casa, impegnato in attività di vario tipo proprio perché Mediaset vuole intercettare una fascia di pubblico il più ampia possibile. Anche, anzi soprattutto, quella non propriamente interessata al calcio. In questa clip ad esempio i gialloblù vanno a correre al mare sotto lo sguardo dell’ex attaccante di Roma e Torino, Ruggero Rizzitelli, che si ferma a parlare con Graziani e i giocatori. Poi alcuni di loro dipingono una staccionata, immagino di uno stabilimento balneare, mentre qualcun altro gioca a racchettoni sul bagnasciuga. In questo video invece la squadra si dirige in pullman in un parco avventura con il mental coach Livio Sgarbi, uno dei personaggi divenuto celebre suo malgrado grazie agli sfottò della Gialappa’s Band.

«Avevamo mille distrazioni», dice Spagnoli «Ci svegliavamo la mattina e ci poteva essere qualsiasi tipo di impegno, lo scoprivi al momento. Come una registrazione in esterna, un incontro con un ospite, un allenamento in più, o ancora incontri con gli sponsor a Milano. Il giovedì c’erano alcune feste a cui dovevamo partecipare all’Idroscalo di Milano e facevi minimo le 2 di notte, per fortuna il mister riusciva ad annullarle ogni tanto».

«Poteva succedere di tutto», ha aggiunto il difensore Mattia Missiroli, l’unico cervese della rosa, in quest’intervista del 2019 «Dal corso di inglese alle cene con ragazze bellissime mai viste prima. Ci davano una Seat fornita dalla produzione, andavamo a mangiare da qualche parte o anche solo a fare shopping e le telecamere ci seguivano».

Non dover lavorare durante il giorno per dei giocatori di Eccellenza è un privilegio e un vantaggio rispetto alle altre squadre, ma il Cervia si ritrova a gestire una mole di impegni e una pressione inedite per una formazione dilettantistica. «Non c’erano giorni di riposo, perché voleva dire non mandare in onda niente», racconta Bondi «Eravamo in 25, il lunedì quelli che avevano giocato il giorno prima facevano un defaticante ma gli altri si allenavano proprio per la necessità da parte della regia di avere materiale. Se non vado errato una volta a settimana avevamo la doppia seduta, poi una mattina facevamo aerobica o attività non inerenti al calcio. Nel girone di ritorno poi sono iniziate le amichevoli infrasettimanali e spesso partivamo il martedì, giocavamo il mercoledì e tornavamo la notte o il giovedì mattina. Per cui la settimana era praticamente finita, tra la puntata e le riprese in esterna nelle varie trasmissioni».

Un successo non immediato

La prima stagione del reality si è rivelata un successo a livello di ascolti televisivi e presenze allo stadio, ma il programma ci ha messo qualche mese prima di decollare. In un articolo del Corriere del novembre 2004, il direttore di Italia 1 Luca Tiraboschi parla apertamente delle difficoltà iniziali da parte del programma nel conciliare la dimensione sportiva e quella del reality. «Pensavamo a un prodotto a 360 gradi, per donne e uomini e questo alla fine ha creato un po’ di confusione. Per assecondare diversi pubblici, ci siamo persi. Ci siamo resi conto che non accontentavamo né gli appassionati di calcio, né di reality. È venuto fuori un ibrido (...) Abbiamo pensato di percorrere la strada sportiva visto che abbiamo una squadra di calcio che dovrà giocare tutto il campionato fino a giugno. E questa nuova strada comincia a dare i suoi frutti. Gli ascolti si stanno stabilizzando attorno all’8%, prima erano schizofrenici». Il centrocampista Matteo Domeniconi ricorda che «inizialmente la partita la dava solamente Sky e quello era già il termometro di come la produzione aveva voluto impostare la cosa. Si è ribaltato tutto verso novembre quando l’audience della partita era altissimo e hanno deciso di trasmetterla anche su Italia 1. Lì è esploso il programma».

Per Domeniconi e Tiraboschi Campioni, il sogno ha iniziato a essere seguito quando l’obiettivo si è spostato dalle dinamiche relazionali tra i giocatori al campo. La ricostruzione di Bondi è ancora più drastica. «Gli autori ci spiegarono che non riuscivano a coprire l’esborso per tenere in piedi il programma. Quando ci diedero la settimana libera per Natale, ci dissero di tenere accesi i telefoni, perché non sapevano se e quando saremmo tornati. Dopo di che la produzione decise di andare all in prendendo Maradona jr e cambiare il format coinvolgendo le squadre di serie A. Nel giro di 2-3 settimane ci fu un’esplosione del programma e Diego fu un traino clamoroso: la prima partita che giocammo nel bolognese facemmo il record di ascolti su Italia 1, qualcosa attorno ai due milioni».

Ognuno ha la sua tesi, è difficile ricostruire dinamiche così complesse dopo quasi 20 anni. Secondo Francesco Gullo, l’altra grande celebrità della prima stagione assieme a Graziani «il programma era partito per essere calcistico, poi grazie al sottoscritto, al buon Alfieri e Giuffrida, è stato pilotato senza volerlo verso lo spettacolo».

Di sicuro nella seconda parte della stagione la trasmissione è diventata un cult: la storia del figlio di Maradona non riconosciuto dal padre – verrà riconosciuto nel 2007 – aggiunge un’ulteriore patina di emotainment, ma anche di aspettative per vedere all’opera il figlio di uno dei calciatori più forti della storia, a maggior ragione in quel momento storico, visto che veniva dalla Primavera del Genoa. Ad aggiungere altra carne al fuoco c’è la serie di amichevoli coi club di Serie A e B in giro per l’Italia partita tra la fine del girone d’andata e l’inizio del ritorno. Nel gennaio del 2005 i gialloblù incontrano il Milan al Brianteo di Monza, una sfida da oltre 10.000 spettatori che passerà alla storia del reality per il tunnel di Gullo a Gattuso, ma anche perché Graziani non si era accorto che il Cervia aveva ripreso il secondo tempo in 10 uomini.

Non so se se questa carrellata di amichevoli contro le big sia stata una causa o una conseguenza della popolarità di Campioni. Fatto sta che in queste gare è ancora più influente il ruolo del televoto, che sceglie la formazione titolare e nomina il migliore in campo, il quale si aggiudica la fascia verde che gli avrebbe garantito un posto nella “partita finale”.

Uno spezzone dell’amichevole del Cervia a Palermo. Rivederlo a 19 anni di distanza sembra un’esperienza allucinogena: dalle sostituzioni decise dai telespettatori a Graziani intervistato a bordo campo che se la prende pubblicamente coi suoi difensori.

Campioni, il sogno farà tappa nella maggior parte degli stadi di Serie A: Siena, Lecce, Udine, Bologna, Parma, Reggio Calabria, Messina, Genova e anche alcuni impianti di Serie B. Il punto più alto probabilmente è il tutto esaurito fatto registrare a Palermo, dove per il Cervia di Graziani accorre più gente rispetto alla partita di campionato contro la Juve. «Al Barbera abbiamo fatto 45mila spettatori perché in campionato le scale e le vie di fuga andavano tenute libere», precisa Bondi «Contro di noi la prefettura dava l’ok per riempire completamente lo stadio. Non c’era un posto libero quel giorno». Il programma prende la forma di una carovana colorata su cui in tanti vogliono salire, un fenomeno che ricorda “l’effetto Festivalbar” negli anni ’90 - una sorta di FOMO ante litteram per partecipare a un evento a suo modo unico e avere un contatto diretto con un mondo apparentemente irraggiungibile come quello della TV.

Visualizza questo post su Instagram
Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura