Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Dario Saltari
Che conseguenze può avere la sentenza sulla Superlega
21 dic 2023
21 dic 2023
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea è intervenuta sul dibattito che potrebbe cambiare il calcio europeo.
(di)
Dario Saltari
(foto)
IMAGO / PA Images
(foto) IMAGO / PA Images
Dark mode
(ON)

«Oggi è un gran giorno per la storia del calcio», ha dichiarato trionfante Florentino Perez, «oggi abbiamo vinto, oggi la libertà ha vinto». Il presidente del Real Madrid ci ha messo davvero poco a commentare la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul caso che riguarda il progetto Superlega, di cui lui è rimasto forse l’ultimo sostenitore con un peso politico rilevante in tutto il calcio europeo.

Oggi sembra passata una vita da quando proprio Florentino Perez, insieme ad Andrea Agnelli, cercavano di abbattere la piramide calcistica europea proponendo un torneo chiuso tra i migliori club del continente. La politica e il diritto, d'altra parte, hanno tempi molto differenti. Se, come credo ricorderete, il sostegno politico alla Superlega dentro il calcio europeo era crollato già nei giorni successivi alla sua presentazione, la legittimità giuridica del progetto ha avuto un percorso lento e travagliato che è durato più di due anni.

[@portabletext/react] Unknown block type "imageExternal", specify a component for it in the `components.types` prop

Questo articolo è stato realizzato grazie al sostegno degli abbonati. Sostienici regalando o regalandoti un abbonamento a Ultimo Uomo.

I termini giuridici della questione

Tutto è cominciato alla fine di maggio del 2021, quando un tribunale di Madrid ha interpellato la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla possibile violazione del diritto europeo da parte di UEFA e FIFA per via delle sanzioni minacciate nei confronti dei “club ribelli” e dei loro calciatori, a cui sarebbe stato impedito di giocare nei campionati nazionali e nelle coppe europee se avessero aderito alla Superlega.

A un livello giuridico, bisognava rispondere alla questione se queste sanzioni ricadessero nell’applicazione degli articoli 101 e 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che regolano la libera concorrenza all’interno del territorio dell'UE. L’articolo 101 afferma che “sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno”. L’articolo 102, invece, sostiene che “è incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno”.

Una parte consistente del caso di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea girava intorno a un interrogativo non banale: è possibile applicare le leggi sulla concorrenza alla UEFA come se fosse un’azienda vera e propria? Siamo infatti abituati a pensare alla UEFA come a una specie di ministero dello sport europeo, al di sopra dei club e dei loro interessi economici. Proprio su questo punto, d’altra parte, ha orbitato anche la tesi della sua difesa, che ha cercato di tirare in ballo l’articolo 165 dello stesso trattato, secondo cui “l'Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa" e "a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l'equità e l'apertura nelle competizioni sportive”.

Secondo la UEFA, quindi, lo sport non poteva essere trattato come una attività economica qualsiasi, e sembrava essere di questa opinione la stessa Unione Europea, soprattutto dopo che l’organizzazione guidata da Aleksander Čeferin aveva aperto nel 2017 un ufficio istituzionale a Bruxelles per coordinare il proprio lavoro con quello della Commissione. Su questa interpretazione era atterrata anche l’opinione dell’Avvocato Generale della Corte, arrivata quasi esattamente un anno fa, che allora sembrava poter indirizzare la sentenza finale.

Dei contorni giuridici del caso abbiamo parlato anche in Trame, il nostro podcast di sport e geopolitica.

Alla luce di questo percorso la sentenza di oggi è sicuramente sorprendente (meno guardando la giurisprudenza, che aveva già suggerito un esito simile nel caso riguardante l’International Skating Union). La Corte, infatti, afferma piuttosto chiaramente che l’articolo 165 “non è una regola speciale che esonera lo sport da tutte o anche solo alcune delle altre norme del diritto europeo” e quindi di fatto va considerata come un’attività economica come le altre. Di conseguenza, dice la Corte, le regole messe in atto dalla FIFA e dalla UEFA per riservarsi l’organizzazione delle competizioni europee “costituiscono un abuso di posizione dominante proibita dall’articolo 102”.

In altre parole: se il calcio è un’attività economica come le altre allora la UEFA non è nulla di più che un’azienda che sta cercando di impedire alle altre di accedere al mercato dell’organizzazione delle competizioni calcistiche. Ora, se l’affermazione di principio è chiara, diverso è il discorso sulle sue conseguenze, per cui la riflessione si biforca su due piani, quello giuridico e quello politico.

Le conseguenze da un punto di vista giuridico

Innanzitutto è importante ricordare che questa sentenza non riguarda il caso specifico della Superlega presentata più di due anni fa da Agnelli e Florentino Perez, ma detta la linea sull’applicazione del diritto europeo al tribunale che ha richiesto l’intervento della Corte Europea di Giustizia (il famoso tribunale di Madrid). Come specifica lo stesso comunicato stampa della Corte, la sentenza non comporta “necessariamente che una competizione come quella della Superlega debba essere approvata”.

La sentenza della corte, più che altro, è importante nel determinare il contesto giuridico dentro cui si giocherà la partita in futuro. Da questo punto di vista, forse il passaggio più importante della sentenza è quello che riconosce la posizione dominante di UEFA e FIFA nell’organizzazione delle competizioni europee e, per non essere in violazione del diritto europeo, le chiede di implementare nei propri statuti un processo d’accesso al mercato a realtà terze che sia “trasparente, oggettivo, preciso, non discriminatorio e basato sul principio di proporzionalità”.

Un’eventuale Superlega, quindi, dovrà comunque passare per un processo d’approvazione pensato dalla UEFA, che ha già detto di aver riformato il proprio statuto di conseguenza nel giugno dell’anno scorso. Cosa ancora più importante: la Corte dice anche che - viste “le caratteristiche specifiche del calcio professionistico, tra cui la sua notevole importanza sociale e culturale e il fatto che esso susciti un grande interesse mediatico, unitamente al fatto che si fonda sull'apertura e sul merito sportivo” - la UEFA potrà applicare regole volte a “favorire lo svolgimento di competizioni sportive basate sulle pari opportunità e sul merito”.

Non vorrei, però, che la battaglia legale abbia fatto dimenticare ai suoi protagonisti il nocciolo della questione, riguardo alla Superlega. E cioè la creazione di una competizione chiusa, che garantisca introiti sicuri ai suoi partecipanti molto più alti a quelli degli altri membri della cosiddetta piramide calcistica. Ecco, tutto questo sembra scontrarsi con i concetti di apertura, merito sportivo e pari opportunità che la Corte non mette in discussione, anzi, sottolinea.

Da questo punto di vista sono interessanti le dichiarazioni dell’amministratore delegato di A22, l’azienda dietro al progetto Superlega, che ci ha tenuto a ricordare ai club che «gli introiti e le spese di solidarietà saranno garantiti». E anche quelle dello stesso Florentino Perez, secondo cui «la nuova Superlega sarà aperta a tutti». È da tempo che i fautori del progetto Superlega cercano di diluire la loro proposta, pensando per esempio a un numero più ampio di squadre da includere o a vari livelli da cui si potrebbe salire o scendere. Se la Superlega, però, finisce per essere un’imitazione dell’attuale piramide calcistica allora che bisogno c’è della Superlega?

Parte della risposta per i club non risiede nel formato della Superlega ma nella gestione e nella ripartizione dei diritti economici derivanti dalla competizione, a partire ovviamente dai diritti TV. I club, insomma, vogliono poter dire la loro sulla ripartizione di questi diritti e da questo punto di vista la sconfitta della UEFA è molto più chiara, dato che secondo la sentenza le norme della confederazione europea sui diritti impediscono “qualsiasi concorrenza tra le società calcistiche professionistiche” e danneggiano “imprese terze che operano su diversi mercati mediatici […] a danno dei consumatori e dei telespettatori”. Il monopolio della UEFA sulla vendita dei diritti TV delle coppe europee, insomma, non è compatibile con il diritto europeo, e questo potrebbe avere conseguenze più profonde sul lungo periodo dell’eventuale formato della Superlega.

Le conseguenze da un punto di vista politico

Diverso è il discorso se dal lungo periodo torniamo all’oggi, perché come detto il diritto e la politica hanno tempi molto diversi. A oltre due anni dalla sua presentazione, infatti, questo progetto di Superlega ha perso praticamente tutto il capitale politico che aveva nel momento in cui era stata lanciata. Lo stesso caso che viene discusso dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea ormai non ha alcun valore pratico attuale, ed è valido solo per portare avanti discussioni di principio.

L’unica squadra veramente rilevante che sostiene ancora la Superlega è il Real Madrid, mentre la Juventus con la nuova dirigenza si è già ritirata dal progetto, e il Barcellona appare debole. Per il resto è difficile che gli altri club europei possano tornare ad aderire a un progetto di cui si erano pubblicamente pentiti solo pochi mesi fa. Il PSG, dopo l’elezione di Al-Khelaifi alla presidenza dell’ECA, ormai è politicamente legato a doppio filo con la UEFA. Il Bayern Monaco rimane ingessato dalle regole tedesche sull’assetto democratico dei club e dalle proteste dei suoi tifosi. L’Atletico Madrid, proprio in queste ore, ha fatto sapere che “la famiglia del calcio europeo non vuole la Superlega”.

Il problema più grosso per questa Superlega, e probabilmente per molte delle altre che verranno, rimangono però i club inglesi, sempre più la casa di gran parte dei migliori giocatori del continente. Senza di loro una qualsiasi Superlega avrebbe poco senso eppure includerli non sarà facile né adesso né nel prossimo futuro. Molti club inglesi sulla Superlega hanno fatto una penosa abiura pubblica che probabilmente gli impedirà almeno per qualche tempo di tornare sui propri passi e ogni anno che passa la loro convenienza economica nel passare in un progetto simile si assottiglia, davanti alle colossali cifre a cui vengono venduti i diritti TV della Premier.

Sui club inglesi, inoltre, il peso della politica domestica sarà inevitabilmente più gravoso che nell’Europa continentale. Se la politica europea dovrà per forza di cose muoversi in futuro dentro al contesto giuridico plasmato da questa sentenza, quella inglese dopo Brexit può permettersi il lusso di ignorarla ed è libera di fare pressioni sui club affinché non abbandonino la Premier. D’altra parte, già nella primavera del 2021 i club inglesi, più che dai propri tifosi, erano stati spaventati dalle minacce arrivate dal Parlamento di Londra e dall’ex premier Boris Johnson.

Insomma, è difficile che la sentenza di oggi possa cambiare troppo i termini della battaglia iniziata da Agnelli e Florentino Perez più di due anni fa. Sulle battaglie che verranno in futuro, però, è tutto un altro discorso, e la sentenza di oggi verrà probabilmente ricordata come un momento di svolta.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura