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Dario Saltari
La Serie A non riesce più a guardare al futuro
30 ago 2023
30 ago 2023
Una sessione estiva di calciomercato segnata da molti ritorni.
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Dario Saltari
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IMAGO / Photosport
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E così la sessione estiva di calciomercato della Serie A si è (quasi) chiusa con lo stesso colpo che l’aveva aperta un anno fa, in una perfetta saldatura circolare. Il ritorno in Italia di Romelu Lukaku, il terzo negli ultimi quattro anni, è più di una semplice coincidenza. Il ripiegamento dell’orizzonte su se stesso è tale che si potrebbero riproporre oggi i resoconti del suo (secondo) passaggio all’Inter, tali e quali senza bisogno di aggiornarli, solo cambiando qualche nome qua e là. «Ha parlato più volte con Inzaghi, come aveva fatto con Conte prima di firmare per l'Inter nel 2019, per assicurarsi di essere sulla stessa linea di pensiero», aveva dichiarato a Eurosport il suo avvocato, Sebastien Ledure, e oggi non si può non pensare alle presunte chiamate di Mourinho per convincere il belga ad accettare l’offerta della Roma che popolano le pagine dei giornali sportivi italiani. «Lo Special One ha fatto la sua parte e ha chiamato Big Rom personalmente per cercare di convincere l'attaccante a rendere questa trattativa di calciomercato di fine agosto più concreta che mai», si legge per esempio sul Corriere dello Sport. In fondo al pezzo di Eurosport c’è un video che mette a paragone uno accanto all’altro gli arrivi di Lukaku in Italia nel 2019 e nel 2022, quasi identici. Adesso bisogna aggiungere un terzo capitolo, con la stessa identica “accoglienza da re” che il pubblico italiano gli riservò le prime due volte (beh, non proprio identica, ma avete capito). ___STEADY_PAYWALL___

La scorsa stagione Lukaku segnò il suo primo gol contro il Lecce, la stessa squadra contro cui aveva segnato il suo primo gol anche durante la sua prima esperienza in Italia. «Lecce, che parla come Antonio Conte, allenatore con cui ha mostrato il meglio in carriera», si può leggere in un pezzo della Gazzetta dello Sport che commentava quello che sembrava essere un grande inizio di stagione. Adesso Lukaku potrebbe ritrovare Mourinho e la girandola può continuare a girare. Mourinho, l’allenatore che ha fatto detonare la sua carriera tra i professionisti mandandolo in prestito all'Everton, forse scottato dal rigore sbagliato in Supercoppa Europea che consegnò il trofeo al Bayern Monaco. Un momento che è di fatto l’incipit del celebre video che il Chelsea decise di produrre all’indomani del suo ritorno nell’estate del 2021, con tanto di immagini di repertorio dei suoi primi anni a Cobham, del suo esordio, eccetera.

Forse non c’è bisogno di dire che queste narrazioni sono posticce, appiccicate sopra ragioni che la stragrande maggioranza delle volte non hanno nulla a che fare con il romanticismo che un ritorno a distanza di anni teoricamente comporterebbe. Non è una novità che il calcio sia affascinato dall’idea che la storia continui a ripetersi e i calciatori sono i primi a suggerirla, in maniera esplicita o implicita. L’eterno ritorno di Lukaku, però, sembra essere ormai la spia di una mancanza di creatività claustrofobica e autodistruttiva in Serie A, che a volte sembra rinchiusa in una perenne puntata di Techetechetè, quel programma della RAI che d’estate rimanda in onda spezzoni d’archivio per titillare la nostalgia di un pubblico sempre più anziano. Certo, è legittimo esaltarsi per Lukaku, e c'è una magia autentica nell'impazzire al pensiero di cosa potrebbe succedere se tornasse agli antichi fasti, ma allo stesso modo è naturale fermarsi un attimo per provare a capire cosa ci dice una trattativa che ha coinvolto a turno almeno quattro grandi squadre italiane (la Roma, l'Inter, la Juventus e, forse ve l’eravate dimenticati, ma a un certo punto si è parlato anche di Milan). È come in una serie TV scritta male: quando ci fermiamo un attimo a pensare a come si è arrivati a questo ennesimo cliffhanger che vuole spingerci a cliccare su “Prossimo episodio” ci rendiamo conto che la sceneggiatura non è brillante come sembra. Proviamo quindi a ripercorrere la storia di questa sessione di calciomercato dall’inizio alla fine.

Anche questa estate si è aperta esattamente come si sta chiudendo: con il possibile ritorno in Italia di Romelu Lukaku. L’Inter, forse convinta dalla buona seconda metà di stagione del belga, aveva provato a rinnovare il prestito con il Chelsea, che già si era fatta pagare circa 11 milioni di euro per la stagione appena trascorsa. Sembrava fatta (ben prima dell’inizio della sessione estiva, tra l’altro: già alla fine di ottobre sembrava destino che Lukaku rimanesse all’Inter), si diceva che Lukaku avesse addirittura rifiutato delle offerte dell’Arabia Saudita per tornare a Milano, e invece, in quella maniera inspiegabile che solo il calciomercato sa avere, qualcosa si è inceppato. Non sappiamo cosa sia successo: se è stata l’Inter a non raggiungere le pretese economiche del Chelsea o del giocatore belga; se è stato Lukaku a infastidire la dirigenza nerazzurra offrendosi ad altre squadre italiane; se l’inserimento di altri club abbia fatto saltare tutto. Secondo Sky Sport è stato Lukaku, quando era ormai tutto pronto, a tirarsi indietro, ma perché? Fatto sta che dopo il naufragio definitivo di questa trattativa, a Lukaku ha iniziato a pensarci seriamente anche la Juventus, all’inizio apparentemente intenzionata ad arrivarci sacrificando Dusan Vlahovic, la giovane promessa su cui solo un anno e mezzo prima aveva deciso di investirci più di 80 milioni di euro. «Non è la prima volta che le parti flirtano», aveva scritto allora Marco D’Ottavi «Nell’estate del 2019 uno scambio tra Lukaku, allora al Manchester United, e Dybala, allora alla Juventus, era praticamente fatto, poi l’argentino aveva rifiutato il trasferimento in Inghilterra ed era saltato tutto». Pochi giorni dopo, in un’amichevole contro il Real Madrid, Vlahovic esulterà dopo un gol girandosi di spalle e mostrando il proprio nome al pubblico, esattamente come Dybala quattro anni prima. «Uno scambio in ballo, un club inglese (ieri lo United, oggi il Chelsea) che vuole liberarsi di Lukaku, una pedina di scambio che forse “pedina” non vuole essere: vi ricorda qualcosa?», aveva suggerito al tempo Sky Sport.

In questo domino in cui le pedine sono sempre le stesse anche Dybala ha avuto il suo ruolo. La scorsa estate il trequartista argentino avrebbe dovuto trasferirsi all’Inter. Sembrava fatta, ma poi, in quella maniera inspiegabile che solo il calciomercato sa avere, qualcosa si è inceppato. È stato ipotizzato, come ha ricordato Gianmarco Galli Angeli con un thread su Twitter, che il trasferimento sia saltato perché lo spazio salariale che l’Inter avrebbe voluto dedicargli era già occupato dai contratti pesanti di Dzeko e Alexis Sanchez, a cui andava aggiunto anche l’ingaggio di Mkhitaryan (un giocatore di cui Mourinho dice di sentire ancora la mancanza). Rimane il fatto che Lukaku, come Dybala, dopo essersi promesso all’Inter è finito alla Roma, che a quanto pare sta spendendo una cifra intorno ai 6 milioni di euro per il prestito secco più un’altra decina circa per coprire l’ingaggio lordo di un anno dell’attaccante belga. Complessivamente numeri non troppo lontani da quelli di cui si parlava poche settimane fa nell’estenuante trattativa per Marcos Leonardo, finita in un nulla di fatto per la mancanza di volontà della Roma di andare oltre certi limiti. Anche se non conosciamo le dinamiche di potere interne al club giallorosso, i processi che lo portano a prendere una decisione invece di un’altra, da fuori è stato un colpo di scena sorprendente e significativo. Dopo aver seguito per settimane un attaccante brasiliano di vent’anni, la Roma ha deciso di spendere una cifra solo di poco inferiore per un solo anno di un giocatore che ha superato i 30.

Non è solo la Roma, però: quasi tutti i grandi club (e non solo) sono sembrati condividere un’unica agenda telefonica, incapaci di immaginarsi un futuro diverso. La Juventus è apparsa ciclicamente vicina a far tornare Morata a Torino per la terza volta (Morata che è sembrato vicinissimo anche alla Roma). L’Inter ha rimesso sotto contratto Alexis Sanchez dopo che lo aveva mandato via con una buonuscita solo un anno fa, e a distanza di 13 anni ha completato il ritorno di Marko Arnautovic, dopo che i nerazzurri avevano inseguito per giorni Gianluca Scamacca. Il caso dell'Inter è interessante perché legato alla figura totemica di Beppe Marotta, che è sempre abile ad alternare parametri zero avanti con l'età ad acquisti più ambiziosi (due cose che a volte vanno di pari passo, come quest'anno con Marcus Thuram). Marotta quest'estate è riuscito ad abbassare i costi senza intaccare troppo la qualità della rosa nerazzurra e ha segnato un'epoca alla Juventus ma il suo talento forse ha illuso altre società che le sue strategie fossero un modello facilmente replicabile ovunque. In realtà la stessa Juventus si è presto resa conto quanto, senza Marotta, quella strada fosse molto più pericolosa da seguire di quanto non sembrasse. D'altra parte, i suoi recenti problemi giudiziari nascono anche per fare fronte alla lista sempre più lunga di contratti pesanti che non hanno fruttato come avrebbero dovuto.

Anche fuori dalle grandi squadre, comunque, la creatività dei direttori sportivi si sta deteriorando. Solo pochi mesi dopo averlo svincolato, l'Udinese sta per riprendersi "el Tucu" Pereyra, che pure è stato accostato a quasi tutte le grandi squadre italiane, e lo stesso ha fatto l’Empoli con Mattia Destro, pur avendo in squadra già Caputo, Piccoli e Shpendi. In Serie A sembra esserci un’avversione al rischio così estrema da diventare essa stessa un rischio.

Ovviamente sto parlando a posteriori e non conosco le molte dinamiche che portano le società ad atterrare su determinati nomi invece che altri. D’altra parte le notizie di calciomercato sono quello che una volta Rory Smith definì the original fake news. Seguiamo trattative che durano giorni, a volte settimane, con aggiornamenti giornalieri, ci appassioniamo alle novità, ai suoi colpi di scena, ci immaginiamo degli scenari, ne parliamo con gli amici con frasi che iniziano con “dice che”, come la canzone di Dalla. Ma in realtà metà delle notizie sono inventate, l’altra metà sono messe in giro dagli agenti, dai procuratori, dalle società stesse, tutti per perseguire i propri interessi. Parlare del calciomercato equivale a parlare di un’opera di finzione, solo parzialmente ispirata a fatti reali. Eppure proprio per questo è interessante: come sull’oroscopo, come sui fondi del caffè, come sui tarocchi anche sul calciomercato proiettiamo il nostro futuro, in questo caso il futuro delle nostre squadre, del nostro calcio, della nostra nostalgia per l’infanzia. E cosa ci dice un calciomercato che produce sempre gli stessi nomi, cambiando solo a volte la destinazione, che non riesce a pensare al di fuori del passato?

Dopo la fine della sessione di gennaio, Emanuele Atturo aveva guardato dentro a questo magma di verità e finzione, e ci aveva visto la crisi atavica della Serie A, che negli ultimi mesi sembra aver toccato il punto di rottura dei suoi problemi. Era un pezzo pieno di depressione - per la mancanza di acquisti, per un mercato sempre più povero - e speranza - per la capacità forse inscalfibile del calcio di incatenarci a una passione. Di fronte a uno scenario per certi versi apocalittico c’era solo una consolazione: il calciomercato di gennaio vale quel che vale, «è sempre stato il regno del grottesco, delle cattive idee, dei soldi buttati». Insomma, se nessuna squadra italiana si era mossa, se non per vendere (male) alcuni giocatori secondari, forse poteva essere considerata quasi una buona notizia.

Adesso però siamo negli ultimi giorni della sessione estiva, quella che dovrebbe servire per programmare la stagione, e cosa vediamo? Forse è difficile definirla programmazione vera e propria, visto l'approccio bulimico del suo direttore sportivo, ma una delle poche squadre che ha dimostrato di avere per lo meno una qualche vitalità creativa nella proposta di nuove idee in assenza di soldi è il Lecce di Pantaleo Corvino, che sembra rigenerarsi dentro la rivoluzione permanente in cui ha posto la sua squadra. Continui arrivi di giocatori giovanissimi, che lo scorso anno hanno permesso alla squadra salentina di vincere a sorpresa il campionato Primavera; o di giocatori meno giovani ma provenienti da contesti apparentemente impensabili per la Serie A, e che pure inaspettatamente funzionano. Dopo un lungo peregrinare tra Svezia, Russia, Olanda e Polonia, Corvino ha raccolto Pontus Almqvist, che nel suo esordio in Serie A, ha subito messo a segno un gol, tre tiri, sette dribbling riusciti. L’ultimo a fare di meglio con la maglia del Lecce era stato Cuadrado, più di 10 anni fa - quel Cuadrado che in questa stessa sessione di mercato è stato sublimato a simbolo di una grandezza a parametro zero prontamente raccolta da Beppe Marotta.

Magari tra qualche mese di Almqvist ce ne saremo già dimenticati ma perlomeno è una notizia, un segno di vita, come lo sono i gol di Rafia e Krstovic nell’ultima partita contro la Fiorentina. Nel frattempo il Lecce ha preso a titolo definitivo anche Giacomo Faticanti, frettolosamente venduto dalla Roma per fare spazio a un altro ritorno, quello di Leandro Paredes. Faticanti è stato prima tra i perni della Nazionale Under 20 finalista ai Mondiali in Argentina, poi capitano di quella Under 19 campione degli Europei di Malta. Due storie che quest’estate sembravano dimostrare che sotto la cenere di questa crisi il fuoco del nostro talento ardeva ancora, ma su cui poi in pochi hanno deciso di puntarci davvero. Uno di questi è Vincenzo Italiano, che nell’eccitante esordio di campionato contro il Genoa a sorpresa ha dato una chance a Michael Kayode, autore del gol vittoria nella finale europea Under 19 contro il Portogallo. Kayode è sembrato perfettamente all’altezza del compito, ha mostrato anche qualche numero di prestigio. Si dice che chi lascia la strada vecchia per la nuova sa cosa lascia ma non sa cosa trova, ma non è detto che sia una cattiva notizia.

Certo, anche il Lecce ha dovuto vendere uno dei suoi giocatori migliori per potersi muovere più liberamente sul mercato, unica scelta che sembra davvero accomunare tutte le squadre di Serie A che cercano di allargare l’orizzonte del possibile. È successo praticamente a tutti i livelli del campionato. Al Milan, con Sandro Tonali, uno dei giocatori tecnicamente ed emotivamente più importanti della sua stagione. All’Atalanta, con Rasmus Hojlund, che a tratti aveva fatto vedere grandi cose e sembrava avere potenzialità ancora inespresse. Alla Lazio, con Milinkovic-Savic, di cui la squadra di Sarri ha immediatamente sentito la mancanza. Alla Fiorentina, che negli ultimi giorni potrebbe vendere Amrabat, ormai escluso dai convocati. Al Bologna, con Nico Dominguez, che sembra ormai a un passo dal Nottingham Forest. All’Empoli, con Vicario, uno dei giovani portieri italiani più interessanti in circolazione. E per l’appunto al Lecce, con Morten Hjulmand, venduto allo Sporting Clube per 18 milioni di euro. La cessione all’estero del giocatore danese è forse il segnale più inquietante per la Serie A. Tra i migliori centrocampisti difensivi della scorsa stagione, Hjulmand avrebbe rafforzato significativamente molte delle squadre di media e forse anche alta classifica, eppure nessuna è sembrato nemmeno pensarci. E se per le altre grandi cessioni ci si può nascondere dietro lo strapotere economico della Premier League o dei club sauditi, è difficile credere che i club italiani non abbiano potuto competere economicamente con lo Sporting.

Poi ci sono i casi in cui i club italiani fanno la figura di vecchi ministeri ormai inadeguati a trattare con il mondo contemporaneo. A molti serviva un portiere eppure nessuno ha pensato a Dominik Livakovic, uno dei migliori degli ultimi Mondiali, finito al Fenerbahce per meno di 8 milioni di euro. A quasi tutti serviva un attaccante ma nessuno ha voluto rischiare di fare all-in sui molti nomi che sono usciti dalla Ligue 1. Elye Wahi, che pure è stato accostato all’Inter, alla fine si è trasferito al Lens per 30 milioni. Folarin Balogun, altro nome che è circolato molto in Italia, alla fine si accaserà al Monaco per una cifra intorno ai 40 milioni. «Gli attaccanti in circolazione sono pochissimi e costano cifre spaventose», aveva detto Beppe Marotta, eppure non sembra del tutto vero. Certo, Lens e Monaco avevano la possibilità di rinvestire le cifre ottenute dalle grandi cessioni estive (rispettivamente Openda al Lipsia per oltre 38 milioni e Disasi al Chelsea per 45 milioni) ma questa capacità di produrre e mettere a frutto il talento non gli è certo caduta dal cielo.

La sensazione è che molte squadre italiane preferiscano invece spendere per soluzioni di breve periodo, che hanno il vantaggio apparire più sicure e di avere un richiamo immediato sul pubblico. In cambio di questo vantaggio oggi, però, ne cedono uno potenzialmente più grande domani: l'evoluzione di un giocatore in un grande campione, una ricca cessione che permette di avere più spazio di manovra in futuro. Come si dice nei paesi ispanofoni: lo barato sale caro, ciò che è economico finisce per essere caro. E il costo in questo caso è che i contratti pesanti siano un’altra picconata su bilanci già disastrati, che giocatori oltre una certa età intacchino ogni anno di più la capacità di fare leva sul player trading per aumentare il valore della rosa (che come abbiamo visto anche in Italia è l’unica leva). Viene da chiedersi cosa succederà nelle prossime tre stagioni, quando gradualmente il Financial Fair Play abbasserà il rapporto tra costi complessivi (per stipendi, cartellini e agenti) e ricavi fino al 70%: vedremo ancora grandi nomi della Premier League approdare in Italia? E se non sarà possibile, cosa succederà? E se, oltre a questo, arrivassero cattive notizie dall'infinita trattativa sul valore dei diritti TV?

Ci sono, per fortuna, delle eccezioni. Il Milan ha reinvestito i soldi ottenuti dalla cessione di Tonali in un mercato molto ambizioso, di cui abbiamo subito visto i primi frutti. Il Napoli, pur cedendo il suo miglior difensore, è riuscito a trattenere le sue due stelle, ed ha continuato con fiducia sulla strada del mercato innovativo che così tanto gli ha restituito negli ultimi anni. Sono arrivati Jeans Cajuste dal Reims, Natan dal Red Bull Bragantino, e adesso Jesper Lindstrom dall’Eintracht Francoforte. Magari solo uno di questi funzionerà, magari nessuno, ma la fiducia nella sostenibilità di questa strategia nel lungo periodo è una buona notizia per un campionato che non sembra avere orizzonti che vanno al di là della singola stagione.

Anche il Napoli, però, ha avuto il suo momento di spaesamento, in cui la realtà si è squarciata per rivelare un segreto agghiacciante. È stato quando la trattativa per Gabri Veiga, che sembrava ormai chiusa, è naufragata in favore dell’Al-Ahli, che si è assicurato il giocatore forse pagando la clausola rescissoria. È stato un momento inquietante non tanto per il talento di Gabri Veiga, o almeno non solo, ma perché era la prima volta che un giocatore di appena 21 anni, ricercato da molte grandi squadre europee dopo una stagione scintillante, preferiva un club dell’Arabia Saudita. Se fino a quel momento era facile spiegare solo con il denaro le scelte dei calciatori che si trasferivano in Saudi Pro League, spesso negli ultimi anni validi della propria carriera per poter ragionevolmente chiedere un contratto ricchissimo, dopo Gabri Veiga le cose si sono fatte più complicate.

Il centrocampista spagnolo ha ancora almeno 10-15 anni di carriera davanti e in una situazione come questa, con le offerte che saranno arrivate a Gabri Veiga, è difficile pensare che le cifre scritte su un contratto siano davvero l’unica variabile. Come avevo già scritto qualche giorno fa, viene da chiedersi - e lo faccio in maniera tutt’altro che retorica - se Gabri Veiga sia stato convinto che la Saudi Pro League in questo arco di tempo sarà capace di dargli opportunità migliori di un campionato come la Serie A o la Premier League: è a questo quello a cui si riferiscono i calciatori quando dicono che sono stati “convinti dal progetto”? Interrogato sulla questione, l’allenatore del Celta Vigo, Rafa Benitez, ha risposto in maniera interessante. «Questa è una situazione che gli cambia la vita, a lui e alla sua famiglia. Poi, con l’età che ha, può tornare a giocare in campionati più competitivi in futuro…». A questo punto l’allenatore spagnolo si è interrotto come se gli fosse sopraggiunto qualcosa in mente all’improvviso e, toccandosi il volto con un po’ di imbarazzo, ha aggiunto: «…anche se pure il campionato saudita potrebbe diventare competitivo in futuro».

Con l’acquisto di Gabri Veiga, insomma, il campionato saudita ha proiettato la sua ambizione sul resto del mondo. Non solo una valvola di sfogo per calciatori in là con l’età che i club europei non sarebbero mai riusciti a capitalizzare in maniera soddisfacente, ma in un prossimo futuro uno dei migliori campionati del Golfo, o chissà del mondo, in ogni caso un campionato in cui anche i migliori talenti del campionato spagnolo ambiscono a giocare. Ovviamente di mezzo c’è una montagna di soldi e dilemmi etici che rendono l’intera operazione quanto meno discutibile, oltre a mille variabili che possono andare storte, ma è indubbio che con questa operazione il campionato saudita sia riuscito a proiettare una propria immagine nel futuro. Il che è interessante tornando a noi, forse ancora incapaci di accettare di essere diventati periferia del calcio globale, di immaginare un futuro che non sia una riproposizione invecchiata del passato. Ed è questo il punto: guardando quest’ultima sessione di mercato sareste capaci di dire che futuro immaginano i presidenti dei club, le istituzioni per la Serie A?

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