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Cosa ci lascia Klose
26 mag 2016
26 mag 2016
Dieci gol per celebrare uno dei più grandi centravanti degli ultimi tempi.
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Del modo di giocare dei centravanti come Klose mi ha sempre affascinato prima di tutto l’aspetto della traversata psicologica, la necessità di resistere per lunghissimi minuti alla periferia del gioco senza disconnettersi, la sfida a mantenere i sensi affilati in un ambiente ostile e quasi sterile, aspettando il momento giusto per far esplodere verso la porta tutta la tensione accumulata.

Una partita di novanta minuti filmata da una telecamera fissa su uno come Klose non ha nulla della grande rappresentazione bellica né del duello di abilità a viso aperto. Piuttosto, è uno spettacolo frammentario: per la maggior parte del tempo il centravanti e i suoi avversari diretti si girano intorno a vicenda, si urtano, si sorpassano l’un l’altro inutilmente come automobilisti nervosi in un ingorgo. Solo ogni tanto la tensione è spezzata da scontri brevi ma furiosi, a caccia di un pallone più o meno giocabile.

Questa guerra di mero posizionamento passa inosservata rispetto a quello che l’attaccante riesce a combinare con i quattro o cinque palloni davvero pericolosi che possono capitargli tra i piedi. A me ha sempre incuriosito, perché ammiro e invidio chi riesce ad essere presente alla propria vita e alle cose che ama anche da una certa distanza, senza bisogno di esserci del tutto immerso in ogni momento.

Va detto comunque che nella maggior parte degli “attaccanti moderni” (trequartisti, ali, seconde punte, falsi nueve) questo aspetto sta andando perduto: Messi, Cristiano, ma anche Ibrahimovic o Suàrez, hanno un’incidenza percentuale sul gioco molto maggiore di un Klose. Ma, di conseguenza, hanno anche un rapporto meno fatidico con ciascuna singola opportunità: toccano decine di palloni in una partita e visto che fanno tutto da soli i confini tra “grande occasione” e momento ordinario sono talmente labili che nessuno ci fa troppo caso se qualche pallone va sprecato.

Klose, invece, col suo fascino un po’ fuori dal tempo, da “centravanti della Germania” prima che dei club in cui ha giocato (credo non esistano altri giocatori contemporanei la cui identità è legata in modo cosi solido e continuativo alla propria Nazionale, come ai tempi in cui i campioni stranieri si vedevano solo ai Mondiali e in qualche partita di Coppa) ha costruito letteralmente il 90% della propria straordinaria carriera su questa disciplina mentale da monaco-guerriero, seduto lungo il fiume ad aspettare che passi il cadavere del nemico.

La sua coordinazione e la sua compostezza gli hanno risparmiato le critiche subite da uno come Inzaghi, ma va detto che quasi mai i gol di Klose sono complessi, o composti da più di uno o due gesti tecnici, e raramente questi gesti vengono compiuti in modo più articolato ed elegante di quanto sia strettamente necessario.

La bellezza dei gol di Klose va ricercata proprio nella capacità di riutilizzare infinite volte e secondo un numero impressionante di combinazioni una quantità limitata di strumenti: accelerazione, controllo di palla e tiro, a voler essere brutali.

Più il bonus assoluto del colpo di testa.

Tripletta contro l’Arabia Saudita (1 giugno 2002)

La maggior parte dei tifosi non tedeschi, o non appassionati di Bundesliga, ha imparato il nome di Miroslav Klose in occasione dell’esordio della Nazionale tedesca ai mondiali di Giappone e Corea del 2002. Quella allenata da Völler era una Germania come la facevano una volta, con poca inventiva (la parte creativa era delegata quasi interamente a un giovane Ballack, e a qualche guizzo di Schneider, Neuville e Asamoah) e moltissime potenza fisica e concretezza (Bierhoff ormai trentaquattrenne e Carsten Jancker in attacco, Jeremies, Hamann e Frings come cinghia di centrocampo, i centimentri di Metzelder e Ramelow al centro della difesa). Già allora però i tedeschi tendevano a non fermarsi.

Contro i sauditi finì 8-0 e il poco conosciuto Klose, ventiquattrenne centravanti del Kaiserslautern, segnò il primo, il secondo e il quinto gol tedesco. Tre gol di testa, non eccezionali se presi uno per volta, che però per varietà illustravano bene come Klose fosse capace di usare quel fondamentale davvero in tutti i modi. Il primo è un pallone basso, che gli rimbalza improvvisamente davanti dopo che un compagno ha mancato la rovesciata. Klose guizza davanti al difensore avversario e si lascia cadere in avanti in modo composto, piegando lentamente le ginocchia. Quando la palla gli arriva addosso inarca di colpo la schiena e dà una frustata col collo, infilando sul secondo palo.

Cinque minuti dopo Ballack fa spiovere un pallone morbido da sinistra, Klose stacca in corsa e rimane in aria mezzo secondo più del normale, la gambe lievemente divaricate a segnare l’assoluta stabilità in volo. Ancora una volta però non si limita a saltare e lasciare che la palla gli rimbalzi in testa. Il colpo di testa di Klose è tremendamente efficace perché è sempre un gesto tecnico complesso, in due atti: il movimento cervicale con cui spinge la fronte incontro al pallone è qualcosa di totalmente distinto dallo stacco, come una schiacciata a pallavolo.

Lo stesso discorso vale per il terzo gol, dove lo stacco avviene in torsione e l’impatto in schiacciata, in mezzo a un manipolo di difensori avversari la cui corsa svogliata ormai esprime un misto di demoralizzazione e disgusto.

Vediamo per la prima volta i salti mortali di Klose - un’esultanza-capolavoro in termini di marketing, perché riassume in modo efficace e d’impatto le caratteristiche del prodotto - e prima della fine del Mondiale lo vedremo andare a segno altre due volte (sempre di testa) ma forse a questo punto pensiamo ancora di trovarci di fronte a un nuovo Oleg Salenko, il carneade russo che era riuscito a diventare capocannoniere di USA ’94 segnando cinque gol in una sola partita.

Ci sbagliamo due volte, perché Klose non diventerà capocannoniere del Mondiale 2002, ma in compenso non smetterà più di segnare e dodici anni dopo, in Brasile, al suo quarto Mondiale, segnerà il suo sedicesimo gol nella competizione diventandone il miglior marcatore di sempre.

Bayer Leverkusen - Werder Brema 2-1 (24 aprile 2005)

Tanto per finire il discorso sull’elevazione di Klose: guardate questo gol contro il Leverkusen e ditemi se voi ci trovate un senso qualsiasi.

Anche se c’è Roque Junior che lo ostacola, il portiere del Bayer Hans Jörg Butt è alto sette centimetri più di Klose e si allunga verso il pallone con le braccia tese fino alla punta delle dita. Come fa Klose ad arrivare più in alto di lui con la testa?

8. Kaiserslautern - Glasgow Rangers 3-0 (7 dicembre 2000)

La storia calcistica di Klose, nato in Polonia da genitori polacchi e trasferitosi in Germania con la famiglia a 8 anni, inizia in una delle isole felici del calcio europeo di fine anni novanta, il Kaiserslautern che nel ’97/’98 aveva vinto la Bundesliga da neopromosso con Rehhagel in panchina e che due anni dopo, quando Klose arriva nella seconda squadra, partecipa regolarmente per le coppe europee. Il 2000/2001 è la stagione in cui la squadra renana, ora allenata da Andreas Brehme e con Youri Djorkaeff a scoppiare gli ultimi botti in cabina di regia, arriva addirittura alle semifinali di Coppa UEFA.

Questo gol viene segnato nei sedicesimi di finale contro i Rangers, e rende bene l’idea di quanta elettricità attraversasse il corpo del ventiduenne e ancora quasi sconosciuto Klose. Riceve palla sulla trequarti, dove Wilson rinuncia a tentare l’anticipo ma sceglie di accompagnarne la progressione portandolo verso la fascia destra. Sulla linea laterale dell’area di rigore, Klose si ferma e guarda in mezzo, ma non vede compagni in buona posizione. Allora punta improvvisamente Wilson, con uno strano balletto fatto di rapidissimi doppi passi appena accennati. L’avversario è sorpreso e disorientato, ma quando Klose strappa con decisione verso sinistra riesce in qualche modo a toccargli il pallone facendolo impennare. Klose non toglie lo sguardo dalla palla, la lascia appena toccare l’erba e la colpisce di controbalzo con l’esterno, pietrificando il portiere.

Nei movimenti di Klose ci sono la frenesia e il controllo di un lanciatore di coltelli, e l’impressione è che intuisca i movimenti della palla un attimo prima degli altri, come se giocasse da più tempo di loro o si fosse allenato di più.

Werder Brema - Colonia 6-0 (6 maggio 2006)

Spesso discuto con gente che sostiene che i giocatori come Klose non hanno grande tecnica. In realtà immagino che bisognerebbe prima di tutto mettersi d’accordo su cosa intendiamo con "tecnica". Personalmente, ad esempio, non riesco a immaginare perché ad una giravolta di Denilson o una boba di D’Alessandro dovrebbe essere accordata maggiore dignità che a questo sinistro al volo in corsa, che invece di inchinarsi alla gravità va a impennarsi sotto l’incrocio dei pali più lontano secondo l’unica traiettoria possibile per tagliare fuori portiere e difensore.

Colonia-Werder Brema 1-4 (11 dicembre 2005)

Nonostante la sua natura esiziale di finalizzatore, Klose è una creatura apollinea. La forza bruta ha un ruolo del tutto marginale nel suo gioco, che si manifesta all’apice attraverso la luce del lampo, piuttosto che il rumore del tuono. Quando può, Klose sceglie sempre di chiudere il punto come un tennista sceso a rete, che si limita ad appoggiare la palla nel campo dell’avversario con dolcezza, scegliendo un angolo che renda impossibile una risposta.

Questo contro il Colonia può essere interpretato come un gol tarantiniano (c’è un sicario che nasconde un’anima da esteta) o come una manifestazione estrema di fiducia nei propri mezzi. Il secondo palleggio è un azzardo che potrebbe costare il gol a Klose, ma di fatto è un capogiro che mette fuori gioco il portiere e trasforma un gol normale in un gol splendido, sia pure al limite dell’irrisione dell’avversario.

5. Germania-Inghilterra 4-1 (27 giugno 2010)

Con la maglia della Nazionale Klose detiene una serie impressionante di record. Miglior marcatore con 71 reti (più di un gol ogni due partite, molto di più della sua media a livello di club che è circa di un gol ogni tre), secondo per numero di presenze, capocannoniere assoluto della storia dei mondiali di calcio. Se forse il gol più emozionante è stato quello del record durante il mineirazo del 2014 e il più pesante quello con l'Argentina nei mondiali casalinghi del 2006 , io ho scelto quello segnato negli ottavi dei mondiali del 2010, contro l’Inghilterra di Capello.

Inquadrato da dietro come un lanciatore del peso, Neuer calcia un rinvio dal fondo teso e profondo, che all’altezza del centocampo piega verso sinistra e si abbassa sulla trequarti, oltre la linea difensiva inglese. Klose ha intuito la traiettoria, ma Matthew Upson arriva da sinistra e sembra avere tutto il tempo di tagliarli la strada. I due si incrociano, e Upson si infila tra Klose e la palla con una spallata decisa, pensando forse di proteggere James in uscita. Invece Klose allarga un braccio e usa Upson quasi come un perno per mantenere la traiettoria della corsa. Un istante dopo Upson se lo ritrova davanti e lo vede volare in spaccata ad anticipare James con un tocco preciso di esterno.

Anche rivedendo le immagini molte volte non si riesce a decidere se Klose segna questo gol perché è un genio o perché Upson e James sono due incapaci. È una cosa che capita spesso con i bomber veramente grandi.

4. Bayern Monaco - Shalke 04 2-0 (7 agosto 2010)

Nell’estate del 2010 il rapporto tra Klose e il Bayern è già agli sgoccioli. In tre anni in Baviera è stato dentro e fuori dalla formazione titolare e ha segnato in tutto 23 gol in campionato, due in meno di quelli fatti nella sola Bundesliga 2005/2006 con la maglia del Werder. Nonostante il suo rendimento in Champions sia stato invece eccellente, la dirigenza del Bayern non ha mai creduto in lui al 100% e l’ha sempre messo in competizione con compagni di reparto ingombranti (in tutti i sensi) come Toni e Mario Gomez.

Con questo gol regala un trofeo al Bayern, chiudendo la finale di Supercoppa tedesca. Ancora una volta Klose capisce dove andrà la palla prima e meglio del difensore avversario, e riesce a soffiargliela passandogli alle spalle. C’è un attimo in cui un attaccante più rudimentale e istintivo proverebbe ad andare dritto in porta, ma Klose frena, fa rientrare il difensore e aspetta Olic. Fuori dall’area ha i movimenti macchinosi di un anfibio sulla terra ferma, ma è preciso, coordinato, puntuale nel servire in profondità la sovrapposizione del croato. Poi taglia verso il centro dell’area senza fretta, cercando la zolla migliore per ricevere il passaggio di ritorno e battere Neuer con il destro.

Qui c’è proprio la caccia nel deserto di cui parlavo all’inizio, lo scatto feroce verso un pallone che nove volte e mezzo su dieci andrà al difensore, la lotta di fisico e astuzia, e poi la rinuncia a tentare subito la via della porta nonostante l’adrenalina da bomber ti riempia le vene, l’occasione gestita con oculatezza come fosse quella della vita, sapendo che magari da qui alla fine non ce ne saranno altre.

Klose legge l’azione come se potesse vederla al rallentatore o al fermo immagine, e decidere con calma l’opzione migliore. Probabilmente è una specie di schema che Klose ha studiato nella propria testa, proprio nel senso in cui parliamo di “schemi” degli allenatori, tanto è vero che tre anni dopo in Lazio-Bologna segnerà un gol quasi identico, il quarto dei cinque realizzati in quella partita, primo autore di una quintupletta nella storia del club biancoceleste.

. Lazio-Inter 1-0 (1 maggio 2016)

Quest’ultima stagione di Klose alla Lazio, a trentasette anni compiuti, non è stata ovviamente all’altezza delle precedenti. Oltre a sentire il peso dell’età, negli ultimi anni il tedesco ha sofferto numerosi infortuni, che inevitabilmente hanno lasciato il segno . Pur segnando solo 5 gol, e in una stagione avara di soddisfazioni a livello di squadra, Klose in un paio di occasioni ha trovato il modo di ricompensare l’affetto dei tifosi della Lazio a modo suo.

Questo è l’ultimo gol segnato su azione da Klose con la maglia della Lazio, meno di un mese fa. Al difensore che sta per lanciare fa segno di volere la palla sul petto, ed è bellissimo vedere che la riceve immediatamente proprio lì, perché i compagni sanno che Klose sa cosa bisogna fare. Scambia due volte con Lulic in spazi ristrettissimi e in mezzo a una selva di maglie nerazzure, e quando si ritrova solo davanti ad Handanovic sembra non decidersi mai a tirare, come se volesse entrare in porta col pallone. Invece sta solo vincendo l’ennesima guerra psicologica d’area di rigore della sua carriera, sta arrivando a un brivido di distanza dal portiere solo per essere sicuro che il suo colpo sotto entri a botta sicura.

Il giorno dopo racconterà di aver sperato che Handanovic a un certo punto abboccasse alle sue finte e si buttasse a destra o a sinistra, e di aver deciso per il colpo sotto solo dopo essersi reso conto che invece lo sloveno era restato al centro della porta e gli stava chiudendo lo specchio. Lui questa cosa la racconta con autoironia, per smontare l’idea della totale premeditazione di un gol così perfetto, ma involontariamente ci fornisce una perfetta descrizione in prima persona di cosa voglia dire la freddezza assoluta in area di rigore.

. Lazio-Palermo 3-0 (1 settembre 2012)

Forse il più bello che Klose abbia segnato alla Lazio, se non il più bello in assoluto della sua carriera. Lo stop di petto è una specie di Excel del calcio: ne riconosciamo l’utilità e lo usiamo per lavoro, ma non ci aspettiamo di farne un uso rivoluzionario o di trarne soddisfazioni di carattere estetico. Klose invece sì.

Lazio Roma 2-1 (16 ottobre 2011)

Nell’ultima partita di questo campionato Klose ha giocato salutato l’Italia, ha segnato su rigore e dopo gli hanno chiesto quale sia il suo ricordo più bello di questi cinque anni. Lui ha risposto senza esitazione che non si scorderà mai il primo gol nel derby, nel 2011. Era arrivato da poco alla Lazio, facendo storcere il naso a non pochi tifosi che avrebbero voluto acquisti più giovani e costosi, proprio per tenere il passo della Roma appena acquistata e affidata a Luis Enrique dagli americani.

Il minuto è il novantunesimo, il punteggio è 1-1 e la Roma in dieci uomini è sotto assedio in area di rigore. La Lazio di Reja ci prova in tutti i modi e poco prima ha colto un palo clamoroso, ma c’è un motivo se questi assalti negli ultimi secondi in gergo calcistico sono comunemente definiti “disperati”.

Invece stavolta Hernanes piazza un filtrante tra le linee romaniste e Matuzalém di prima scucchiaia in area di rigore. Klose la addomestica con il collo del piede, tiene lontano il marcatore diretto con la schiena, accenna due volte il tiro levando il fiato a tutti quanti, impadronendosi in modo esclusivo di un paio di secondi di vita delle decine di migliaia di persone che hanno lo sguardo fisso su di lui. Infine la accarezza con precisione, di piatto, una frazione di secondo prima che un difensore della Roma riesca a rinvenire e pochi millimetri al di fuori della portata di Stekelenburg in allungamento.

Franz Beckenbauer poco tempo dopo dice che quello che sta giocando nella Lazio è “il miglior Klose di sempre”. Secondo il kaiser, cambiando campionato e paese Klose si è “tolto un peso” e riceve di nuovo quella stima che “i tifosi tedeschi non gli riconoscevano più”.

Non so dire se in queste parole ci fosse anche una nota di malizia da parte di un dirigente che tutto sommato aveva scelto di lasciar partire Klose da Monaco, ma è vero che, al di là degli oltre sessanta gol segnati, gli ultimi cinque anni della carriera di Klose sono stati forse quelli più pieni di soddisfazioni: protagonista di almeno due grandi cavalcate (il quarto posto del 2011/2012 e il terzo del 2014/2015), vincitore di una Coppa Italia e, nel frattempo, campione del mondo con la Nazionale tedesca e vice-recordman assoluto di presenze, superando in questo lasso di tempo molti grandi campioni tra cui lo stesso Beckenbauer.

Dai trentatré ai trentotto anni Klose ha ha ricevuto molto dall’Italia, costruendosi una seconda carriera, e una nuova mitologia personale. Ha dato forse anche di più, diventando una dei personaggi più riconoscibili del campionato italiano, un’icona internazionale che ha contribuito a impedire che la nostra impoverita Serie A scivolasse alla periferia del calcio europeo.

C’è da essergliene grati.

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