Nella nostra presentazione di due settimane fa avevamo cercato di mettere le mani avanti e spiegare come questo Eurobasket - l’ultimo dell’era “un torneo ogni due anni” e il primo che non metteva realmente nulla in palio per le competizioni a venire - sarebbe stato per forza di cose un unicum nel percorso dei tornei per Nazionali. Da una parte si è confermato tale per l’enorme quantità di assenze prima del via, che inevitabilmente hanno abbassato il livello medio del torneo così come l’allargamento a 24 squadre. Dall’altro è stato anche preso come ultimo “giro di valzer” per molti protagonisti del basket continentale, da Juan Carlos Navarro con la maglia della Spagna a Boris Diaw con quella della Francia e, con ogni probabilità, anche Marco Belinelli e/o Gigi Datome con quelle della nostra Nazionale, complici le cervellotiche nuove regole della FIBA di cui inevitabilmente torneremo a parlare ancora a lungo.
Detto questo, le storie e i giocatori di cui parlare non sono mancate, tra una nuova infornata di talento giovane che segnerà il prossimo decennio di basket europeo (da Luka Doncic a Kristaps Porzingis, da Lauri Markkanen a - si spera - Giannis Antetokounmpo) e i percorsi di nazionali diversissime tra loro e per questo così interessanti. Quella della Slovenia campione per la prima volta nella sua storia, per di più contro la Serbia di Sasha Djordjevic che esce sconfitta in finale per la terza volta consecutiva, ma anche le delusioni come la Francia o le sorprese come la Finlandia, fino al ritorno ad altissimi livelli della Russia con un Aleksey Shved a tratti incontenibile. Facciamo un po’ il punto su quanto si è visto in questo Eurobasket così strano.
Dragic & Doncic sul tetto d’Europa
di Dario Ronzulli
Il giovane e il vecchio, il rampante e il veterano, il futuro e il passato che si incontrano in un presente scintillante. Luka Doncic e Goran Dragic sono stati il fulcro tecnico ed emotivo dei Campioni d'Europa in un mix devastante per gli avversari. La Slovenia si è laureata campione grazie anche, se non soprattutto, alle prestazioni fuori dall'ordinario dei suoi due leader che non hanno tradito le attese, cosa affatto scontata per una squadra che aveva sempre mostrato una certa fragilità mentale ed emotiva nelle gare a eliminazione diretta.
Di Doncic e di quello che combina su un parquet non dovremmo più stupirci dopo due stagioni a distribuire magie in Eurolega. Eppure il suo Europeo ha comunque lasciato a bocca aperta non tanto per le singole giocate, perché era già noto quanto tecnicamente fosse molto vicino all'essere completo, ma per l’aumento esponenziale anche delle capacità di lettura difensive e di controllo emotivo sulla gara nei momenti decisivi, specialmente contro la Lettonia di Porzingis ai quarti. L'EuroBasket di Luka Doncic è stato un trattato sul tema: “Come avere 18 anni e fregarsene della pressione”.
Anche qui: sapevamo che la forma mentis del biondino è già strutturata per giocare, pensare e organizzare basket. Però il quesito su come avrebbe gestito un ruolo molto diverso da quello che ha nel Real Madrid non era campato in aria: passare dall'avere meno responsabilità perché l’enorme quantità di talento attorno ad una posizione di palleggiatore primario - pur in condivisione con Goran Dragic - non è materia gestibile facilmente da chiunque, figuriamoci da un 18enne. Se la domanda era legittima, la risposta del campo non lascia adito a dubbi.
Qui recupera palla dopo un errore al tiro di Bogdanovic, ne supera uno, ne supera un altro prima che il terzo serbo si scansi perché ha già capito come finirà il tutto e non vuole finire nel poster. Ci vuole talento, fisico e faccia tosta per fare un'azione del genere. A 18 anni. In una finale.
Il Goran Dragic che si è presentato ad Helsinki prima e Istanbul poi è stato senza dubbio il migliore mai visto in Nazionale. Anche all'Europeo casalingo del 2013 aveva offerto picchi di basket molto pregiato (come purtroppo ben ricordiamo), ma la costanza non era mai stata roba sua. Qui invece è sceso sotto i 15 punti una volta sola (5 contro l’Ucraina in una partita vinta di 24) e andato oltre i 25 in quattro partite, finale compresa, impreziosita dal record per punti in un quarto (20) nella storia di Eurobasket. La sua velocità d'esecuzione nelle penetrazioni, che in NBA viene limitata solo parzialmente dal maggiore atletismo di chi lo marca e di chi lo aspetta in area, in un Europeo è un'arma illegale contro la quale pochi hanno contromisure, specialmente quando entra “in fiducia” e sente la responsabilità di trascinare una nazione intera. Le spaziature create dai movimenti dei compagni sono state perfette, un tappeto rosso sul quale il Dragone si è fiondato con ferocia e determinazione manco Daenerys Targaryen avesse davvero sussurrato “Dracarys”. Il titolo di MVP è stata la logica conseguenza di un Europeo fiammeggiante.
Ma se la Slovenia è sul tetto d'Europa per la prima volta ci sono pure gli enormi meriti di un coach giramondo che di primizie se ne intende. Igor Kokoškov, belgradese doc classe '71, da oggi non è più un nome conosciuto solo dagli addetti ai lavori. Costretto al ritiro per i postumi di un incidente automobilistico, Kokoškov ha iniziato ad allenare giovanissimo in patria prima di attirare le attenzioni dei Missouri Tigers, diventando il primo europeo a diventare assistente in NCAA. Poi è stato il primo non-americano a entrare in un coaching staff NBA, ai Clippers nel 2000: inizio di un cammino che l'ha portato a Detroit (con titolo vinto nel 2004, primo non-americano a vincerlo da assistente), Phoenix, Cleveland, Orlando e Salt Lake City. Da CT della Georgia l'ha portata per la prima volta alla fase finale di un Europeo nel 2011 e per questo è stato insignito dell'Ordine d'Onore georgiano. Tutto questo per dire che Kokoškov è uno di quelli che il basket ce l'ha nel sangue, che ne ha allenati a centinaia di giocatori per classe, età e caratteri lontani anni luce. Ci voleva uno pratico e sapiente come lui per coniugare il talento di Dragic e Doncic, il carattere di Anthony Randolph e lo spirito da gregariato degli altri. Se la squadra ha reagito come meglio non poteva alle assenze dei due Big nel momento più caldo del torneo, è anche perché il coach li ha responsabilizzati nel contesto tecnico ideale per ognuno di loro. Non ci sono molti modi migliori di questo per fare l'allenatore e soprattutto il commissario tecnico.
Anche i comprimari vanno in paradiso
di Davide Bortoluzzi
La ricetta per una squadra vincente può richiedere diversi ingredienti, che possono variare in quantità ed equilibrio. A volte hai la stella di assoluta grandezza che ti trascina di peso alla vittoria, a volte fattori esogeni e intangibili portano squadre dal talento limitato a traguardi impensabili. Tuttavia, raramente si può prescindere dalla coesione del gruppo o dalla capacità dei cosiddetti “comprimari”, di recitare il ruolo dei protagonisti quando necessario.
Se è vero che il trionfo di questa Slovenia ha la firma di Dragic e Doncic, è però altrettanto vero che l’alloro europeo non sarebbe arrivato senza l’eccellente contributo portato da Nikolic, Prepelic, Vidmar e dallo sloveno d’America Anthony Randolph.
Aleksej Nikolic ha trovato relativamente poco spazio nella manifestazione (circa 10 minuti di media a partita), ma si è sempre fatto trovare pronto quando Dragic necessitava di qualche minuto per rifiatare. Pur non avendo i mezzi atletici del primo, né la stessa capacità di vedere il canestro, Nikolic ha mostrato una grande maturità, quasi da veterano. Il 4/4 ai tiri liberi e la gestione del finale con la Serbia ne sono la dimostrazione più tangibile.
Gasper Vidmar non ha mai avuto le stimmate del predestinato, ciò nonostante ha saputo costruirsi una solida carriera in Europa, anche ad alto livello. 211 centimetri ed un’apertura alare nella media sono comunque sufficienti se si hanno esplosività, tempismo ed una struttura muscolare granitica. Non sempre è fondamentale un gioco in post basso degno di Hakeem Olajuwon per poter contribuire alla vittoria, che spesso può essere frutto di un tap-in o di una stoppata in un momento chiave dell’incontro. Vidmar è stato tutto questo durante l’avventura di Istanbul, essenziale, minimal, ma tremendamente efficace.
Anthony Randolph, una vita da journeyman, non poteva certo farsi mancare l’avventura da naturalizzato, che di fatto ha coinciso con il più grande successo della sua vita sportiva. Il suo atletismo e la capacità di aprire il campo, oltre che di creare situazioni di mismatch, sono state una delle chiavi tattiche di questa Slovenia. Il tutto dimostrando la capacità di entrare in punta di piedi nel gruppo senza personalismi, da vero americano di Maribor.
Klemen Prepelic è finito sui taccuini di tutti gli scout nel 2012, durante gli Europei Under 20 tenutisi proprio in Slovenia. Durante la manifestazione aveva impressionato per la capacità di vedere il canestro da qualsiasi distanza, oltre che per la fluidità nelle movenze che ricordavano sinistramente Sani Becirovic. Un fisico non irresistibile, una propensione difensiva quantomeno rivedibile e una certa discontinuità di rendimento ne hanno sicuramente limitato o rallentato la carriera professionistica, che ha vissuto spesso e volentieri con la valigia in mano, cambiando praticamente una squadra all’anno. Nella finale dell’europeo, però, la catarsi: 21 punti segnati in un amen, scacciando via la Serbia e di fatto regalando ai suoi un oro in collaborazione con uno sfinito Dragic. Forse Prepelic non diventerà mai il giocatore che molti pensavano potesse diventare, ma resterà sempre un meraviglioso Godot.
Chi esce con le ossa rotte da Eurobasket
di Dario Vismara
Non di sole storie positive si vive, per fortuna o purtroppo. Gli Europei di Croazia, Lituania e Francia - tre nazioni partite con ambizioni di medaglia e finite rovinosamente fuori ai quarti per mano di Russia, Grecia e Germania - hanno lasciato l’amaro in bocca per quello che avrebbe potuto essere e invece non è stato. Se il livello di Eurobasket in generale è stato piuttosto basso e le partite realmente memorabili si contano sulle dita di una mano è anche per il mancato contributo di queste tre compagini, che per uno strano mix di mancanza di applicazione e chimica generale, hanno lasciato molto a desiderare sotto ogni aspetto.
Dalla Croazia ci si poteva aspettare qualcosa di più di un’eliminazione per mano della Russia, specialmente per una squadra che era reduce dalle Olimpiadi (anche qui, come purtroppo ben ricordiamo) e che poteva contare su due mammasantissima a livello europeo come Dario Saric e Bojan Bogdanovic. Invece si sono fatti trascinare verso il basso senza dare mai una vera sensazione di potersela giocare, vivacchiando fino all’eliminazione agli ottavi senza infamia e senza lode, finendo fuori per l’ennesima volta alla prima partita in cui ci si giocava davvero qualcosa - una costante ormai negli ultimi 10 anni.
Che qualcosa non funzionasse nella Lituania invece si poteva intravedere già dalla sconfitta contro la Georgia alla prima gara, solo parzialmente cancellate dalle quattro vittorie nel resto del girone. Ma è bastata una squadra in serata buona come la Grecia per mandare fuori Jonas Valanciunas e compagni, che pur potendosi permettere il lusso di uno come Mindaugas Kuzminskas in uscita dalla panchina sono andati fuori contro una squadra che si era guadagnata gli ottavi di finale solo in uno spareggio contro la Polonia priva di Gortat. Il talento per ricominciare un nuovo ciclo non mancherà mai tra i lituani, ma una profonda riflessione va fatta - perché, dopo quello NBA, anche nel contesto europeo uno come Valanciunas sta diventando più un peso che un valore aggiunto.
Ultime parole invece per la Francia, che come ogni tanto capita si è presentata con la faccia spocchiosa ed arrogante, finendo fuori contro una squadra limitata come la Germania di Dennis Schroeder. Certo, subire un 6/8 da tre punti nell’ultimo quarto dopo che gli avversari avevano tirato 3/20 fino a quel momento non è normale, e non poter contare su un top-20 NBA come Rudy Gobert azzopperebbe chiunque, ma andare fuori in quel modo pur potendo avere una rotazione di guardie formata da Heurtel, De Colo e Fournier rimane uno spreco. Alla prima competizione senza Tony Parker, la Francia è crollata in modo tipicamente francese, dando la netta impressione che nessuno riuscisse nemmeno a guardare in faccia il proprio compagno - e il veteranissimo Boris Diaw non è riuscito a ricomporre le varie anime della squadra.
Discorso a parte se lo merita la Spagna, partita con i favori del pronostico per l’oro e invece battuta di 20 senza nemmeno combattere troppo contro la Slovenia. Si tratta però dell’unica sconfitta in un EuroBasket altrimenti controllato, spesso senza nemmeno ingranare le marce alte (cosa che poi hanno finito per pagare), ma alla fine culminato con l’ultimo bronzo da regalare a Juan Carlos Navarro, che chiude la sua leggendaria carriera in nazionale con la decima medaglia in una competizione. Volendo allargare lo sguardo, gli spagnoli avrebbero probabilmente dovuto vincere questi Europei e finire terzi nel 2015, quando un Pau Gasol (diventato miglior marcatore nella storia di EuroBasket nel corso della manifestazione) in versione extralusso vinse quasi da solo l’oro trascinando una Spagna incerottata. Alla fine, il conto rimane in pari e si può pensare al prossimo ciclo delle Furie Rosse, con i fratelli Hernangomez pronti a raccogliere il testimone dai Gasol.
Protagonisti da ricordare come una serie tv memorabile
di Michele Pettene
"Breaking Bad" Killers
Quelli che hanno bussato senza sosta alla porta degli avversari, aprendola a calci ed impossessandosi del territorio nemico senza pietà. Quelli che con attorno solo dei Jesse Pinkman non sempre all’altezza, hanno cercato di trascinare verso il successo assoluto i propri furgoncini carichi di azzurrissima meth.
Ci ha provato Kristaps Porzingis, saltuariamente supportato dai fratelli Bertans ma sostanzialmente con il peso di un intero paese sulle spalle: la sfida - persa - con la Slovenia è coincisa con la partita più bella e divertente dell'Europeo grazie soprattutto alla sua prova monstre, da vero Heisenberg incapace di arrendersi. Al netto delle forzature nel finale, i falli precoci e qualche segno di instabilità emotiva nei momenti cruciali (con lo zampino della moglie Skyler-Anthony Randolph) che hanno forse impedito il coronamento di un torneo da stropicciarsi gli occhi.
Ci ha provato Bogdan Bogdanovic, che si è guadagnato il bacio sulla guancia del suo ex mentore Zelimir Obradovic a Istanbul quando ha distrutto con un killer instinct degno dell'ultimissimo Walter White le speranze italiche e russe, provando poi ad arginare la ferocia dei narcos sloveni in una finale dove, tradito dal suo tiro da 3, non ha trovato nessun avvocato corrotto a salvarlo. Better call Milos, per chiudere - finalmente - con l'oro nel 2021.
Ci ha infine provato Alexey Shved, la versione più imprevedibile del Re delle Anfetamine e quella più pericolosa, capace di scatenare l'inferno sui 28 metri tra bombe siderali lasciate esplodere nei bunker nemici e assist fulminei che sono valsi la semifinale: solo l'alter ego Bogdanovic - più lucido e spietato - è riuscito ad abbatterlo nel duello individuale più impressionante dell'Europeo.
"Black Mirror" Hopes
Quelli che hanno ereditato il Vecchio Mondo dalle mani della precedente generazione, con il giuramento che l'avrebbero trasformato nella nuova Terra Promessa ignorando la scarsità delle risorse a disposizione. Nuovi software, scintillanti e aggiornati alle ultime tecnologie cestistiche, il cui potenziale non potrà essere completamente sfruttato.
Parliamo di Dennis Schröder, scheda madre della Germania orfana del Grande Saggio Dirk Nowitzki, capace di distruggere il fragile sistema operativo francese agli ottavi ma priva degli antivirus sufficienti (il “Theis 3.0” funziona a corrente alterna) per impedire ad hacker più esperti e potenti - greci, lituani, spagnoli - d’incunearsi e arrestarla definitivamente.
Parliamo di Cedi Osman, ribelle pulito e determinato di un regime autoritario che non ha sostituito la Vecchia Guardia Turca con nuove forze fedeli alla linea, impedendo a Enes "V per Vendetta" Kanter di aiutare il compagno, usando le prestazioni totali (primo turco per punti, rimbalzi e assist) del nuovo eroe popolare per mascherare le proprie sporche attività.
Parliamo di Lauri Markkanen, biondo cosplayer dalle innate qualità realizzative e mentali - sembrava un pro consumato - inserito in una realtà virtuale, quella finlandese, che come le mappe dei primi "Age of Empires" sta facendo ancora grande fatica nell'ampliarsi verso aree inesplorate.
Parliamo di Toko Shengelia, proiezione di un mondo parallelo dove lui si autodefinisce "il Manu Ginobili georgiano" e dove la sua nazionale si è trasformata in una forza cestistica mondiale: nonostante le sue superbe giocate e un Eurobasket con picchi da elite (29 nell'opener con i lituani), purtroppo la Georgia continua ad essere un'incompiuta.
"Renegade" Riders
Dimenticati e rinnegati un secondo dopo l'ultima sirena del loro Europeo, inseguiti sulle loro Harley d'altri tempi dall'intero quintetto avversario, essi sono i "Fuorilegge", eroi solitari ed incompresi capaci di imprese epiche ma "incastrati" da una nazionalità che li costringerà a fuggire per sempre.
Come l'ala Adam Hanga, cacciatore di taglie ungherese autore anche di 31 punti alla Repubblica Ceca ma troppo solo per sperare di vincere agli ottavi contro serbi o squadre di simile livello. O come il ricercato ucraino numero uno, Artem Pustovyi, altro "renegade" da 29 devastanti punti alla Lituania contro il paristazza Valanciunas, prima di arrendersi alle Forze dell'Ordine deviate slovene in un ottavo di finale dove Artem ha tolto la carabina dal collo, ma non ha chinato il capo.
E poi, per concludere, il metromono rumeno simbolo di questa razza indomita e sfortunata: Andrei Mandache, conosciuto tra le campagne di Bucarest come "L'unica tripla doppia di EuroBasket 2017" (nonché la seconda della storia dopo quella di Toni Kukoc nel 1995) - tutto muscoli, faccia tosta e sguardo sprezzante. Solo una giustizia ipocrita e prezzolata gli ha impedito di consegnare alla sua Romania almeno una vittoria.
Ma i "Rinnegati" - presto o tardi - torneranno a prendersi quanto gli spetta.