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Mauro Mondello
Cosa aspettarsi da Nuova Zelanda-Sudafrica
27 ott 2023
27 ott 2023
La finale tra All Blacks e Springboks chiude un Mondiale spettacolare ma duro per l'Italia.
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Mauro Mondello
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IMAGO / Inpho Photography
(foto) IMAGO / Inpho Photography
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I Mondiali di rugby 2023 erano partiti con la convinzione generale che, per la seconda volta nella storia, sarebbe stata una squadra europea a chiudere sul gradino più alto del podio. Ma le cose non sono andate come previsto. L’atto finale del torneo, sabato 28 ottobre allo Stade de France di Parigi, vedrà in programma la più classica delle sfide fra due grandi potenze dell’emisfero sud: Nuova Zelanda contro Sudafrica. Per ripercorrerlo e proiettarci all'ultima partita di questo torneo andiamo per gradi, partendo da un piccolo recap delle puntate precedenti.

Il percorso che ha portato alla finale

È un esito sorprendente, ma che rispecchia in maniera nitida come, nelle competizioni fra Nazionali che si decidono sulla partita secca, siano determinanti esperienza e piano tattico, due elementi che abbondano nelle selezioni "All Blacks" e "Springboks" e che devono invece ancora essere pienamente metabolizzati dalle grandi deluse di questi campionati del mondo, Irlanda e Francia. Gli irlandesi, soprattutto, arrivavano al torneo iridato da numeri 1 del ranking e con un filotto vincente che li ha portati a giocarsi i quarti dopo diciassette successi consecutivi. Eppure, nonostante la nazionale dello Shamrock si sia presentata in terra francese con quella che è forse la squadra più forte di tutta la sua storia, ancora una volta, per la nona volta in dieci partecipazioni mondiali, non è riuscita a superare i quarti di finale.

Non è andata meglio ai "Bleus", che hanno impostato gli ultimi tre anni di lavoro con il solo obiettivo di arrivare quantomeno a giocarsi sino in fondo questo mondiale e a cui invece non sono bastati né il tifo di tutta la Francia, che nell’ultimo mese ha messo un po’ da parte il calcio per stringersi intorno alla sua squadra di rugby, né avere in rosa, oltre a tanti straordinari fenomeni, anche Antoine Dupont, universalmente riconosciuto come il miglior giocatore del mondo. La squadra di Galthié è caduta nella trappola tattica tesagli da un Sudafrica cinico e speculativo, chiudendo già ai quarti il suo cammino.

Certo c’è da sottolineare, ancora una volta, come l’esito finale di questa coppa del mondo sia stato fortemente sbilanciato da una composizione dei gironi semplicemente disastrosa. Aver messo dalla stessa parte del tabellone, e negli stessi due gironi, le prime cinque squadre del mondo, ha estromesso dal torneo Francia e Irlanda già ai quarti e ha livellato il Mondiale verso il basso, privando la competizione di tantissimi grandi giocatori e del conseguente divertimento che avrebbero potuto portare sino alle due finali. Un sorteggio dei gruppi più coerente avrebbe peraltro permesso alla Scozia, quasi certamente, di arrivare almeno ai quarti. E chissà se Francia e Irlanda, con un turno a eliminazione diretta in più sulle gambe, contro Sudafrica e Nuova Zelanda più provate fisicamente da una partita addizionale, avrebbero comunque perso i loro match in semifinale. Se l’emisfero sud è insomma, di nuovo, padrone della competizione mondiale, lo deve anche a un’organizzazione che ha deciso di mutilare la sua vetrina più importante.

Dopo aver assistito a due quarti di finale che resteranno nella storia di questo sport (Irlanda contro Nuova Zelanda e Francia contro Sudafrica), si è stati così costretti a sorbirsi due gare orribili come Galles contro Argentina e Inghilterra contro Figi, a cui si sono poi aggiunte le forse ancor peggiori dal punto di vista tecnico Nuova Zelanda contro Argentina e Sudafrica contro Inghilterra. L’unica buona notizia è che questa catastrofe organizzativa non dovrebbe, a quanto pare, mai più ripetersi, quantomeno non con le discrepanze a cui si è assistito in Francia.

Il consiglio di World Rugby, infatti, in una decisione annunciata all’inizio di questa settimana, ha comunicato, oltre a tantissime novità nel calendario internazionale, che a partire dalla Coppa del Mondo 2027 in Australia il sorteggio verrà effettuato “il più tardi possibile”. Alan Gilpin, direttore esecutivo della federazione mondiale, ha parlato di gennaio 2026, con la coppa del mondo in partenza a ottobre 2027. Non la migliore soluzione possibile, ma di certo un miglioramento rispetto ai tre anni di anticipo (dicembre 2020, basandosi sul ranking di gennaio 2020, in cui l’Irlanda, ad esempio, era quinta, mentre ha poi cominciato questo torneo da numero 1) con cui sono stati elaborati i gironi e il tabellone del Mondiale 2023.

Le cinque mete più belle del torneo

Mateo Carreras, Giappone vs Argentina, Gruppo D

L’ala dei Pumas è stato uno dei giocatori più elettrizzanti del torneo e in questa meta, la prima delle tre messe a segno contro il Giappone, mostra tutta la sua esplosività, chiudendo un’azione splendida dell’Argentina. La presa al volo di Mallia, lo scarico per capitan Montoya che lancia il mediano Bertranou, un placcaggio rotto, si naviga verso la sinistra e poi la palla fuori, per Carreras, che sembra arrivare da un’altra dimensione, a velocità tripla rispetto a tutti gli altri giocatori che cercano di acciuffarlo.

Will Jordan, Irlanda vs Nuova Zelanda, quarti di finale

1 metro e 88, 91 chili, Will Jordan, a 25 anni, ha già messo insieme 30 caps per gli "All Blacks" e, con una meta nella finale di sabato prossimo, potrebbe diventare il miglior marcatore di tutti i tempi in una competizione mondiale. A Francia 2023 ha già schiacciato a terra otto mete, eguagliando mostri sacri come Habana, Lomu e Savea: questa contro l’Irlanda è forse la più significativa delle sue segnature. Gran parte del merito va a Richie Mo’Unga, che da dentro la sua metà campo prende un buco di trenta metri e poi lancia Jordan, che mostra a tutto il mondo, ancora una volta, di essere il finisher migliore in circolazione.

Eben Etzebeth, Francia vs Sudafrica, quarti di finale

Non una meta spettacolare, quella di Etzebeth, ma di sicuro la meta più decisiva, sinora, di questa coppa del mondo. Grazie a questa segnatura, infatti, il Sudafrica passerà davanti alla Francia nel punteggio, mantenendosi poi davanti sino alla fine. Etzebeth riceve palla poco fuori dalla linea di cinque metri, nota subito che può sfruttare il mismatch fisico contro il mediano di apertura Jalibert (1 metro e 84 per 86 chili contro i 2 metri e 03 per 117 chili del sudafricano) e lo carica dritto per dritto. Il malcapitato Jalibert viene travolto, trascinato in area di meta, con Etzebeth che schiaccia il pallone mentre intorno a sé sono addirittura quattro i giocatori francesi che, alla fine, si tirano dietro.

Rodrigo Marta, Figi vs Portogallo, Gruppo C

Il Portogallo è stato la sorpresa del torneo e questa meta, che sigilla una splendida vittoria sulle Figi, è il manifesto del rugby effervescente e sfrontato che i lusitani hanno esibito alla coppa del Mondo. Il Portogallo recupera palla poco fuori dai suoi 22, si sposta alla mano, rapidamente, sul fronte sinistro e proprio grazie all’azione dell’ala, Rodrigo Marta, crea un primo break che fa risalire la squadra a ridosso della linea di metà campo. Marta ha fatto vedere splendide cose a questa coppa del mondo e anche in questo caso tira fuori tutte le sue doti atletiche: finta di andare sull’esterno, poi si butta dentro rientrando, evita tre avversari e viene fermato, con fatica, solo dal quarto figiano, in recupero. Pallone fuori veloce, ancora sul lato chiuso, Belo entra dritto: altro break, superata la metà campo. Tre fasi rapide e il gioco è spostato, con le percussioni della mischia, sul lato destro del terreno di gioco. Qui irrompe dal nulla Raffaele Storti, forse il giocatore più dirompente di questo Portogallo. L’ala raccoglie il pallone rapidamente da ruck, accelera sull’out destro e a cinque metri dalla linea manda Marta a schiacciare.

Lekima Tagitagivalu, Galles vs Figi, Gruppo C

Una dichiarazione pubblica di come intendono il rugby i giocatori figiani, un mix di fisicità, inventiva ed esuberanza atletica che ha incantato gli appassionati durante la coppa del mondo. Le Figi ormai non sono più una sorpresa e nel torneo iridato hanno dovuto subire anche due arbitraggi, contro Galles e Inghilterra, davvero poco favorevoli. Qui ripartono da mischia chiusa nella loro metà campo, l’apertura Tela salta il primo centro e va dal capitano Nayacalevu, percussione e offload fantastico per Radradra che si butta dentro dritto, fa fuori tre uomini e cavalca fino ad entrare nei 22 avversari, altro offload per Tagitagivalu che ha seguito bene al sostegno e, prima di schiacciare in meta, si permette persino di girare intorno a Josh Adams. Da segnalare, sempre per le Figi, anche la meta di Vinaya Habosi, contro la Georgia, peraltro candidata ai World Rugby Awards fra le segnature dell’anno.

I Mondiali dell’Italia

Decima partecipazione ai Mondiali per l’Italia e decima eliminazione ai gironi. Nessuno, a dire il vero, sperava stavolta nel miracolo dei quarti, vista la presenza nel gruppo di Francia e Nuova Zelanda. Quello che però non ci si attendeva erano le due severissime lezioni impartite da "All Blacks" e "Les Bleus" agli azzurri: 156 punti subiti in due partite e un lungo lavoro di credibilità rugbistica, costruito con tanta fatica negli ultimi due anni, spazzato via nel giro di centosessanta minuti. Alla vittoria tranquilla, anche se non troppo solida, con la Namibia, molto dietro agli azzurri nel ranking, è seguito il successo scorbutico contro l’Uruguay, arrivato, dopo aver chiuso sotto un primo tempo orribile, grazie allo scatto d’orgoglio di una squadra che ha comunque, ancora, un certo margine fisico e atletico rispetto ai sudamericani. Da lì in poi si è consumato uno psicodramma a puntate che, ad analizzarne oggi i segnali preventivi, puntava inequivocabilmente alla tragedia sportiva.

Le dichiarazioni di Kieran Crowley («la storia è fatta per essere cambiata») e del capitano azzurro Michele Lamaro («mettiamo la ciliegina sulla torta») prima della partita con la Nuova Zelanda, sono sì servite a galvanizzare l’ambiente italiano, ma sono state utilissime anche ai neozelandesi per ricompattarsi di fronte a un match, quello con l’Italia, divenuto per gli "All Blacks", in maniera inattesa, una questione di vita o di morte. Non solo staff e giocatori italiani, ma anche molta stampa specializzata straniera, considerava l’Italia, prima del match, una sfidante credibile dei neozelandesi, in grado, se non di andare a vincere la partita, di giocarsela fino in fondo. Gli "All Blacks" non l’hanno presa molto bene, questa cosa dell’essere messi quasi alla pari degli azzurri dai pronostici, e sono scesi in campo, lo si è capito sin dai primi minuti, per demolire l’Italia sotto ogni punto di vista: fisicamente, tecnicamente, psicologicamente. È apparso chiaro, negli ultimi dieci minuti del match, come l’intenzione fosse quella di superare quota 100 punti, un traguardo sfuggito solo all’ultimo secondo e che avrebbe reso ancora più umiliante una sconfitta che è, già così, comunque una delle più pesanti nella storia del rugby italiano.

La lezione, non è ancora chiaro quanto effettivamente assorbita, è che se si decide di sfidare la Nazionale più prestigiosa e vincente nella storia del rugby, bisogna poi essere in grado di sostenere sul campo questo tipo di pressione. L’Italia, purtroppo, non solo è stata sormontata dal peso delle aspettative da essa stessa montate, ma ha anche scalfito, vedremo quanto in profondità, tutte le sue sicurezze. Lo si è visto anche nella successiva sfida alla Francia, una squadra che nell’ultimo Sei Nazioni l’Italia aveva messo in grande difficoltà (29 a 24 per i francesi maturato a dieci minuti dalla fine) e che invece, sfruttando la demolizione neozelandese, ha rifilato al XV azzurro altri 60 punti.

Male le mischie chiuse, malissimo le touche, gioco alla mano scopertosi di colpo poco vario, giocatori chiave mai dentro la competizione. Ci si aspettava di più da Garbisi, che continua a rincorrere le buone prestazioni del Sei Nazioni 2021, ma che dalla sua ha ancora l’età, appena 23 anni. Ci si aspettava di più dal capitano Lamaro, autore di alcuni brutti errori nelle due pesanti sconfitte nel gruppo e che è sembrato la brutta copia del giocatore arcigno e guerresco degli ultimi anni. Ci si aspettava di più da Capuozzo, arrivato al Mondiale da stella nascente e finito nel tritacarne di una squadra cui sono mancate, anche nelle due vittorie, ordine in fase offensiva, disciplina in fase difensiva e soprattutto aggressività nell’andare a prendere gli avversari in avanzamento. Tanti, troppi, errori individuali e la sensazione di aver pensato, erroneamente, di aver finalmente colmato il gap con le grandi. Da salvare, sul fronte individuale, ci sono le prestazioni di Ruzza, sempre straordinario per applicazione e leadership, e Brex, che in alcuni momenti delle partite con "All Blacks" e Francia è sembrato difendere, letteralmente, da solo.

Per il resto, è giusto ammettere che, in questo momento, Francia, Sudafrica, Nuova Zelanda e Irlanda giocano uno sport diverso dagli altri, e sarebbe dunque immeritato dimenticare quanto di buono fatto da questo gruppo azzurro agli ordini di Crowley. Certo era lecito aspettarsi di meglio, soprattutto sul fronte dell’intensità, della capacità di rimanere compatti, aggressivi, duri, sui punti d’incontro. Per allungare le azioni degli avversari, per evitare di prendere 150 punti in due partite. Viene da chiedersi, col senno di poi, se davvero sia stata una buona idea quella di lasciare a casa, senza farsi troppo domande, un giocatore forte e carismatico come Sergio Parisse, che forse, in alcuni frangenti, anche senza scendere in campo, avrebbe potuto dare una grossa mano in termini di sicurezza a una rosa che è sembrata mancare, questo è sotto gli occhi di tutti, di un punto di riferimento in campo. Di buono c’è che adesso, con l’arrivo in panchina dell’argentino Quesada, si potrà davvero ripartire da zero in termini emotivi e provare recuperare tutto il grande lavoro fatto da Crowley, per consolidarsi con le squadre dello stesso livello, e imparare a resistere contro chi ci è ancora troppo superiore.

Il top XV di questi Mondiali

15 - Hugo Keenan, Irlanda

Eccezionale nel gioco aereo, sempre preciso al piede, una minaccia costante in attacco: oggi non ci sono nel panorama del rugby mondiale degli estremi più completi del numero 15 di Leinster.

14 - Will Jordan, Nuova Zelanda

Un finisher eccezionale, meno vistoso di altre ali storiche del rugby "All Blacks", ma efficace e presente in ogni zona nel campo, abile anche al piede quando serve. Otto mete in cinque partite in questa coppa del mondo.

13 - Jesse Kriel, Sudafrica Solido per tutto il torneo, la sua partita contro la Francia gli vale il posto in questa formazione a discapito di Rieko Ioane e Gael Fickou. Sempre pronto a inventare qualcosa anche al piede, accorto in difesa e dominante in attacco.

12 - Bundee Aki, Irlanda Commovente la sua prestazione contro la Nuova Zelanda, un martello, straripante, in ogni singola partita: un peccato averlo dovuto perdere già ai quarti. Candidato, comunque, a miglior giocatore del torneo, Aki ha portato avanti decine di palloni per la linea di tre quarti irlandese, senza sosta, colpo su colpo, regalando grandi prestazioni anche in difesa e tirando fuori due offload straordinari contro contro Scozia e Sudafrica. Menzione d’onore per l’All Black Jordie Barrett.

11 - Semi Radradra, Figi Ball carrier incontenibile, con un repertorio di finte straordinario, nonostante le sue dimensioni non esattamente “mini” (190 cm x 100 chili), mani eccezionali per passaggi e offloads e visione di gioco sempre in ritmo, per andare avanti a ogni costo.

10 - Richie Mo’Unga, Nuova Zelanda

Un giocatore meraviglioso da ammirare sul campo. Elegante e calibrato, potente e rapido, forte al piede e nel gioco alla mano, in grado di tenere sempre al massimo il ritmo della squadra. Per lui questo, qualora ne avesse bisogno, è il Mondiale della definitiva consacrazione.

9 - Aaron Smith, Nuova Zelanda Difficile lasciare fuori Dupont, ma che Mondiale ha giocato Aaron Smith. A 34 anni suonati, con 121 caps sulle spalle e alla sua terza coppa del mondo, è riuscito a migliorare ancora il suo gioco, regalando agli "All Blacks" cadenze di attacco semplicemente perfette.

8 - Ardie Savea, Nuova Zelanda

Ormai da un po’ di tempo Savea è il punto di riferimento assoluto del rugby mondiale nel ruolo di terza centro, e anche questa competizione è servito per ribadirlo. Tre mete, 47 placcaggi, 8 offloads, 60 percussioni, 250 metri palla in mano, in cinque partite, raccontano solo in parte l’importanza di questo giocatore negli ingranaggi "All Blacks". Gregory Aldritt, numero otto francese, resta fuori solo perché davanti ha un mostro.

7 - Charles Ollivon, Francia

Un moto perpetuo in attacco e in difesa, placcaggi e percussioni, metri conquistati e lavoro sporco in ruck, gestione delle touche e tantissima personalità. Du Toit, flanker sudafricano, merita una citazione.

6 - Syia Kolisi, Sudafrica Il capitano "Springboks" sta giocando un Mondiale meno appariscente di quello che ci si sarebbe potuti aspettare, ma la sua leadership è pesantissima e il suo lavoro sporco a terra determinante per il gioco sudafricano.

5 - Scott Barrett, Nuova Zelanda

Giocatore dominante nelle fasi di gioco statiche, sempre pronto a dare il suo contributo come ball carrier e a gestire i momenti più sporchi al breakdown.

4 - Eben Etzebeth, Sudafrica Un pezzo importante di questa finale gli "Springboks" lo devono alla loro gigantesca seconda linea, che ha trascinato fisicamente la Francia dentro l’oblio con la sua meta strabordante ai quarti. Presenza irrinunciabile nelle mischie chiuse e in touche, giocatore di testa, tecnica e fisico, classe assoluta.

3 - Ox Nche, Sudafrica

Dimostrazione di come e quanto è importante, nel rugby moderno, avere giocatori pronti a entrare in partita, dalla panchina, abili a mantenere il livello. Con la sua potenza ha scardinato l’Inghilterra in semifinale e anche con la Francia, insieme al collega Koch, ha fatto al differenza in mischia chiusa appena entrato.

2 - Bongi Mbonambi, Sudafrica Tante partite da ottanta minuti per un giocatore a cui gli "Springboks" non possono rinunciare. Decisivo nelle fasi di gioco statiche, abrasivo sui punti d’incontro, capace di tirarsi dietro la mischia, grazie alla sua leadership, anche nei momenti più difficili.

1 - Tyrel Lomax, Nuova Zelanda Distrutto Porter contro l’Irlanda, portando a casa diversi calci di punizione per gli "All Blacks". Placcaggi e consistenza nei punti d’incontro, un giocatore che si è conquistato in silenzio il suo posto in squadra e che oggi è fondamentale negli equilibri del pacchetto della Nuova Zelanda.

Cosa aspettarsi dalla finale

Gli "Springboks" si giocano questa finale, da campioni in carica, riproponendo la cosiddetta Bomb Squad, una squadra che porta in panchina sette giocatori di mischia e un solo tre quarti. Lo scorso agosto questa scelta portò a una vittoria strabordante contro gli "All Blacks", un 35 a 7 già passato alla storia, ma le cose, nel frattempo, sono cambiate, e sarà interessante vedere se l’impatto dei cambi in mischia sul XV neozelandese sarà lo stesso di due mesi fa.

La Nuova Zelanda arriva infatti a questa finale in grande crescita, decisamente più in forma rispetto al gruppo demoralizzato, sconfitto all’esordio dalla Francia, che aveva cominciato la coppa del mondo. In pochi avrebbero ipotizzato di trovare gli All Blacks in fondo al torneo ma la realtà è che l’allenatore, Ian Foster, ripartendo dalle cose semplici, è riuscito a rimettere in sesto una squadra che, per qualità ed esperienza, oggi fa di nuovo paura. In attacco la Nuova Zelanda ha dimostrato di essere una spanna sopra agli altri: 325 punti segnati in sei partite, con 81 break in percussione, raccontano perfettamente la forza di questa squadra quando decide di attaccare. Le soluzioni, d’altronde, sono moltissime, con Smith, Mo’Unga, i due Barrett, Jordan, Telea, sempre pronti a inventare qualcosa, con la vivacità di Mckenzie dalla panchina che, sino ad ora, ha dato un contributo importante per spaccare le partite. La difesa a oltranza sulle 37 fasi irlandesi, senza concedere calci di punizione, è un atto di forza poderoso sul quale, evidentemente, gli "All Blacks" hanno costruito il loro percorso al Mondiale.

Il Sudafrica, sembra scontato, insisterà nel suo piano gioco speculativo-aggressivo, una struttura di gara che prevede una lotta all’ultimo sangue sulle fasi statiche e al breakdown alternate a insistite azioni in percussioni mandando dentro i suoi bestiali ball carrier, da Du Toit ad Etzebeth, sino a De Allende. Come nella vittoria con la Francia, i ragazzi di Erasmus e Nienaber cercheranno di disordinare al massimo il gioco "All Blacks", per poi lanciarsi all’arrembaggio non appena dovessero esserci spazi nel gioco rotto. Molto affascinante sarà la battaglia aerea, che ha lasciato molto a desiderare sul fronte "Springboks" nella semifinale con l’Inghilterra e che la Nuova Zelanda, per tutto il torneo, ha invece dimostrato di dominare con tecnica e coraggio.

Se il Sudafrica riuscirà a rimanere dentro la partita, sotto il break, fino all’ultimo quarto di gioco, allora, come già successo con Francia e Inghilterra, i cambi in mischia, con Nche in prima linea soprattutto, potrebbero fare la differenza. Attenzione però, perché con un giorno di riposo in più rispetto agli "Springboks" e una semifinale più morbida rispetto a quella giocata dai sudafricani, gli "All Blacks", che partono leggermente favoriti, potrebbero anche ritrovarsi a sfruttare il vantaggio di una linea di tre quarti sudafricana costretta a giocarsi tutta la partita, senza cambi per De Klerk e Pollard, a meno di uno spostamento di Kolbe a mediano di mischia. Con questo scenario, la finale potrebbe facilmente trasformarsi in una partita a scacchi decisa da un calcio negli ultimi cinque minuti di gioco.

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