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Olga Campofreda
La scherma italiana è stata una delusione?
02 ago 2021
02 ago 2021
Ci sono state molte polemiche, ma è più complesso di come sembra.
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Olga Campofreda
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Molte volte seguendo la scherma in queste Olimpiadi mi è tornata in mente la frase di apertura di Match Point, celebre film di Woody Allen, che accompagna il frame della pallina da tennis sospesa sulla rete tra le due parti del campo: “Le persone hanno paura di ammettere quanto nella vita dipenda dalla fortuna. Fa paura pensare quanto le cose possano sfuggire al nostro controllo”. Questo è particolarmente vero nella scherma per le armi convenzionali che tanto dipendono dalla lettura arbitrale, come il fioretto e la sciabola. E tanto più in questo momento, in cui la stampa nazionale ha fortemente criticato la squadra italiana di scherma, incapace per la prima volta da 41 anni a conquistare una medaglia d'oro, individuale o a squadre. Come in altri sport, anche nella scherma non tutto dipende dalla prestazione individuale e ci sono anche condizioni esterne che riescono a influire sulla concentrazione del momento, a volte col potere di capovolgere le sorti di uno scontro di forze in equilibrio.


 

A parità di talento, il match dei quarti di finale del fioretto maschile a squadre contro il Giappone ha sofferto molto una serie di fattori avversi che hanno contribuito alla sconfitta su un punteggio finale di 45-43. L’incontro è stato gestito nell’ultima frazione (9/9) da un Garozzo visibilmente nervoso, indispettito dalle decisioni arbitrali che hanno letto diversi attacchi in favore degli avversari e non hanno sanzionato apparenti situazioni di corpo a corpo (“ma stai zitto”, si sente dire a Garozzo tra i denti, rivolto all’arbitro all’ennesima stoccata dubbia, concessa ai giapponesi).


 

Prima, nella seconda frazione, per l’Italia c’erano stati problemi tecnici: contro Saito l’ex campione olimpico aveva dovuto cambiare il passante, il filo elettrico che collega l’arma all’apparecchiatura di segnalazione punti; poi aveva cambiato il fioretto. Nonostante il vantaggio che vedeva a un certo punto un parziale di 5-0 per Garozzo, cambiare attrezzatura in un assalto già particolarmente teso è stato un dettaglio destabilizzante. Ultimo fattore non da poco: la consapevolezza di giocare, di fatto, con uno schermidore in meno. Nella terza frazione, l’infortunio alla gamba di Cassarà si è fatto sentire dopo sole due stoccate segnate in favore degli azzurri. Giorgio Avola è entrato da riserva, chiudendo con un vantaggio stentato tutti gli assalti. Ex oro a squadre a Londra 2012, Avola ha messo in scena un vero spettacolo contro il Giappone, giocando sull’accelerazione di un attacco che riusciva sempre a cogliere impreparata la difesa avversaria. Il suo talento però non è bastato.


 


Tra l'altro Garozzo, proprio contro il Giappone, aveva dato una grande prova nell'individuale per approdare in finale.


 

Si dice che la punta di un fioretto sia il secondo oggetto più veloce dopo il proiettile, tra tutte le discipline olimpiche. Osservando i giapponesi contro l’Italia ai quarti, questa affermazione si è dimostrata particolarmente vera. C'è da dire, però, che, dopo aver battuto gli azzurri, il Giappone si fermerà, nonostante tutto, in quarta posizione, piegandosi prima alla Francia in semifinale (45-42) e poi agli Stati Uniti (45-31) per il bronzo. Eppure è impossibile non pensare a cosa sarebbe stato: se l’Italia avesse vinto contro il Giappone, avrebbe portato a casa quell’oro mancante? E in quel caso, quel cinquantesimo oro ottenuto in extremis ci avrebbe fatto cambiare idea su com'è andata la scherma italiana in queste Olimpiadi?


 

Il recupero avversario: una storia in loop


Guardando anche al passato, sembra che sulla squadra di scherma italiana ci sia una vera e propria "maledizione del recupero avversario", qualcosa che ha perseguitato con regolarità gli schermidori azzurri nelle competizioni a squadre. Prima che al fioretto maschile, era successo sabato alla sciabola femminile, con il team composto da Irene Vecchi, Rossella Gregorio e Martina Criscio (e Michela Battiston in riserva): le italiane avevano perso contro la Francia in semifinale, trovandosi a combattere con la Corea per la medaglia di bronzo. Il match era arrivato alla quinta frazione (5/9) chiusa con un vantaggio di dieci stoccate per le azzurre, ma le coreane hanno ribaltato le sorti dell’incontro e hanno scalzato le italiane dal podio.


 


Poi c’era stata la spada maschile, venerdì: dopo aver condotto il match contro la Russia, il quartetto composto da Santarelli, Garozzo, Fichera e Cimini si è ritrovato a un pareggio di 23-23, per poi vedersi superare in una disfatta finale 45-34, classificandosi settimi nella competizione. Stessa storia per il fioretto femminile a squadre giovedì, altra gara in cui l’Italia era data tra le favorite. Il team capitanato da Arianna Errigo, dopo aver condotto per 20-9 in semifinale contro la Francia, ha subito una rimonta avversaria che ha chiuso l’ultima frazione con punteggio di 45-43. Alla fine le fiorettiste italiane hanno portato a casa il secondo bronzo dopo quello della spada femminile a squadre, ma questo non ha impedito alle polemiche di divampare, anche dentro la stessa squadra azzurra.


 

Quasi immediatamente dopo la notizia del bronzo del fioretto femminile, infatti, la ex fiorettista jesina Elisa Di Francisca (oro individuale e a squadre a Londra 2012) ha rilasciato una serie di critiche all’agenzia ADN Kronos contro il CT del fioretto Andrea Cipressa: «Andrea Cipressa non è all’altezza per essere il CT del fioretto: lo dicono i risultati», ha dichiarato Di Francisca «Serve una personalità più forte. A Londra con Cerioni prendemmo tre ori e 5 medaglie. Io non so se Stefano sia disponibile a tornare ma lui sarebbe il più indicato a ricoprire questo ruolo».


 

Di Francisca tira in ballo il suo coach Stefano Cerioni, che nel 2012 aveva lasciato la nazionale di fioretto italiana accettando una proposta dalla Russia. Il contratto è terminato dopo le Olimpiadi di Rio, nel novembre 2016. La fiorettista ha ripetuto queste affermazioni nei salotti della Rai, sapendo di avere visibilità e ben consapevole dell’effetto che avrebbero avuto sul CT Cipressa e sui colleghi a Tokyo, con la gara di fioretto maschile ancora da disputare. La jesina non si è risparmiata neanche su Arianna Errigo, ex compagna di squadra, giudicandola “troppo emotiva” soprattutto in contesti come quello delle Olimpiadi.


 

In un’edizione come questa di Tokyo, in cui l’attenzione alle questioni di salute e fragilità mentale degli atleti è stata finalmente messa sotto i riflettori dall’esperienza di Simone Biles, le parole di Di Francisca sembrano provenire da un mondo lontano anni luce. Questo attacco risulta ancora più alieno se si considera che nella gara di fioretto femminile l’Italia si è comunque guadagnata una medaglia di bronzo. Il dibattito travalica perfino i confini del mondo della scherma, arrivando a coinvolgere l’ex CT della squadra di pallavolo italiana, Julio Velasco, che poco dopo le ha risposto dalle poltrone della trasmissione televisiva Il Circolo degli Anelli: «Queste dichiarazioni sono disgustose. Il problema non è se ha ragione o non ha ragione, se quell’atleta ha problemi nei momenti decisivi o no, è disgustoso il momento, i tempi, e parlare così di una collega e di un allenatore gratuitamente. […] Possiamo criticare, ma questo è un attacco frontale».


 

La polemica sui risultati del fioretto viene a inserirsi nel quadro più ampio in cui la scherma italiana fin dai primi giorni di gare ha dovuto rispondere a un racconto incentrato sulla retorica delle aspettative deluse: la frase “nessun oro, non succedeva da quarant’anni” ha iniziato a girare fin dalla fine delle prove individuali. L’atteggiamento disfattista dei media e le opinioni pubbliche veicolate dai social hanno sfondato l’aura sacra di raccoglimento in cui atleti e staff se ne stavano protetti. Ecco allora un’altra domanda senza risposta: quanto sarebbe stata diversa la pressione, quanto maggiore la lucidità, se agli schermidori azzurri non fosse arrivato tutto questo?


 

Abituati bene


A mettere ulteriore pressione nei confronti di quelle che sono state beffardamente chiamate “le medaglie di legno” (i quarti posti, cioè della spada maschile e del fioretto), Valentina Vezzali, sottosegretaria allo sport e pluricampionessa olimpica di fioretto, ha dichiarato: «Noi del fioretto femminile abbiamo abituato troppo bene». La ex fiorettista jesina si riferisce agli anni del Dream Team, un’onda verde del fioretto femminile italiano che attraversa gli anni Novanta fino ai trionfi dell’olimpiade di Londra, a cui pure Di Francisca si riferiva. Anche se Vezzali ha ricordato quanto “essere al vertice non è mai scontato”, di fatto nessuna analisi fino a oggi si è spinta a immaginare cosa sia cambiato da allora realmente. Cosa sia cambiato fuori e intorno alla scherma italiana, piuttosto che concentrarsi solo ed esclusivamente sulle diatribe e sui fallimenti interni.


 

Perché all’interno, lo abbiamo visto: c’è uno staff tecnico che si è trovato a gestire nell’anno del covid un gruppo di atleti nazionali per la maggior parte a fine carriera. Per molti di loro Tokyo 2020, se si fosse davvero svolta nel 2020, avrebbe rappresentato la tappa oltre la quale si sarebbe fatto spazio alle nuove generazioni. Nella spada, il fortunato esordio del francese Romain Cannone (24 anni), entrato come riserva per sostituire un caso di espulsione per doping e finito con la medaglia d’oro, ha decretato la vittoria di un nuovo stile, mobile e atletico, leggero e votato in prevalenza all’assenza del contatto di ferro, uno stile che in Italia ricorda quello della stella nascente Davide Di Veroli, un nome che il CT della spada Sandro Cuomo ha preferito conservare per Parigi 2024. Purtroppo senza un calendario agonistico internazionale che ne sancisse la legittimità è stato difficile operare sostituzioni e ricambi generazionali.


 

Per quanto riguarda il fioretto, non andrebbero dimenticate le tensioni tra Arianna Errigo e la Federazione Italiana Scherma, che per buona parte del periodo da Rio a Tokyo hanno visto la fiorettista impegnata a imporre invano il suo progetto della doppia arma con l’intenzione di partecipare alle Olimpiadi sia nelle gare di sciabola che in quelle di fioretto.


 

La geopolitica e il futuro


In realtà, guardando al di fuori delle dinamiche interne alla scherma italiana è possibile vedere già dagli anni Novanta una tendenza generale, globale, ad allontanare la scherma dall’eurocentrismo che l'aveva caratterizzata fino a quel momento. Negli ultimi 20 anni, in particolare, la scherma è diventato uno sport infinitamente più competitivo, soprattutto per l'ingresso delle aggressive squadre orientali, e non è una bestemmia dire che la medaglia di legno di Alice Volpi abbia un peso molto diverso da un quarto posto guadagnato per esempio ad Atene 2004.


 

Per andare a fondo della faccenda, ho chiesto un parere a Mattia Caniglia, Affiliate Lecturer presso la Scuola di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Glasgow, che mi ha illuminato su una serie di dettagli molto interessanti: «Il fatto che oggi noi viviamo in un mondo multipolare, rispetto agli anni Novanta, ha a maggior ragione un impatto sulla scherma, che in quanto sport è uno degli strumenti usati dalle potenze per esercitare una forma di soft power. Ai vertici del medagliere non troviamo più soltanto i paesi con tradizione storica come l’Italia, la Francia, la Russia e in generale paesi Europei e dell’Europa dell’est. E non ci sono più neanche soltanto le realtà emergenti dell’Asia come la Cina, Giappone e Corea del Sud, che ormai da due o tre Olimpiadi sono presenza fissa nel medagliere. Il movimento schermistico si è espanso e diversificato a livello globale e l’arena sportiva come quella geopolitica e oggi assai più competitiva di quanto non lo fosse 20 anni fa. Per averne la conferma basta confrontare il numero di nazionalità presenti nei sedicesimi di finale delle competizioni delle diverse armi: sono in aumento progressivo».


 

Al di là di questi ragionamenti, non possiamo negare quanto Tokyo abbia rappresentato un momento di sofferenza per le lame azzurre, che si trovano ora ad affrontare un delicato passaggio generazionale. A chi però ha saputo osservare attentamente oltre i dibattiti da salotto televisivo, oltre le promesse non mantenute dai campioni favoriti, oltre gli errori tecnici e le ambiguità arbitrali, ecco che questa Olimpiade ha anticipato qualcosa dello spettacolo che sarà Parigi 2024.


 

Una protagonista sarà certamente la spadista ventunenne Federica Isola, fondamentale presenza in squadra al fianco di Rossella Fiamingo e Mara Navarria per la conquista del bronzo, ma già brillante nella performance individuale. Con lei, Erika Cipressa (25 anni), fiorettista al debutto olimpico che si è distinta in squadra per un parziale di 5-1 nel match per il bronzo contro gli Stati Uniti. Nella squadra di sciabola femminile andrebbe poi ricordata Michela Battiston (23 anni), che abbiamo visto nel match contro la Francia mentre firmava uno sbalorditivo parziale di 18-5.


 

Infine, a chi ha saputo andare oltre, Tokyo 2020 ha mostrato il grande cuore degli sciabolatori italiani. Dalla prima medaglia d’argento di Luigi Samele all’ultima stoccata della carriera di Aldo Montano, entrato a sostituire proprio Samele infortunato per la finale contro l’Ungheria. Le lacrime di commozione di Montano davanti alle telecamere e l’abbraccio dei compagni di squadra hanno segnato l’addio alle pedane di un atleta che per risultati e carisma ha contribuito a ispirare molti dei giovani esordienti che arriveranno a Parigi. Se l’Italia della scherma sarà in grado di valorizzare la legacy di questi grandi campioni senza restarne schiacciata, tra quattro anni ci sarà un altro tipo di racconto.


 

 

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