Corpo e sangue d’America
Simone Biles a Rio prova a riscrivere la storia della ginnastica.
Questione razziale
Proprio l’affermazione planetaria di Simone è servita a scuotere uno sport tra i più conservatori del panorama olimpico, se è vero che ancora nel 2013 la nostra Carlotta Ferlito incappò in una gaffe su Facebook piuttosto infelice, che testimoniava di come le atlete di colore potessero essere percepite come la nuova moda esotica, capace di abbagliare le giurie: «Ho detto a Vanessa [Ferrari] che la prossima volta dovremmo dipingerci di nero così potremmo vincere anche noi».
Brutta caduta di Carlotta.
Un’uscita probabilmente dettata dal nervosismo della gara appena conclusa, ma purtroppo anche da un senso di impunità di fronte a certe idee. Purtroppo per la nostra atleta, che solitamente denota un certo talento per l’esposizione mediatica, quel giorno davanti a lei finirono anche cinque caucasiche, tre asiatiche e Kyla Ross che detiene discendenze afro-americane, giapponesi, filippine e portoricane. Uno spasso per gli amanti della sindrome da accerchiamento.
L’uscita di Carlotta non ebbe grande seguito sui media italiani, che si limitarono a dare la notizia, ma suscitò scandalo negli Stati Uniti. Dalla pagine ufficiale della Federazione italiana venne una scusa che è la solita toppa peggiore del buco: «Ferlito si riferiva alle nuove tendenza della ginnastica che favorisce tecniche basate sulla potenza, come quelle delle atlete nere, piuttosto che sull’eleganza tipica dell’Europa orientale». Di questa frase se ne è presa la colpa David Ciaralli, portavoce della Federazione.
Seguirono scuse su scuse, prese di distanza e mea culpa ufficiali e su Twitter da parte della Nazionale e della diretta interessata, ma ormai la frittata era fatta: la Federazione statunitense si riteneva offesa da questo comportamento. Nonno Ron Biles disse probabilmente la cosa più lucida: «Di solito non è un grande vantaggio nascere neri, non nel mondo in cui vivo io almeno».
Fa male vedere che a distanza di tre anni, facendo una semplice ricerca su Google ci si imbatta, quando va bene in asettici resoconti di quanto successo, e quando va male in paginate di scudi alzati a difesa della nostra atleta che un giorno disse al mondo che per vincere una medaglia d’oro bisognava essere neri.
Simone vinse con questi esercizi.
Eppure dietro a questa polemica c’è più di una dichiarazione ignorante e frustrata. Esiste una divisione storica tra scuole di pensiero della ginnastica. In Europa ci si continua a lamentare della ricerca dell’atletismo a scapito della fludità dei movimenti. Allo stesso tempo gli americani denunciano un certo passatismo delle giurie europee. In passato, soprattutto tra anni Settanta e Ottanta, fu lo stile sovietico a dominare le scene, con elementi di ballo e una tendenza a prendere rischi in favore dell’originalità. In seguito la scuola ha avuto la meglio grazie ad una solidità atletica maggiore e alla tendenza a massimizzare il punteggio grazie ad esercizi ripetuti allo sfinimento.
Lo stile di Simone Biles non contempla molto la danza classica e lascia poco spazio alla creatività, ma di certo nei suoi esercizi la propensione a prendere rischi c’è. Così come un grande lavoro sul sorriso, elemento imprescindibile nella disciplina. Allo stesso tempo però osservando lo stile alle parallele di Gabrielle Douglas si trovano molti punti in comune con lo stile inarrivabile di Nadia Comaneci. La verità è che pochi sport come la ginnastica hanno nascosto e mostrato al contempo le divisioni politiche del mondo: una volta si trattava della guerra fredda Usa-Urss, oggi è la caldissima questione razziale. Poi per chi vuole di più c’è lo stile sfoggiato da Sophina DeJesus di Ucla agli ultimi campionati universitari.
Gabby in volo su Londra 2012.
Prossima fermata
L’appuntamento è per tutti fissato per martedì 9 agosto (data non casuale negli Usa, visto che ricorrono i due anni dalla morte di Michael Brown) nella gigantesca Rio Olympic Arena, il tempio della ginnastica carioca dove, sotto gli occhi dei 12mila spettatori che può contenere, le Fierce Five cercheranno di rispettare il pronostico a senso unico e mettersi al collo la medaglia d’oro del concorso a squadre. Biles continua a ripetere di non sognare l’Olimpiade: «Tutti gli altri lo fanno per me». Ed è la verità perché è strafavorita alla trave, al corpo libero e nel concorso generale dove la difficoltà dei suoi movimenti è talmente elevata che il sito specializzato Gymternet ha calcolato che potrebbe cadere due volte e arrivare prima comunque. Il quinto oro personale lo potrebbe regalare il volteggio qualora dovesse riuscire a ripetere alla perfezione il suo Amanar geneticamente modificato.
In realtà il volteggio si potrebbe rivelare il più insidioso dei momenti di Simone a questa Olimpiade, rischiando di intaccare le certezze della giovane atleta. Quindi l’appuntamento del pomeriggio brasiliano di domenica 14 agosto potrebbe rivelarsi uno snodo fondamentale dell’intera carriera di Simone. Le difficoltà del volteggio stanno tutte nel fatto che non si tratta di un esercizio strutturato, ma di due momenti rapidissimi in cui ci si gioca la medaglia. Ci saranno atlete iscritte soltanto a questa specialità e le insidie per l’americana arriveranno soprattutto da russe e nordcoreane, che l’hanno già battuta ai Mondiali dello scorso anno.
La gara del volteggio vedrà al via la prima atleta indiana della storia della ginnastica ai giochi, Dipa Karmakar, che si è qualificata per Rio grazie ad un esercizio chiamato Produnova. Si tratta di un volteggio pensato alla fine degli anni Settanta che nessuna atleta è riuscita realizzare fino a quando nel 1998 la russa Yelena Produnova ci riuscì in una gara di Coppa Europa. Un salto difficile e molto rischioso, con un coefficiente superiore a quello di Biles e che coach Boorman ha etichettato così: «Se atterri troppo lontano ti rompi una gamba, se atterri troppo vicino, ti rompi il collo».
Dipa è sopravvissuta però.
La questione della mortalità nella ginnastica non è da sottovalutare e le stesse atlete considerano il volteggio Produnova come una vera e propria minaccia alla loro salute che non vale la pena di un po’ di gloria. Uno studio pubblicato nel 2015 riguardante gli sport più pericolosi per gli studenti universitari ha rivelato che i ginnasti sono più a rischio dei giocatori di football. Una delle vittime più illustri fu la russa Elena Mukhina, campionessa mondiale 1978 che a due settimane dai Giochi di Mosca perse l’uso di braccia e gambe dopo essersi rotto l’osso del collo nell’atterraggio dopo aver provato un salto Thomas al corpo libero.
Il movimento, che prende il nome dal ginnasta americano Kurt Thomas che lo inventò e lo mostrò al mondo in una pazzesca performance nel Campionato del mondo del 1978, è oggi vietato nel femminile e consentito ai soli maschi proprio in seguito all’incidente di Mukhina. La stessa Biles ha detto più volte che non si prenderebbe il rischio di un Prudova in una gara ufficiale. E questo non è collegato al semplice fatto che già in queste condizioni è la miglior atleta in circolazione, ma perché è una questione di “comfort” («It’s not about the destination, it’s about the journey. The skills she’s doing are the skills she most confortable with.» [parola di coach Aimee Boorman]).
Not her best one, but the only one I could find. NO, you will never see this in competition. This is from 2014. pic.twitter.com/LBBDEceeaX
— Aimee B (@Salto_Coach) 4 luglio 2016
Un piccolo saggio di cosa potrebbe fare Simone ma non vuole.
A proposito di skills e coach Boorman qualche tempo fa l’allenatrice di Simone ha twittato dei piccoli video tratti dalle sessioni di allenamento che valgono la pena di essere visti. Li trovate tutti qui.
La giovane Biles rappresenta l’orgoglio e la speranza di rivalsa di un popolo che fatica a sentirsi nazione con la razza bianca, perché mai come oggi gli afro-americani si sentono distanti dalla loro bandiera. E questo problema è sentito soprattutto dai teenager come Simone. Infatti nel 1966 il 33% di loro considerava la discriminazione razziale un problema. Cinquant’anni dopo la percentuale è salita al 91%. Questo in un paese in cui i neri rappresentano il 13% della popolazione totale eppure hanno sette volte più probabilità di finire in prigione di un bianco e costituiscono oltre un terzo dei circa 1,6 milioni di detenuti americani.
Tutto questo, oltre ai sogni e alla sacrosanta ambizione personale, poggerà sulle forti spalle di Simone Biles, corpo e sangue d’America.