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Calcio Tommaso Giagni 1 luglio 2019 6'

La lunga strada della Namibia

Una nazionale ed un allenatore con una storia incredibile.

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«Saremo i guastafeste». Ricardo Mannetti esibisce fiducia, quasi spavalderia, nell’avvicinamento alla coppa d’Africa. Conosce il ruolo dei ragazzi che ha chiamato per il prestigioso palcoscenico di Egitto 2019: assoluti outsider, per non dire sfavoriti. Un ruolo familiare («Siamo abituati») perché è quello di sempre, da che la Namibia è Stato. 

 

I Brave Warriors partecipano alla fase finale della Coppa per la terza volta. Non sono mai andati oltre il primo turno, non hanno mai vinto una partita del torneo. La dimensione continentale è già un traguardo, dato che non si sono mai qualificati alla coppa del Mondo. 

 

Il giocatore con più presenze nella storia della nazionale, Johannes “Congo” Hindjou, ha giocato solo nella Namibia Premier League. Anche oggi la maggior parte dei convocati per Egitto 2019 militano in club di Namibia e Sudafrica, con le eccezioni di Shilongo (in Egitto), Keimuine (in Etiopia), Shitembi (in Zambia) e Starke (nel Carl Zeiss Jena, 3. Liga tedesca). E soprattutto di Ryan Nyambe, giovane terzino titolare dei Blackburn Rovers, nella Championship inglese, che ha esordito in nazionale solo all’inizio di giugno ma in cui il Ct Mannetti riconosce un «giocatore di un altro livello» rispetto al resto della rosa.

 

Lo stesso Mannetti, da calciatore sognava di uscire dall’Africa, confrontarsi col campionato spagnolo o con quello italiano, ma ha finito per diventare una stella nel suo Paese e in Sudafrica.

 

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Mustapha Hadji estrae la Namibia ai sorteggi della fase finale della coppa d’Africa 2019. Hadji affrontò col suo Marocco i Brave Warriors nel girone di Ghana 2008 (Foto di KHALED DESOUKI/AFP/Getty Images)

 

Terra in larga parte desertica (Namib, Kalahari), affacciata sull’Atlantico, la Namibia ha soltanto due milioni di abitanti e dopo la Mongolia è il Paese con la minore densità di popolazione al mondo (2,5 per km²). È uno Stato indipendente dal 1990, nel quadro di un lungo processo di lotte che ha coinvolto l’intera Africa meridionale in rapporto al Sudafrica e alle potenze coloniali europee. Fino a quel punto, infatti, la Namibia era stata una provincia della Repubblica Sudafricana, dopo essere stata colonia tedesca (1884-1919) e inglese (1919-1961). Naturalmente, essere provincia del Sudafrica significava essere soggetta alla segregazione razziale dell’apartheid. 

 

Due giorni dopo aver ottenuto l’indipendenza, il 23 marzo 1990, la Namibia ospitò lo Zimbabwe per un’amichevole e perse 1-5. La prima vittoria della nazionale arrivò solo nel 1994 (un 1-0 contro il Botswana), quattro anni dopo la nascita dello Stato. Dopo altri quattro anni, la Namibia partecipò alla sua prima coppa d’Africa, in Burkina Faso. Il Ct era Rusten Mogane e nel centrocampo di quella storica selezione giocava Ricardo Giovanni Mannetti. 

 

Il percorso fu tutto sommato incoraggiante: una sconfitta di misura e rocambolesca con la Costa d’Avorio (3-4, dopo un parziale di 0-3 all’intervallo), un pareggio con l’Angola subìto all’ultimo, una larga sconfitta col forte Sudafrica proiettato ai mondiali in Francia. In quella prima, sorprendente gara con gli ivoriani, Ricardo Mannetti segnò il gol dell’illusorio 3-3. Comunque, in un girone complicato e alla prima apparizione, la Namibia dimostrò di potersi giocare le sue carte nella coppa continentale.

 

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Foto di PIUS UTOMI EKPEI/AFP/Getty Images

 

Ricardo, detto “Bucksy”, è nato il 24 aprile del 1975 ed è cresciuto nella malfamata zona di Bethlehem, nella capitale namibiana Windhoek. Le origini sono chiare e riconducono a un nonno italiano, che arrivò in Namibia come operaio per costruire la ferrovia, conobbe una donna e si fermò.

 

Bucksy scelse il calcio ma avrebbe potuto scegliere l’atletica, perché era uno specialista nei 100 e 200 metri. Scelse il calcio ed ebbe ragione: fu il più giovane convocato nella storia della nazionale maggiore, quando era quello che in afrikaans si dice un laaitie (un ragazzino). Esordì sedicenne, e a posteriori lo considererà il momento più bello della sua carriera. Il calcio entrò nella sua vita speronando il percorso di studi, che si concluse anzitempo. Mannetti avrebbe poi rivendicato la scelta, teorizzando che tutto sommato la formazione non è importante quanto si dice.

 

Numero 10 che portava classe in dote al centrocampo, ha indossato la maglia biancorossa dei Civics di Windhoek, prima di spostarsi in Sudafrica e legarsi ai Santos di Città del Capo (vincendo un campionato) e infine ritirarsi a soli trentun anni – presto come presto aveva iniziato.

 

La partita celebrativa per il suo addio al calcio giocato, nell’impianto di Windhoek che si chiama “Independence Stadium”, mise di fronte la nazionale della Namibia del 1998 e il Sudafrica campione africano del 1996.

 

Sposato, con tre figli, ha conosciuto la moglie Brumelda alla festa di compleanno della sua ex fidanzata. Per descrivere Ricardo, lei sceglie queste parole: «Un uomo di sostanza». Insieme hanno attraversato il dolore della perdita di un figlio, un mese dopo la nascita prematura, e Ricardo ancora anni dopo si allontanava non appena gli veniva chiesto di quel periodo.

 

Appena dismesso il ruolo di calciatore, nel 2007 si è seduto in panchina. Un inizio che ricalcava l’inizio della sua carriera da professionista, nel club namibiano dei Civics di Windhoek, la sua città. Presto sarebbe diventato selezionatore della nazionale, dapprima nelle giovanili e poi nella maggiore, di cui è CT e icona dal 2013. A ridosso del debutto si diceva nervoso, preoccupato dall’andirivieni di commissari tecnici che aveva visto nel tempo. Invece si è dimostrato all’altezza del compito, e l’unico momento di crisi è stato nell’estate 2015, quando per pochi mesi lasciò il posto per problemi con la federazione. A sostituirlo ad interim in quell’occasione fu Fillemon Kanalelo, detto The Magnet, il portiere della nazionale namibiana che con lui partecipò alla coppa d’Africa del 1998.

 

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Foto di FADEL SENNA/AFP/Getty Images

 

Il marcatore più prolifico nella breve storia della nazionale namibiana si chiama Rudolf Bester e si è ritirato due anni fa. Come Mannetti ha giocato in club namibiani e sudafricani, ma in più ha avuto un’esperienza fuori dal continente: un anno solare, il 2008, da titolare al Cukaricki di Belgrado, nella Superliga serba. Fosse arrivato un paio di stagioni prima, avrebbe condiviso lo spogliatoio con Aleksandar Kolarov. 

 

Nelle settimane che precedettero il suo arrivo in Europa, Bester partecipò alla seconda avventura della Namibia in coppa d’Africa, nell’inverno del 2008. I risultati confermarono l’impressione di un girone proibitivo: i Brave Warriors vennero strapazzati dal Marocco, battuti dai padroni di casa del Ghana, e uscirono con un solo punto ottenuto contro la Guinea.

 

Su quella partecipazione, già di per sé carica di peso emotivo, gravava la scomparsa piuttosto improvvisa del Ct della Namibia, Ben Bamfuchile, morto appena tre settimane prima dell’inizio della Coppa, a neanche cinquant’anni. Per sostituirlo venne chiamato in fretta l’olandese Arie Schans, che aveva allenato nelle serie minori olandesi, in Giappone e in Cina, e la cui unica esperienza da Ct era stata ad interim nel Bhutan.

 

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L’ex CT Arie Schans (Foto di  ABDELHAK SENNA/AFP/Getty Images).

 

La Namibia si è qualificata alla coppa d’Africa 2019 come seconda, per classifica avulsa, in un girone non certo irresistibile che comprendeva Guinea-Bissau, Zambia e Mozambico. L’accesso alla fase finale, ottenuto il 23 marzo, è passato per una gara di cui la Namibia era spettatrice interessatissima (il Mozambico doveva perdere a Bissau) e per un’altalena di risultati e reazioni: il Mozambico aveva trovato il gol-vittoria al minuto 89, prima che la Guinea trovasse il pareggio al 94°. La qualificazione dei Brave Warriors è dunque arrivata dai piedi del guineano Frédéric Mendy, trentenne nato a Parigi e tesserato del Vitória Setúbal, con trascorsi in Singapore, Corea del Sud e Thailandia.

 

Per comprendere quanto la qualificazione sia stata un’impresa da parte di Mannetti e dei suoi ragazzi, dobbiamo pensare che la Namibia Premier League, cioè il massimo campionato del Paese, è stata ferma per l’intero 2016/17. Una stagione saltata, a causa di mancati finanziamenti degli sponsor. E quei mesi coincidevano con la preparazione in vista delle qualificazioni alla Coppa. E circa la metà dei calciatori giocava in club namibiani. «Siamo sopravvissuti» ha commentato il Ct. Tra gli elementi del successo, Mannetti ha individuato il rispetto che i giocatori hanno per il suo passato da calciatore e il fatto che lui, avendo guidato le nazionali giovanili, conosca buona parte di loro da che erano ragazzini. Laaities.

 

Dai sorteggi per la fase finale, essendo in quarta fascia, la Namibia non poteva aspettarsi che un girone duro. E così è stato: Marocco, Sudafrica, Costa d’Avorio. Dunque realtà più strutturate, con più esperienza internazionale, ciascuna vincitrice di almeno un’edizione della Coppa. 

 

Si direbbe che nei prossimi giorni servirà la forza del collettivo, mancando individualità che possano caricarsi la squadra sulle spalle. Mannetti si mostra più che fiducioso: «Ci sono le condizioni perfette per gli underdogs. E dobbiamo sviluppare i denti, dimostrare che anche gli underdogs possono mordere».

 

 

Tags : Coppa d'Africanamibiaricardo mannetti

Tommaso Giagni è nato a Roma, nel 1985, e tifa per la Lazio. Ha pubblicato due romanzi per Einaudi Stile libero: "L'Estraneo" (2012) e "Prima di perderti" (2016).

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