Néptuno o Cibeles? Quale delle due piazze darà più lavoro ai netturbini madrileni la mattina del 26 maggio? Non c’è di mezzo la politica come fra Real Madrid e Barça o Real Madrid e Athletic, ma due modi diversi di vivere il calcio e la città di Madrid. Si potrebbe dire che mentre il Real Madrid aspira ad essere la squadra di tutti, l’Atlético gioca proprio sul fatto di essere la squadra di qualcuno in particolare: qualcuno che lo tifa perché il vizio si trasmette per via ereditaria (l’inno del centenario colchonero firmato Joaquín Sabina recita “para entender lo que pasa / hay que haber llorado dentro / del Calderón que es mi casa / o del Metropolítano / donde lloraba mi abuelo con mi…/con mi papá de la mano”, per capire il sentimento bisogna aver pianto nel Calderón così come tuo padre faceva, mano nella mano con tuo nonno, nel vecchio stadio Metropolítano) e perché se ti scegli l’Atlético è più probabile che tu sia un fanatico disposto ad andare in fondo al baratro, mentre è possibile che nella più estesa massa di tifosi madridisti si possa anche incontrare un numero maggiore di semplici e non così ardenti simpatizzanti. Simpatizzanti o comunque appassionati veri ma con un fondo di senso critico espresso persino con gli applausi all’avversario che gioca particolarmente bene (a volte anche quando veste blaugrana!).
Un club nato in un quartiere borghese (Chamartín) ma presto diventato di tutta la Spagna (o almeno della metà che non gli tifa contro) contro un club che seppure non strettamente “di quartiere” come il Rayo Vallecano tiene particolarmente al suo radicamento nell’area meridionale della capitale, soprattutto nel quartiere popolare (un tempo sede di un famigerato carcere) di Carabanchel.
Un’appassionata difesa del proprio territorio che si riflette anche sul campo: alla prima conferenza stampa da tecnico colchonero, nello scetticismo generale, Simeone si richiamò esplicitamente alla tradizione contropiedista del club, marchio di fabbrica già dai tempi del Luis Aragonés giocatore e poi allenatore.
E la finale di Champions League, condizionata dai tanti e pesantissimi assenti certi (Xabi Alonso, Pepe) e probabili (Benzema, Diego Costa, Arda Turan), non dovrebbe fare eccezione, per quanto lo spettacolare calcio di possesso esibito nel secondo tempo di Stamford Bridge rappresenti uno dei picchi qualitativi del calcio spagnolo degli ultimi dieci anni. L’Atlético è grande perché sa cosa fare in qualunque fase della gara (quindi anche attaccare una difesa schierata se necessario), ma la base competitiva di questa squadra resta la difesa. Quindi l’Atlético cederà il pallone al Real Madrid, ben contento. Il punto è dove lo vorrà recuperare.
Questione spinosa, visto che ad oggi qualsiasi soluzione presenta i suoi possibili svantaggi. Il principale punto debole dell’Atlético Madrid nelle gare contro le superpotenze del possesso-palla Barça e Real (eccetto le ultime gare col Barça post-infortunio di Valdés, sin troppo facile da pressare alto) è che per quanto comodo difensivamente, quando recupera palla spesso i metri da percorrere sono davvero troppi.
A parte gli spunti poderosi di Diego Costa, per tasso qualitativo medio, velocità di corsa e di esecuzione, quando tocca ribaltare l’azione per l’Atlético il campo diventa molto più lungo che per Real Madrid e Barça. Talvolta si ha una sensazione contraddittoria di totale controllo del match e al tempo stesso relativa difficoltà a creare occasioni. (Guardate ad esempio lo splendido gol di Villa al Barça nell’andata della Supercoppa di Spagna: quanto indietro ha dovuto appoggiare il Guaje, e quanta precisione e qualità tecnica ha richiesto ai giocatori dell’Atleti la dinamica dell’azione per arrivare fino all’area avversaria? Tanta, forse troppa per essere un’azione ripetibile con frequenza.)
Anche il precedente della vittoria al Bernabéu all’andata vale fino a un certo punto, sia perché in relazione alla lezione di calcio inflitta tanto il risultato finale quanto il computo delle occasioni fu abbastanza ridotto per l’Atlético (0-1 e non così tanti tiri in porta), sia perché quello era un Real Madrid ancora in costruzione che soprattutto a centrocampo concedeva parecchio quanto a possibilità di recupero e contropiede. È proprio ai precedenti dobbiamo ancorarci per provare a capire che tipo di partita sarà la finale della Champions League 2013-2014.
ATLÉTICO ATTENDISTA?
Il Real Madrid sconfitto nell’andata di Liga giocò con il suo ibrido fra 4-4-2 e 4-3-3 di inizio stagione, con Isco a sinistra responsabile del carattere ibrido e un pseudo-doble pivote formato da Illarramendi e Khedira, ottimo cursore che diventa una prova dell’esistenza di Satana quando chiamato a gestire il primo passaggio dei difensori e a tenere la posizione davanti alla difesa.
Il Real Madrid allargava i due mediani tantissimo per non far andare in inferiorità numerica le coppie formate da terzino+ala (Arbeloa-Di María; Coentrão-Isco/Ronaldo) contro il movimento a scalare lateralmente dell’Atlético. Idea non bizzarra, ma la mancanza di appoggi sia tra le linee che indietro per preparare rapidamente il cambio di gioco verso la fascia opposta non costringevano mai l’Atlético a correre verso la propria porta, e così l’undici di Simeone ebbe vita facile, acquattato nella propria metacampo con la precisa consegna per i due attaccanti di non pressare i difensori centrali del Real Madrid ma di rimanere dietro Illarramendi e Khedira, semplicemente preoccupandosi di non far filtrare passaggi da questi ai trequartisti per poi scaglionarsi una volta recuperata palla: Villa in appoggio ai centrocampisti, Diego Costa ad attaccare gli spazi lasciati dai terzini madridisti avanzatissimi e quindi tagliati fuori dalla transizione difensiva.
Opzione difensiva/1: blocco basso. I due attaccanti più indietro dei centrocampisti madridisti, a formare un doppio muro coi mediani che neghi ogni passaggio centrale ai trequartisti del Real Madrid.
Tutta l’"autostima tattica” accumulata dall’Atlético in questo trionfo venne però spazzata via nell’andata di Coppa del Re a gennaio, 3-0 per il Real e sensazione di non averci capito nulla per i colchoneros. Stessa ricetta dell’andata, 4-4-2 coi due attaccanti a preoccuparsi delle linee di passaggio dai mediani ai trequartisti madridisti, ma risultato opposto, perché quel Real Madrid ha finalmente trovato una formula e a centrocampo nell’occasione conta su tali Xabier Alonso Olano e Luka Modrić. È già il Madrid del 4-3-3 con Di María, e con l’argentino e Modrić a fornire l’appoggio largo super-sicuro a inizio azione (in aggiunta ai due difensori centrali), e Xabi Alonso in regia, l’Atlético non ce la fa a coprire in ampiezza sui frequenti cambi di gioco che trovano Ronaldo e Jesé (ma anche Di María largo) in posizione strategica bloccata sulla fascia per controllare, mandare fuori tempo l’"achique lateral” dell’Atlético e liberare spazi al centro. Il gol dell’1-0 di Pepe, per quanto favorito da una fortunosa deviazione, è una chiara conseguenza di questo vantaggio tattico.
ATLÉTICO IN PRESSING?
Per non sprofondare ancora una volta nella propria metacampo, nel successivo match di Liga al Vicente Calderón Simeone ricorre a qualcosa di insolito. Per ridurre i metri da percorrere, l’Atlético passa a un pressing aggressivo che “contamina” la sua tipica zona pura: il riferimento in fase difensiva non è più il compagno più vicino, ma il pallone e l’avversario in suo possesso. I giocatori colchoneros escono molto più del solito dalle rispettive linee, e con un agonismo impressionante. Stavolta uno dei due attaccanti pressa direttamente sui difensori centrali, mentre l’altro o lo accompagna contro i centrali madridisti, oppure vigila sulla linea di passaggio da questi a Xabi Alonso. Gli esterni Koke e Arda Turan invece si alzano tantissimo, andando a disturbare gli appoggi larghi di Modrić e Di María nel 4-3-3 di Ancelotti.
L’Atlético si prende anche un bel rischio, perché in teoria sono 4 contro i 5 delle prime due linee madridiste a inizio azione (tolti i terzini che vanno avanti a creare spazio, sono Pepe-Ramos; Modric, Xabi Alonso, Di María contro Diego Costa, Raúl García; Koke, Arda Turan), il che costringe a percorrere metri extra rispetto all’abituale controllatissimo meccanismo difensivo Koke e Arda ma anche Gabi e Tiago che devono far scattare la copertura alle spalle degli esterni altissimi. Il furore però compensa il rischio, e sebbene Ronaldo potenzialmente abbia rispetto a tutti i precedenti scontri diretti più spazi alle spalle del centrocampo colchonero, non riesce quasi mai a entrare in azione (il suo gol nel finale non sarà propiziato da questa situazione tattica): anzi, complice la confusione palla al piede di Di María e un Pepe mai completamente a suo agio a inizio azione, l’Atlético riesce a restringere il campo e a dominarlo soprattutto nella seconda metà del primo tempo.
Opzione difensiva/2: pressing alto. Stavolta gli attaccanti lavorano subito sulle prime linee di passaggio dai difensori ai centrocampisti avversari. Guardate però come il 4-4-2 solitamente cortissimo di Simeone si “stira” nel tentativo di aggredire. Correrà questo rischio in finale?
ATLÉTICO COL 4-5-1?
Un terzo precedente utile per valutare i possibili scenari di questa finale di Champions risale alla scorsa stagione, ed è la finale di Coppa di Spagna vinta (non troppo meritatamente) dall’Atlético. Va bene che era un Real Madrid ben diverso con Mourinho, ma il problema del campo troppo lungo per l’Atlético è rimasto lo stesso. In quell’occasione Simeone optò per un 4-5-1 con l’allora unica punta Falcao e Diego Costa, allora gregario del colombiano, da esterno destro. Il 4-5-1 ti assicura l’ampiezza difensiva, ma anche la possibilità di alternare al ripiegamento fasi mirate di pressing alto (una delle mezze ali, sapendosi protetta dalla copertura degli altri due centrali, può uscire di tanto in tanto a prendersi il portatore di palla avversario e dare il la a tutta la squadra per avanzare il baricentro), però è anche vero che ti incastra ancora più a fondo nella tua metacampo. Nel caso fosse della partita, viene da pensare a un Diego Costa sacrificato in questo modulo, anche da unica punta: nonostante la stazza Diego Costa non è un centravanti classico. Può giocare qualche pallone spalle alla porta, ma non è un lavoro che predilige particolarmente. Senza un compagno d’attacco su cui redistribuire le funzioni di appoggio, avrebbe forse meno possibilità di sfogarsi in profondità. Adattato sull’esterno poi (come avvenne nella Supercoppa di Spagna col Barça), è più probabile che venga risucchiato indietro più che tenere basso Coentrão o Carvajal. Meglio quindi due punte.
I DUBBI SUL CENTROCAMPO MADRIDISTA.
Altro punto a favore di un Atlético a 2 punte, e possibile fattore determinante di tutta la finale, è l’assenza di Xabi Alonso per squalifica. L’assenza di Xabi Alonso significa che il Real Madrid non potrà più contare sulla sua rete di sicurezza, su quella distribuzione dei giocatori (Modrić centro-destra, Xabi Alonso centro-sinistra: troppo distanti l’uno dall’altro per marcarli contemporaneamente e troppo più veloce dell’essere umano la palla quando passa dai loro piedi) che, nel suo undici migliore, rende quasi inattaccabile l’inizio della manovra, con metri guadagnati in avanti e quindi campo troppo lungo per l’Atlético.
Il sostituto di Xabi Alonso agita i sonni dei tifosi madridisti: Illarramendi, sottotono alla sua stagione d’esordio, è nel mirino della critica e talvolta in uno stato confusionale che ne contraddice proprio le migliori qualità: il senso del piazzamento e la precisione nel giocare la palla. Anche un buon Illarramendi resta un giocatore preciso ma non velocissimo nella trasmissione del pallone, il che dà maggiori margini di manovra all’Atlético sia nei movimenti ad accorciare lateralmente sia per ipotetici piani ad hoc contro Modrić.
Il centrocampo del Real Madrid non vive di certezze alla vigilia di questa finale, considerato che anche il terzo centrale non è certo. Il terzo oppure il quarto a sinistra in un 4-4-2, dipende dal disegno flessibile visto in questa stagione. Di María oppure quell’Isco che ha giocato sia la finale di Coppa del Re col Barça che le semifinali col Bayern?
Di María è per certi versi l’arma vincente e per altri il punto debole difensivo del Real Madrid. Squadre che riescono a tenere la palla qualche secondo in più sulla sua immediata, feroce pressione a palla persa ne smascherano l’assenza di basi tattiche nel ruolo di interno: Xavi e Messi, provocandone continuamente l’uscita dalla linea di centrocampo e prendendolo in continuazione alle spalle, furono la chiave tattica del 3-4 del Clásico al Bernabéu. La buona notizia è che poche squadre al mondo possiedono quei secondi in più col pallone, e l’Atlético dalla transizione offensiva lenta potrebbe non fare eccezione. Un Real Madrid che riuscisse a portare la gara sulla trequarti difensiva colchonera con la pressione di Di María potrebbe chiudere ogni spiffero.
Ma è anche vero che senza Xabi Alonso la base del centrocampo madridista potrebbe aver bisogno di quell’ausilio creativo che insieme a Modrić divida le attenzioni difensive dell’Atlético. È Isco in grado di fornire questo apporto? Non è certo. Ci sono momenti e partite (ad esempio l’eccellente primo tempo col Borussia Dortmund in casa) in cui il genio andaluso arricchisce la manovra fino a renderla illeggibile per gli avversari, ma ce ne sono altri in cui la sua presenza non è sufficiente né sulla trequarti né nel cerchio di centrocampo e finisce con l’allungare la squadra (per quanto da esterno in fase difensiva contro Bayern e Barça abbia mostrato una disciplina tattica superiore a quella di Di María). Considerando anche la limitata resistenza atletica di Isco, sembra più probabile pensare a Di María titolare e Isco magari a partita in corso. Amplierebbe le soluzioni a disposizione di Ancelotti: la fantasia di Isco può incidere di più con l’avversario stanco.
SENZA BENZEMA?
Ma le sciagure che affollano l’infermeria di entrambe le squadre possono ulteriormente rimescolare le carte. Un’assenza di Benzema nel Real Madrid potrebbe portare a un impiego contemporaneo di Di María e Isco (visto che è più difficile che esca un terzo centrale a centrocampo fra l’appena recuperato Khedira e il poco sperimentato Casemiro), che passerebbero rispettivamente a destra e sinistra in un 4-4-2. In questa situazione non ideale per gli equilibri abituali del Real Madrid, c’è anche una possibilità di sorpresa: più libertà e la possibilità di scegliersi di volta in volta la posizione migliore per Gareth Bale. Il gallese a destra ha un controllo di palla squisito come in ogni altra zona del campo, ma un primo movimento non rapidissimo che potrebbe dare tempo all’Atlético di scalare nella sua zona (nel match di Liga al Calderón Bale fu uno dei peggiori).
Una variante rispetto a una circolazione di palla dal centro verso gli esterni che con Illarra e Di María fra i tre centrali si preannuncia un po’ piatta e una possibilità di presentare a Simeone una sfida tattica inedita, con Bale e Ronaldo a incrociare e cercare di volta in volta la superiorità anche sugli esterni ma senza posizioni predefinite. Lo svantaggio di questa mossa è che oltre a dover scommettere sulla tenuta di Isco nei 90 (120?) minuti Di María a destra è più rapido di Bale ma rischia anche di perdere molti più palloni.
LA SICUREZZA PRIMA DI TUTTO.
D’altro canto nessuno ama correre rischi in una finale: anche un centrocampo del Real Madrid in edizione ridotta non sembra far pensare comunque a un Atlético sparato in avanti nel tentativo di pressing. La partita di campionato al Vicente Calderón vide un Atlético letteralmente spompato nell’ultima mezzora in cui il Real Madrid mandò in campo a briglia sciolta Isco e Marcelo, con la sensazione che se la gara fosse durata di più un’eventuale vittoria avrebbe potuto essere solo merengue. Inutile ricordare che in una finale si può andare ai supplementari.
È quindi più pensabile una finale logorante per chi la gioca e per chi la guarda, una guerra di posizione in cui il Real Madrid masticherà un po’ di più il pallone con Illarramendi, si tutelerà da eventuali capovolgimenti con le correzioni in corsa (e che corsa) di Di María mentre l’Atlético aspetterà senza fretta l’occasione giusta privilegiando le distanze corte fra reparti e giocatori. Probabilmente ancora una volta uno scenario difficile per le diagonali di Ronaldo, che contro l’Atlético fatica sempre a trovare spazio tra le linee, e che magari così come in Coppa del Re dovrà provare a squilibrare l’Atlético da una posizione più classica d’esterno. Occhio comunque al duello con Juanfran sui cross dal lato opposto: il terzino destro, energico nei tentativi di anticipo alto, è il vero punto debole difensivo dell’Atlético nelle diagonali.
QUALI ATTACCANTI PER SIMEONE?
Le possibili incertezze della circolazione di palla madridista danno più margini a Simeone per non appiattirsi sul 4-5-1 e affidarsi alle due punte. Una scelta che però in caso di assenza di Diego Costa assumerebbe un carattere alquanto problematico. Se già col brasiliano il campo per l’Atlético contro certe squadre può diventare troppo lungo, figuriamoci se a fare reparto da solo devi chiamare un Villa che non ha più la presenza durante tutti i 90 minuti, che ha spunti ormai molto corti. E Raúl García, per quanto utile scoperta da attaccante puro (non è più un incursore col vizio del gol, ma proprio uno che sgomita in area di rigore), resta una soluzione con parecchi limiti. Da attaccante aggiunge qualcosa solo quando gli avversari difendono la loro area e l’Atlético può aggiungere i suoi centimetri e giocare diretto, ma con l’Atlético che deve accettare una presumibile posizione di partenza nella sua metacampo, Raúl García non può essere cercato con palloni subito alti, e stando così le cose è il giocatore che più di tutti rallenta la possibile transizione offensiva, in un match probabilmente perso in anticipo sia contro Ramos che contro Varane (data la probabile assenza di Pepe).
Il Piano B più probabile è quindi (come confermano gli allenamenti settimanali) Adrián più Villa. Villa proverebbe a replicare il ruolo di raccordo col centrocampo ottimamente svolto al Bernabéu nel match di Liga (ma bisogna anche dire che quella prestazione in quel ruolo resta un po’ un’eccezione nella stagione del Guaje). Adrián dovrebbe forzare un po’ le sue caratteristiche (seconda punta portata ad appoggiare il portatore di palla) e dettare lui la profondità, visto che ha la corsa sulla lunga distanza che ormai manca a Villa.
L’IMPORTANZA DI ARDA.
Ipotizzando che Diego Costa non arrivi alla finale ma Arda Turan sì, più che affidarmi al tandem Villa-Adrián darei i pieni poteri al turco, da seconda punta/trequartista. Se non hai gambe per accorciare il campo, almeno devi poterti prendere il tempo necessario, e uno che è riuscito a farsi crescere quel popo’ di barba è il più indicato per permettere a tutta la sua squadra una uscita agevole dalla metacampo difensiva. Il pregio maggiore di Arda è proprio quello di non scomporsi mai: è la pausa dell’Atlético, talvolta però sacrificata da coperture laterali che in certe gare gli impediscono di porsi al centro della fase di rilancio.
L’idea sarebbe quindi lasciargli la massima libertà come appoggio sulla trequarti, pronto a defilarsi sul lato lasciato eventualmente scoperto dal Real Madrid disteso in fase di possesso, soprattutto verso il lato. Nelle gare di campionato in cui squadre piccole cedono il pallone all’Atlético, spesso i tagli centrali portano gli esterni di Simeone a incrociare verso la fascia opposta, e quindi a creare queste piccole superiorità coi palleggiatori, ma contro il Real Madrid non solo sarà difficile vedere fasi di attacco prolungate che consentano questi movimenti, ma Simeone non avrà nessuna intenzione di scoprirsi sugli esterni in transizione.
Arda accentrato in realtà si era già visto al Camp Nou nel ritorno di Supercoppa, senza esiti sconvolgenti a dire il vero, ma potrebbe essere l’arma ideale per far prolungare le fasi difensive di Di María ed evidenziarne i limiti. E se il Fideo si trovasse a giocare a destra per l’assenza di Benzema, a maggior ragione un eventuale triangolo di palleggiatori colchoneros in quella zona non la metterebbe sul piano della pura corsa, facendo risaltare le carenti letture difensive di Di María.
In questo caso, sulla fascia destra dell’Atlético il lavoro sporco difensivo toccherebbe a Raúl García, o magari a José Sosa, variante di maggior profondità offensiva, lasciando Raúl García come possibile cambio nel caso tocchi rimontare e buttare palloni in area (lì sì che Varane, ennesimo talento difensivo senza il dono della marcatura pura e semplice, può soffrire assai). In caso di assenza di Arda Turan, per caratteristiche il surrogato tecnicamente e tatticamente più credibile sarebbe Diego: va registrato però un rendimento un po’ sottotono del brasiliano in questi mesi, mai faro della manovra dal suo ritorno al Vicente Calderón.
Più che una chiave tattica Diego potrebbe essere il sostituto giusto per l’episodio giusto, così come Isco dall’altra parte, e ovviamente come può esserlo Ronaldo dall’inizio, o qualcuno sui calci piazzati (Atlético favorito per gli schemi, Real Madrid favorito per battitori direttamente verso la porta), in una partita che si prevede bloccatissima e forse anche non di eccelsa qualità, posto che entrambe le squadre vi arriveranno ben lontani dalle proprie migliori possibilità.
L'autore ringrazia Mario Juan Benavente per la collaborazione.