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Conoscere il nemico
19 ago 2015
19 ago 2015
In una partita di alta intensità tra due squadre a specchio, la Lazio è riuscita a domare l'aggressività del Leverkusen e ad accumulare un certo vantaggio in vista del ritorno.
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«Conosci il nemico come conosci te stesso. Anche in mezzo a cento battaglie non ti troverai mai in pericolo». Dev’essersi rifatto a L’arte della guerra di Sun Tzu, Stefano Pioli, perché ha dimostrato di conoscere le armi principali a disposizione di Roger Schmidt. Anzi, le ha addirittura fatte sue e le ha utilizzate contro il nemico per aggiudicarsi il primo round del playoff qualificazione.

In pratica la Lazio ha aggredito il Bayer prima di essere aggredita. Che la filosofia di gioco delle due squadre avesse dei punti di contatto era lapalissiano. Che i biancocelesti potessero mutuare certi atteggiamenti dagli avversari, era meno scontato. Nei primi minuti il gioco è sembrato spezzettato, confusionario, perché entrambe le squadre avevano molti uomini nella zona della palla. Ed entrambe hanno preso meno rischi nella costruzione bassa, utilizzando il rilancio lungo e cercando poi di sovraccaricare la zona del punto di caduta del pallone.

Insomma, in alcuni fondamentali le squadre si sono specchiate; in altre situazioni di gioco, invece, hanno mantenuto le loro caratteristiche. Un esempio degno di nota è il meccanismo di attuazione del pressing.

Gli inneschi

Come si fa a capire se il pressing di una squadra è più o meno organizzato? Al di là del numero di uomini che vi partecipano e dei movimenti che questi eseguono (il come), è importante riconoscere il momento esatto in cui cominciano ad attuare il pressing (il quando): questi momenti codificati prendono il nome di triggers o inneschi.

L’innesco del pressing può essere di varia natura: può dipendere dalla postura del corpo di chi riceve palla, tipicamente si pressa il portatore quando è spalle alla porta; oppure può dipendere dalle zone di campo in cui si riceve il pallone, ad esempio sulla linea del fallo laterale, come ha insegnato a fare l’Atlético di Simeone. Nel caso del Bayer di Schmidt (e, prima ancora, del Red Bull Salzburg di Schmidt), il meccanismo è alquanto sofisticato, perché ha due triggers in cascata.

La fase uno è scatenata da un passaggio in orizzontale, tra i due centrali o tra il portiere e un centrale. Quando la palla è “in viaggio” non è nella disponibilità di alcun giocatore, nessuno può spazzarla via. Inoltre chi riceve ha gli occhi sulla sfera, in modo particolare i difensori centrali, che hanno solitamente una tecnica di base inferiore alla media.

Nel momento in cui parte il passaggio, trequartista e punta centrale si dividono i compiti: uno arretra verso il centrocampo, l’altro avanza verso chi sta per ricevere. Quest’ultimo viene messo sotto pressione e le sue opzioni vengono ristrette; di solito, gli viene concesso il passaggio verso il terzino. Ed è questo il momento che innesca la fase due.

L’esterno offensivo attacca il terzino ricevente, mentre chi pressava il centrale va a chiudere la linea di passaggio all’indietro. Il giocatore che nel precedente movimento era arretrato, va ora a coprire lo scarico verso il centrocampista. Il passaggio lungo la linea è coperto dal terzino che sale altissimo in marcatura sull’ala avversaria. A questo punto al giocatore che ha la palla non resta da fare altro che buttarla via.

Nel caso della Lazio, più che di pressing si può parlare di occupazione degli spazi: i tre trequartisti chiudevano gli spazi centralmente, per impedire a chi impostava di tentare la verticalizzazione sulle punte; ma in sostanza restavano fermi dietro ai due mediani avversari, lasciando al solo Klose il compito di rincorrere il pallone gestito dai due centrali e dal portiere. I quali non vedevano l’ora di lanciare lungo per avviare la tipica azione di stampo rugbistico della loro squadra.

Pioli comunque conosceva il meccanismo di pressing degli avversari e ha studiato una contromossa: de Vrij ha provato spesso il lancio in diagonale sul terzino a lui opposto, Senad Lulic. Quando il lancio è stato eseguito correttamente, Lulic ha potuto attaccare il terzino avversario, coadiuvato da Candreva.

In altre occasioni, de Vrij ha comunque servito Basta, che ha cercato il lancio verso la testa di Klose, quasi sempre sovrastato dai centrali del Bayer. La posizione larga e bassa delle ali biancocelesti (quello della Lazio è stato più un 4-1-4-1 che un 4-3-3) portava i terzini avversari lontano dalla linea di difesa, lasciando i due difensori centrali in pericolo. Se, sulla respinta della difesa, la seconda palla veniva conquistata dai laziali, Klose faceva il movimento incontro. L’attaccante tedesco costringeva Tah e Papadopoulos a prendere una decisione (seguire o lasciar ricevere).

Almeno nel primo tempo, le letture dei due giovani difensori sono state corrette; anche perché c’erano le coperture dei due mediani davanti alla difesa, impensieriti solo dal movimento in avanti di Parolo e mai da Onazi, troppo conservativo (e sostituito presto nel secondo tempo).

L’unica occasione nella quale Felipe Anderson ha potuto stringere la propria posizione per ricevere tra le linee è avvenuta quando Kiessling era fuori dal campo per farsi medicare e, mancando di un tassello, il domino del pressing non è partito. Basta ha potuto risalire la fascia, costringendo Wendell a lasciare andare il suo uomo.

Intensità e densità

La sensazione di confusione in alcune fasi del gioco è stata acuita dall’intensità dell’azione delle due squadre, che è stata molto alta fino al settantesimo. Nel punto di massima intensità della partita, intorno al venticinquesimo, Lazio e Leverkusen hanno colto un palo per parte con due azioni back to back: si è andati da un’area all’altra in pochi secondi, come nel basket.

In tutte le circostanze, dai rilanci del portiere ai falli laterali nella metà campo offensiva, il Bayer ha provato a schiacciarsi nella zona della palla. I tedeschi tentavano così di facilitare le combinazioni rapide palla a terra tra i tre uomini più dotati tecnicamente, ovvero i trequartisti alle spalle della prima punta. Quest’ultimo, Kiessling, veniva fuori a giocare da pivot offensivo e ha vinto quasi tutti i duelli aerei con i due centrali laziali: sulle sue spizzate si avventavano Son, Bellarabi e Çalhanoglu.

Il 4-2-3-1 del Bayer Leverkusen e il 4-1-4-1 della Lazio hanno formato degli accoppiamenti naturali in mezzo al campo—i sei dei due triangoli centrali di centrocampo e le quattro coppie terzino-ala—che hanno finito per incrementare ulteriormente la densità nella zona della palla. La Lazio non è riuscita a riciclare il pallone velocemente per poi giocarlo sul lato debole di un avversario così stretto. Lo ha fatto di rado e sempre sul lato di Lulic, per la facilità di calcio col destro e in diagonale di de Vrij e Biglia. Forse l’inserimento dall’inizio di un mancino come Gentiletti avrebbe fornito una variante di gioco in più.

Çalhanoglu che cita sé stesso.

Cambi all’intervallo

Un infortunio ha tolto Klose dalla partita, in favore di Keita. Molto più lineare il cambio di Schmidt, che ha estromesso uno spento Son per inserire Mehmedi. Tolta l’occasione per parte che le squadre hanno avuto nei primi due minuti della ripresa, la Lazio è apparsa subito in difficoltà. Senza Klose, i biancocelesti non avevano più il proprio riferimento: pur schierato in posizione da numero nove, Keita ha cercato movimenti da ala, partendo largo per puntare la difesa e dettando il passaggio in profondità. Non ha mai offerto appoggio per la manovra o protezione della palla per dare tempo alla sua squadra di salire.

A un certo punto, Candreva è stato costretto ad accentrarsi per provare a giocare da falso nove. La Lazio ha finito per farsi schiacciare e il risultato del forcing dei tedeschi è stato il gol di Çalhanoglu al settantesimo, annullato dall’arbitro per la posizione di fuorigioco di Kiessling, sulla traiettoria della palla (che pure tocca).

Un po’ di stanchezza deve averla accusata anche il Bayer, che ha concesso delle occasioni in contropiede a sua volta. Però si aveva la netta sensazione, intorno al settantesimo, che la Lazio fosse alle corde e che non avrebbe resistito per altri venti minuti.

Con l’unico movimento da centravanti della sua partita, Keita ha fatto saltare il banco: lo spagnolo è venuto incontro, portando Papadopoulos fuori dalla sua posizione al centro della difesa; ha sfruttato un’incertezza del greco, riuscendo a rubargli palla, e ha puntato l’altro centrale Tah prima che i terzini riuscissero a stringere al centro. Ha tenuto il confronto fisico col gigantesco diciannovenne tedesco e ha saputo piazzare la palla sul palo lungo con precisione.

I vantaggi accumulati

Nella partita di ieri, la Lazio ha accumulato diversi vantaggi in vista del ritorno. Uno è quello aritmetico, il più ovvio, per il gol segnato da Keita. In più, Pioli e i suoi uomini hanno anche maturato la consapevolezza di poter giocare alla pari contro questo Leverkusen. I tedeschi sono forse in grado di giocare solo in questo modo, non hanno altre armi che quelle già note ai biancocelesti. Pur risultando pericolosi, la prevedibilità è un altro vantaggio.

Le uniche perplessità riguardano il recupero degli infortunati e la gestione delle energie: settanta minuti, di buon livello agonistico, alla BayArena potrebbero non bastare. Per non parlare di una prima di campionato da onorare, giusto nel mezzo. La Lazio ha i mezzi per superare indenne anche la sfida di ritorno: ma in casa del Leverkusen, se possibile, il ritmo di gioco sarà ancora più elevato.

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