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Francesco Lisanti
Commedia dell'arte
03 mar 2016
03 mar 2016
L'Inter è stata eliminata dopo una vittoria per 3 a 0 contro la peggiore Juve della stagione. C'è qualcosa di più "pazzo"?
(di)
Francesco Lisanti
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Prima che iniziasse Inter-Juventus (che mi ero persino promesso di non guardare), stavo pensando ad altre partite. Decisamente non a quella contro il Palermo – come

– dato che il Grande Registro della Rassegnazione (ovvero la chat su whatsapp tra me e mio padre) nell’ultimo mese ha registrato un picco di «stagione finita, peccato», «sì, adesso è finita davvero», «ok, è finita».

 

Pensavo agli Inter-Juventus negli anni in cui l’Inter era una squadra più forte della Juventus. Non sono stato in grado di ricordare una partita che sia finita come la partita di domenica, o come la semifinale di andata, o come l’anno prima, o come l’anno prima ancora. Non sono stato in grado di ricordare una volta che la mediana della Juventus, per quanto ridicola fosse, sembrasse ridicola come Taider e Kuzmanovic il giorno che toccò a Rolando

.

 

Anche la Juventus peggiore, quella dei due settimi posti consecutivi, è riuscita a vincere due volte contro l’Inter. Negli ultimi quattro anni l’Inter ci è riuscita una volta sola e il suo allenatore è corso verso il settore ospiti per urlare «è vostro! è vostro!», nell’euforia generale presto convertitasi in imbarazzo.

 

In un’idea di calcio che si allontana diametralmente dalla retorica dello “sputare sangue”, il trauma non è vedere una squadra dalle qualità mediocri e completamente disorganizzata venire schiantata da una squadra dalle ottime qualità e una grande organizzazione, come è successo domenica. Il trauma è ricordarsi Ciro Ferrara che batte Josè Mourinho (è successo nel nostro universo, è

) e non riuscire a darsi una spiegazione.

 

Ci sarebbe la spiegazione di ripiego, quella sempre valida, quella per cui comunque vada la Juventus è spietata e vincente e l’Inter al più può considerarsi “pazza”, ma quest’operazione comporta il riconoscimento di una sorta di genetica societaria e lo sfregio della memoria di Gregor Mendel. Eppure non c’è nulla di più “pazzo” di una vittoria per 3-0 con annessa eliminazione, e nulla di più spietato e vincente di una sconfitta per 0-3 con annessa qualificazione. Ci meritiamo davvero questa narrativa da commedia dell’arte?

 



Le probabilità che questa semifinale di ritorno potesse rivelarsi una partita anche solo vagamente interessante erano prossime allo zero. Negli ultimi due anni e mezzo la Juventus aveva perso 16 partite, includendo tutte le competizioni, 13 delle quali per una sola rete di scarto. Soltanto in due occasioni aveva subito almeno 3 gol (negli ultimi due anni e mezzo!), nel 4-2 contro la Fiorentina e nella finale di Champions League.

 

L’Inter stava viaggiando con una certa regolarità su una media punti da retrocessione, 12 punti nelle ultime 11 partite, e i due ultimi confronti contro la Juventus (2-0, 3-0) non lasciavano intravedere nulla di diverso. Del resto, per trovare l’ultima vittoria con tre gol di scarto della Juve sull’Inter era sufficiente andare indietro di qualche settimana, per trovare l’ultima dell’Inter sulla Juve bisognava accontentarsi

, anche allora Coppa Italia.

 

In tutto questo, le assenze per squalifica di Miranda e Murillo disegnavano una linea di difesa con la coppia di centrali Juan Jesus e D’Ambrosio, reduce dall’assist a Bonucci, davanti a Carrizo. Quella che sembrava una nota comica prima della tragedia, come l’orchestra che non smette di suonare di fronte all’iceberg in Titanic, si è poi rivelata una fortunata coincidenza. L’undici titolare si completava con Nagatomo a sinistra, Santon a destra, il trio Medel – Brozovic – Kondogbia a centrocampo, Perisic, Ljajic ed Éder a comporre il trio offensivo, senza posizioni fisse.

 


Se avete letto di un’Inter “ben messa in campo”, non esattamente. Questa la disposizione in fase di possesso: chi ha bisogno del centrocampo?


 

Allegri invece ha riproposto il 4-4-2 cui saltuariamente ricorre, come ad esempio nella gara di andata di campionato, proprio al Meazza. In porta Neto, in difesa Lichtsteiner, Bonucci, Rugani e Alex Sandro. A centrocampo Cuadrado, Sturaro, Hernanes e Asamoah, in attacco Zaza e Morata.

 



In virtù della coincidenza di calendario che aveva già contrapposto Juve e Inter domenica, probabilmente Allegri non aveva preparato la partita con la solita attenzione. Probabilmente non l’aveva fatto neppure Mancini, che già normalmente non brilla nella preparazione della strategia (qualche indizio, senza scendere nei dettagli: nei primi dieci minuti contro la Sampdoria, Brozovic si fa saltare due volte sul lato sinistro da Ricky Álvarez – evidentemente non sapeva chi fosse).



 

Dopo soli cinque minuti Ljajic fa già un po’ quello che gli pare, ma nessuno riesce a tenerlo.


 

L’impressione che la Juve sia arrivata impreparata si è avuta immediatamente. I bianconeri si sono limitati a disporre le linee basse, senza una vera strategia per recuperare la palla, fase del gioco in cui la squadra di Allegri eccelle, né per provare almeno a orientare il possesso dell’Inter, che in ogni caso tende naturalmente a divergere sulle fasce. In un indecifrabile stato d’animo tra il pigro e l’impaurito, la Juve non è neanche riuscita a mantenere le distanze compatte tra i reparti, vanificando di fatto la strategia difensiva a protezione della propria area. Praticamente la Juve era l’Inter.

 


Lo scambio volante tacco – testa – controllo orientato tra Ljajic ed Éder è un momento di rara bellezza nella stagione dell’Inter, ma è ben più raro che la difesa della Juve accorci così in ritardo.


 

In tutto questo l’Inter ha giocato come sempre. I centrocampisti non sapevano esattamente come muoversi, Medel, libero da marcature, aveva il compito di aprire il gioco appena possibile, Brozovic e Kondogbia di provare a dettare linee di passaggio, ma spesso finivano per occupare la stessa zona. Ljajic, tecnicamente ala, faceva densità centrale, o più propriamente correva verso il pallone quando non vedeva ulteriori possibilità di sviluppo della manovra.

 



 

Medel nelle vesti di regista, ieri che gli riusciva un po’ tutto. Nel frattempo Brozovic e Kondogbia hanno tantissimo spazio ma si pestano i piedi, e il croato addirittura torna indietro verso Zaza.


 



L’Inter può essere una squadra divertente. Alla sua maniera, certo, ma quantomeno la partita di ieri servirà a smentire la rassegnata convinzione (sempre presente nelle conversazioni tra me e mio padre) che la rosa, semplicemente, sia scarsa. Éder oltre al tacco per Ljajic e all’assist per Perisic ha regalato una serie di giocate strappa-applausi, prima di uscire per un sospetto stiramento.

 



 

Uno di quei momenti in cui Éder vede cose che non ci sono.


 

Lo score di Perisic parla da sé: 5 dribbling tentati, 5 riusciti. Ogni volta che il croato parte da sinistra con la palla sul destro ha sempre almeno due opzioni che esegue con impressionante efficacia. Brozovic capisce pochissimo di difesa nello spazio ma ha la personalità per chiedere sempre la palla sui piedi nelle difficoltà e segnare un rigore importantissimo a pochi minuti dalla fine.

 

Persino D’Ambrosio e Juan Jesus hanno giocato con ammirevole sicurezza. In fase difensiva si sono concessi qualche comprensibile indecisione ma finalmente hanno mantenuto la linea alta, in fase offensiva hanno gestito per tantissimo tempo il pallone tra i piedi (95 tocchi Juan Jesus, 102 D’Ambrosio) sbagliando pochissimo.



 

D’Ambrosio ferma con naturalezza Morata, poi ruota su se stesso e serve il terzino. Nessun disordine da stress post-traumatico, a quanto pare.


 



È Medel che fa “gegenpressing” come secondo nome. La partita del Pitbull è stata di un’intensità senza senso, e in generale tutta l’Inter ha corso senza sosta e a ritmi altissimi. L’Inter ha mostrato una facilità di recupero palla che non si vedeva da settembre, ed è stato sufficiente stordire la Juve con corse sfrenate in ogni zona del campo, di chiunque vi si trovasse.

 



 

Sturaro non ha il tempo di pensare «ma che ci fa qui Medel?» che il cileno gli passa sopra, poi Rugani affretta la giocata e Zaza è in fuorigioco.


 

È impietosa l’azione del primo gol dell’Inter. Medel travolge Hernanes e lo lascia a due metri dalla posizione originale, un contrasto che sembra uscire da quei videogame da sala giochi col motore grafico scadente. Poi serve Brozovic, la Juve è sorpresa e il croato segna. Sia la strategia di impostazione della Juventus che quella di recupero dell’Inter appaiono perfettibili, Sturaro ad esempio è fuori inquadratura, completamente staccato da Hernanes, che pure avrebbe la linea di passaggio per Alex Sandro completamente libera. Perché poi si stacca Medel, e non Kondogbia che dovrebbe invece occupare proprio quella zona?

 



 

Facile, perché Medel passa sopra le persone.


 

Dal primo al novantesimo minuto la Juventus ha avuto difficoltà a gestire il pallone, riuscendoci solo dopo il calo fisico e mentale dell’Inter. Per la squadra di Allegri solo il 40,8% di possesso palla, con il 75% di precisione passaggi. Come già accaduto in qualche saltuaria occasione, ad esempio il primo tempo contro il Sassuolo o il secondo tempo contro l’Hellas, l’Inter ci ha regalato l’ebbrezza della Premier League: duelli scriteriati a tutto campo e avversari schiacciati per intensità. I numeri sono enormi, anche al netto dei 120 minuti giocati: 60 contrasti tentati, 41 vinti, 29 intercetti, 20 tiri di cui 6 in porta.

 



 

Gli attaccanti arrivano da ogni lato, la Juve non sa realmente cosa fare (e Ljajic ruberà palla a Bonucci passandogli alle spalle).


 

È vero che l’Inter avrebbe potuto anche segnare il quarto gol, se non il quinto (la parata di Neto su Perisićc quasi allo scadere è notevole), ma altrettanto avrebbe potuto fare la Juventus. Il palo di Zaza, la conclusione alta dello stesso Zaza completamente solo, la demi-volée di Pogba, la doppia occasione di Morata al centoventunesimo. Mettiamoci una mano sulla coscienza e chiediamoci se vogliamo davvero un calcio in cui gli allenatori preparano le partite, se preferiremmo comunque la telecronaca della Rai ai contratti miliardari della Premier League.

 



 

A tratti l’Inter è parsa così in fiducia che si sono viste cose del genere, una conclusione da centrocampo di Nagatomo che smorza tutta l’adrenalina del momento.


 



Per quanto l’ottimismo non si abbini all’interismo, è vero che l’Inter ha tirato fuori la miglior prestazione stagionale quando sembrava impossibile, dopo un ciclo di partite umilianti che proseguiva da due mesi. C’è un simpatico precedente: in un periodo difficile, dopo una sconfitta casalinga contro il Bologna, l’Inter di Stramaccioni ribaltò un 3-0 in Europa League contro il Tottenham, poi fu eliminato ai supplementari. La gara immediatamente successiva fu rinviata per pioggia e alla ripresa del campionato l’Inter perse nuovamente con la Juventus.

 

Lo scarto qualitativo tra questa Inter e quella Inter è enorme, ma il precedente aiuta a riconoscere che non necessariamente in questa prestazione bisogna individuare un segnale di ripresa. Sicuramente una nota lieta, sicuramente un’anomalia statistica (da oggi c’è un dato in cui Inter e Barcellona sono separate da una virgola, da non crederci), ma potrebbe rivelarsi un episodio per nulla indicativo.

 

Probabilmente è inutile considerare quest’ipotesi, dacché l’Inter è pazza, la Juve no, e bisogna attenersi ai ruoli, ma sarebbe rimasto un episodio anche se Palacio avesse segnato il rigore, o se Carrizo avesse almeno provato a tuffarsi con un tempismo accettabile. Il punto è che alla fine ha vinto la Juve, e io e mio padre non sapevamo cosa dirci.

 

 

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