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Foto di Clive Rose / Getty
Sport Mauro Mondello 10 marzo 2017 6'

Come sta l’Italia del rugby

La grande prestazione contro l’Inghilterra è stato un caso isolato?

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Se il Sei Nazioni dell’Italia fosse finito dopo le prime due partite, staremmo oggi parlando della partecipazione più disastrosa di sempre. Al di là delle due sconfitte patite all’Olimpico contro Galles e Irlanda (100 punti e 12 mete subite), a impressionare negativamente sono state, in entrambi i casi, le riflessioni sui due punti che più di tutto il resto hanno sottolineato l’impreparazione della squadra allenata da Conor O’Shea: la mancanza di un piano di costruzione del gioco offensivo e il radicale peggioramento delle statistiche legate al numero dei placcaggi riusciti. La strada verso il mitico Twickenham di Londra, per affrontare fuori casa l’Inghilterra rimessa in piedi dal santone Eddie Jones dopo la batosta di due anni fa al mondiale, sembrava segnata. E invece, contro uno dei XV più forti del pianeta, una squadra imbattuta da 17 partite e che viaggia verso il secondo Grande Slam consecutivo nel torneo rugbistico più antico del mondo, l’Italia è risorta. Proprio mentre i commentatori britannici riflettevano, durante la diretta della BBC, sulle capacità italiane di sostenere gli obiettivi tecnici del Sei Nazioni, chiedendo di obbligare l’Italia a un playoff contro le emergenti Romania e Georgia, Parisse e compagni davano agli inglesi una lezione tattica di rugby che in poche ore avrebbe fatto il giro del mondo. È così che gli Azzurri, cui tutti, noi per primi, avevamo già scavato la fossa, si sono rimessi in piedi. Per l’ennesima volta.

 

L’Italia non entra in ruck, evitando così di creare la linea del fuorigioco e potendo occupare liberamente il campo: gli inglesi vanno in confusione.

 
I numeri

 

L’Italia ha subito nelle prime tre partite del Sei Nazioni 2017 la bellezza di 132 punti, più del doppio rispetto a Francia, Galles e Scozia e addirittura più del triplo di Inghilterra e Irlanda. Di tutte le partite sin qui disputate, soltanto quattro hanno registrato uno scarto di punteggio superiore ai 10 punti.

 

Tre sono state giocate dall’Italia, mentre la quarta è il 29 a 13 con cui la Scozia, in una partita molto più equilibrata di quanto non dica il risultato, ha regolato il Galles. Infine, oltre il 70% dei punti e 10 delle 18 mete subite dall’Italia sono arrivate durante l’ultimo quarto d’ora di gioco.

 

Questi dati spiegano in maniera molto netta come il problema più grande dell’Italia al momento sia quello di riuscire a competere per 80 minuti ad alti livelli, come peraltro ripetuto più volte da Conor O’Shea e dal suo tattico, il sudafricano Brendan Venter. Nonostante i limiti tecnici evidenziati nelle prime tre partite del torneo siano ancora importanti, a fare davvero la differenza è stata infatti l’incapacità azzurra di sostenere l’impatto atletico degli scontri appena superata l’ora di gioco. Sia nella gara d’esordio contro il Galles, che nella sfida con Inghilterra, l’Italia è andata al riposo in vantaggio, ma non è riuscita a mantenere la lucidità necessaria per gestire il gioco nelle fasi a terra e mantenere alta la pressione: 85 placcaggi sbagliati in tre partite sono un’infinità per qualsiasi squadra con ambizioni di alto livello.

 

 

La mischia

 

L’involuzione difensiva italiana è dovuta a diversi fattori. Innanzitutto la mischia, ben lontana dall’essere quella macchina perfetta che per anni ha trascinato tutto il gioco azzurro, non riesce a produrre impatto difensivo. Sei rimesse laterali e due mischie a favore perse (record negativo del torneo) spiegano in parte le difficoltà che i nostri avanti stanno incontrando per vincere la battaglia, mentale e fisica, sul campo contro i loro avversari.

 

L’Italia ha una delle rimesse laterali peggiori del rugby di elite, soffre in mischia chiusa e non è in grado di portare break difensivi vincenti nelle fasi di ruck. Gli otto uomini guidati da Sergio Parisse non hanno sin qui demeritato, ma nemmeno hanno mai dato l’impressione di poter dominare la battaglia di trincea. Una squadra come quella italiana, che ha enormi difficoltà nella costruzione del gioco e fatica a trovare una linea mediana in grado di accelerare i tempi e dare ritmo all’ovale, avrebbe bisogno di un pacchetto dinamico e dall’approccio più dominante. Probabilmente paghiamo il cambio in prima linea, con un Cittadini generoso, ma in confusione quando il gioco si muove fuori dai blocchi statici ed evidenti limiti difensivi, e un Lovotti ancora poco coinvolto nei momenti importanti della partita.

 

Un cambio di direzione radicale, dopo anni a passati a prendere a testate i dirimpettai con Castrogiovanni, Lo Cicero, Perugini, Ongaro, Festuccia, Aguero. Anche in terza linea, nonostante Parisse sia stato ancora una volta uno dei migliori in campo nelle prime tre partite giocate, l’Italia non sta mantenendo il livello di intensità atletica e tecnica con il quale dovrebbe approcciare le gare. La testimonianza diretta delle difficoltà incontrate dai nostri flanker in questo Sei Nazioni è rappresentata dalle prestazioni contro gli Azzurri dell’irlandese CJ Stander, che ha letteralmente demolito la nostra terza linea, segnando pure tre mete, e di Maro Itoje, numero 7 dell’Inghilterra la cui esplosività ha mandato in tilt persino un giocatore esperto e dinamico come Simone Favaro.

 

A un certo non sembra nemmeno che Stander, il numero 6, si stia impegnando, passa attraverso la difesa come se passeggiasse per il centro di Roma.

 

 

Gori

 

Un’involuzione progressiva è invece quella che attanaglia, ormai dal Mondiale 2015, Ugo Gori. Il numero 9 italiano, che si sperava potesse maturare definitivamente e ricevere da Parisse i galloni di capitano (Parisse non è immortale), sta dimostrando con sempre maggiore continuità come alcuni problemi del suo gioco siano ormai forse troppo radicati per poter davvero immaginare di lavorarci dal punto di vista tattico.

 

A Gori viene rimproverata, a ragione, un’incostanza di prestazioni che, nel ruolo di mediano di mischia, può risultare fatale rispetto a tutto il piano di gioco meticolosamente preparato dai tecnici azzurri. Sotto accusa, soprattutto, la cadenza sotto ritmo con cui Gori ha alimentato le avanzate azzurre e un gioco al piede, dalla linea dei nostri 22 metri, sempre molto impreciso. La sensazione è che abbia perso fiducia e la squadra, che dovrebbe pendere dalle sue labbra, si trova invece molto più a suo agio con Bronzini, il giovane mediano di mischia che, quando entrato, senza fare nulla di straordinario, ha dato l’impressione di poter gestire il pallone con maggiore ordine e più movimento.

 

 

I tre-quarti

 

La linea dei tre-quarti è forse quella su cui O’Shea ha cercato di apportare le novità maggiori, ma che in realtà, dopo le prime tre partite, ha dimostrato sul campo i limiti abituali del gioco aperto italiano. Fiducia a Padovani come numero 15 (che sta interpretando la posizione con spirito e sicurezza), Esposito nel ruolo di ala chiusa e il ripescaggio di Benvenuti, che al Sei Nazioni non si vedeva dal 2013, a secondo centro, sono state le sorprese, in parte molto discusse, contro Galles, Inghilterra e Irlanda. Nonostante gli esperimenti, sul terreno non si è però ancora visto niente di nuovo.

 

L’Italia sul gioco alla mano si aggrappa alle individualità (poche) a sua disposizione, mentre soffre terribilmente quando ha la necessità di costruire dal centro del campo. Canna sta dimostrando doti di leadership che fanno ben sperare, ha un bel piede e soprattutto è riuscito ad affrontare con personalità il salto di livello che gli è stato richiesto negli ultimi due anni, ma non ha ancora lo spessore difensivo per potersi confrontare alla pari con mediani del calibro di Ford e Sexton. Tommaso Allan è invece diventato un giocatore rotondo, forte al placcaggio e con un bel ritmo, ma le sue percentuali al piede sono disastrose (4 errori importanti a Londra) e nessuna squadra può permettersi di lasciare per strada, per giunta contro l’Inghilterra, 11 punti. Da Campagnaro sono arrivati gli unici segnali davvero incoraggianti.

 

Lasciato in panchina durante le prime due partite, contro l’Inghilterra il centro di Exeter è stato fra i migliori in campo, difendendo bene sul diretto avversario Te’o e mettendo a referto una marcatura straordinaria: quattro avversari lasciati sul posto, gambe che girano e tecnica di grande spessore: se continua così il ragazzo di Mirano, che ha ancora solo 23 anni, può diventare fra i più forti al mondo nel suo ruolo.

 

Quanto è forte Campagnaro?

 

 

 

Il futuro

 

Vista da qui, sembra difficile che l’Italia riesca a battere una tra Scozia e Francia per evitare di chiudere all’ultimo posto l’edizione 2017 del torneo. Sulla carta entrambe la squadre potrebbero essere alla nostra portata, ma la Francia, all’Anno 1 della sua rifondazione tecnica, è una squadra molto fisica, forse la più difficile da affrontare sul piano atletico in questo Sei Nazioni, ed è proprio questo uno dei fattori ad aver pregiudicato maggiormente la crescita azzurra nelle partite perse contro Galles, Irlanda e Inghilterra.

 

La Scozia è invece un gruppo che da tre anni a questa parte, grazie al lavoro del neozelandese Vernon Cotter, cresce costantemente e che in questo momento sembra davvero troppo distante, dal punto di vista tecnico, dal XV italiano. Per provarci, Parisse e compagni dovranno sistemare la rimessa laterale, convincere Gori a tirare fuori il pallone dalle fasi statiche a ritmo più alto e sviluppare un piano di gioco che sulle fasi aperte possa sfruttare al meglio le doti di costruzione di Canna e il grande momento di forma di Campagnaro. Molto lavoro, ma ci si può almeno provare.

 

 

Tags : rugbysei nazioni

Mauro Mondello è un reporter freelance e documentarista. Ricercatore per l'Università di Yale, dirige la rivista di approfondimento culturale Yanez.

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