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Francesco Longo
Come sta il nuoto a Roma
18 lug 2022
18 lug 2022
Un estratto da "Il cuore dentro le scarpe" di Francesco Longo.
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Francesco Longo
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La vicinanza con la seconda statua deve impensierire Ercole. Dopo aver abbandonato la marina mercantile, Matthew Webb si allena per attraversare a nuoto la Manica, nessuno ci è mai riuscito, qualcuno ci ha provato. Il suo primo tentativo fallisce, a causa del mare molto mosso. Ci riprova dodici giorni dopo, il 24 agosto 1875. Parte da Dover e dopo ventidue ore di nuoto tocca terra in Francia. Webb diventa celebre, viene eretto un arco di trionfo in suo onore nella città dove è nato, Shropshire, i giovani lo venerano. Secondo lo scrittore Richard Jefferies, la traversata della Manica oscura anche le «gesta di Aiace ed Ercole: nemmeno la mitologia riusciva a fornire esempi che potessero eguagliare l’impresa di Webb».

 

Gli abitanti delle città sognano di rientrare a casa attraversando i quartieri a nuoto. Ma l’unico a realizzare questa fantasia è un personaggio letterario, Ned Merrill, il protagonista del racconto «Il nuotatore», di John Cheever. Un pomeriggio domenicale pigro, di mezza estate, si trova a casa di amici per un party in piscina, il giorno prima hanno tutti bevuto troppo. Ned nutre «un inesplicabile disprezzo per gli uomini che non si tuffano in acqua». All’improvviso desidera tornare a casa, quindici chilometri più a sud, nuotando, grazie alle tante piscine locali messe in fila nella sua mente. Lascia la festa, scavalca siepi, passa da una villa all’altra, da una piscina all’altra, sfugge a conversazioni sgradite, sorseggia tanto gin. L’aria sa presto di autunno, poi al crepuscolo appare un bagliore invernale, la memoria mostra segni di debolezza. Boschi, prati, piscine, villette di vicini, il rettangolo d’acqua della sua ex amante. Alla fine torna a casa, la maniglia gli lascia la ruggine sulla mano.

 

Realizzare a Roma il racconto di Cheever è un’illusione, gli specchi d’acqua sono concentrati in poche aree, le piscine sono spesso invisibili, sotto ai palazzi, dentro edifici chiusi, solo il fiume attraversa la città rilasciando il ricordo di quando lo si usava per nuotare. Per il resto si nuota al mare. Lo stesso Cheever, nel periodo in cui vive a Roma, è attratto dal richiamo dell’acqua che aspira tutti i desideri verso la spiaggia: «Mentre guardo giù in strada dal balcone bramo la libertà dei giovani maschi sulle decappottabili che vanno giù a Ostia a scatenare l’inferno». In molte città la costa rappresenta il lato ludico della metropoli, è per questo che i luna park nascono sulla riva dell’oceano.

 

Nell’antichità, come rimedio per l’insonnia, il medico suggerisce al poeta romano Orazio di attraversare il Tevere tre volte prima di dormire. Nei punti del Tevere con la corrente più forte, Catone il Vecchio fa lezioni di nuoto al figlio. L’acqua è terapeutica, salutare, curativa. Nelle prime piscine, inserite di solito in ambienti termali, i medici prescrivono i bagni contro le emicranie. Nella Roma antica si aprono tantissime terme e vasche. Nel mondo romano e greco il nuoto forma i giovani, chi non sa nuotare viene irriso, si dice di un uomo ignorante «non sa né leggere né nuotare». Si nuota nell’Iliade e nell’Odissea. Nuotatori compaiono in tutte le civiltà legate all’acqua, nei geroglifici egizi, nei bassorilievi assiri e babilonesi. Il nuoto nasce come esigenza e strategia di sopravvivenza, i primi apneisti tagliano le corde delle navi nemiche, i primi sommozzatori si immergono per recuperare relitti o rarità: ostriche, monete, coralli, forzieri, perle, spugne, scrigni, tesori di navi affondate. Si nuota come ultima chance per scappare dal nemico – re Turno guada con le armi il Tevere per scampare ai Troiani –, si fugge a bracciate dai barbari che tradizionalmente non sanno nuotare.

 

Come tante altre attività sportive dell’antica Roma, anche il nuoto si perde nei secoli. Quando cade Roma cade anche lo status del nuotatore, non è più l’eroe di un tempo. Il Tevere torna al centro degli sport alla fine dell’Ottocento. Solo allora il nuoto ricomincia a essere popolare.

 

A girare oggi per le piscine romane si constata che l’immersione nell’acqua ha mantenuto la stessa seduzione: un momento ricreativo, di sollievo, un’esperienza rigenerante per corpo e mente. Ne conoscono bene i benefici Nausicaa, Elena, Europa.

 

La prima società esclusivamente natatoria è fondata a Roma nel 1889 da Romano Guerra, si chiama Società Romana di Nuoto. È l’anno in cui la pratica del nuoto si diffonde in Italia. Percorrendo oggi l’argine del Tevere, grandi caratteri celesti segnalano il barcone, tra ombrelloni aperti e piante nei vasi. La sede è la stessa da oltre cento anni. Nel 1891 apre la Rari Nantes Roma di Achille Santoni. Alla fine dell’Ottocento, gare di nuoto nel Tevere vanno dall’Acqua Acetosa a ponte Margherita, più di cinquecento metri. Più tardi parte un «Campionato del Tevere», dalla foce dell’Aniene al Porto Fluviale, ma ci sono gare che arrivano a quarantacinque chilometri, da Monterotondo a ponte Milvio. I primi veri campionati in piscina sono del 1923, e l’inaugurazione della piscina nello stadio Nazionale è del 1928. Il 1934 è l’anno d’oro per gli impianti in tutta Italia. Mentre il Duce prende lezioni da Nanni Caucia – nuotatore e pallanuotista – vengono preparate le piscine coperte al Foro Italico. È fuori da questo complesso che incontro Fabio Conti, ex nuotatore, commissario tecnico della Nazionale femminile pallanuoto, nel 2016 porta il Setterosa in finale alle Olimpiadi di Rio de Janeiro.

 

Cosa deve fare una ragazza o un ragazzo che desiderasse avvicinarsi al nuoto o alla pallanuoto?

«È una domanda che ci arriva spesso in Federazione. Bisogna cercare nel proprio quartiere una scuola nuoto federale. Ci si iscrive, si fanno corsi di nuoto fino all’acquisizione di almeno un paio di stili, come dorso, stile libero o gambe rana. Normalmente le scuole utilizzano nel percorso didattico il gioco con la palla. Si arriva così all’età giusta per avvicinarsi alla mini-pallanuoto, tornei a campo ridotto dove si comincia con il gioco. Quando ero piccolo io, quasi tutte le scuole nuoto utilizzavano insieme nuoto e pallanuoto, poi crescendo sceglievi quale era la tua strada».

 

Oggi?

«C’è molta precocità. La divisione nuoto o pallanuoto arriva subito. Per l’attività di base va bene la piscina di quartiere, poi c’è la possibilità di venire chiamati all’attività di pre-agonistica. A questo punto molto dipende da chi gestisce la piscina. Se chi gestisce ama il nuoto sarai probabilmente stimolato verso quell’attività, se preferisce il pinnato sarai stimolato al pinnato, o magari ti faranno usare la palla. Dalla piscina di quartiere, si passa ad altre e si finisce comunque qui, al Foro Italico. Roma è un imbuto, tutto converge qua. Purtroppo ci sono poche strutture di un certo livello».

 

Com’è stato il tuo percorso a Roma?

«Vengo dal quartiere Prenestino. Per due o tre anni ho fatto attività di base vicino casa, poi mi sono spostato in un’altra piscina più importante, a San Giovanni. Intorno agli undici anni venivo tutti i giorni da lì al Foro Italico con tre autobus o il tram, ci mettevo un’ora e quarantacinque minuti».

 

Altrove è diverso?

«La grande maggioranza dell’impiantistica sportiva a Roma – ma in Italia in generale – è gestita da privati. Non abbiamo piscine nelle scuole né nelle università, né gestite direttamente dal Comune. A Barcellona, a Madrid, o in Olanda, in Grecia, le strutture sono pubbliche, con dipendenti pubblici. Da noi le società sportive fanno formazione, gestiscono l’impianto, devono sopravvivere e con questa attività di base si sostituiscono allo Stato. Dopo l’argento alle Olimpiadi di Rio del 2016 – allora ero allenatore del Setterosa – ripetevo che per vincere una medaglia da noi fai il doppio della fatica rispetto all’estero. Nella finale contro le americane era impossibile non fare il confronto. Nelle loro high school apri la porta della classe, o di dove studi, e trovi la piscina, senza perdite di tempo; da noi, come capitava a me, ci si può mettere quasi due ore per andare ad allenarsi. Nell’hinterland e in periferia a Roma non ci sono grandi strutture e sei sempre costretto a fare capo al Foro Italico. Questa è la fotografia di quel che riguarda l’acqua».

 

A un certo punto c’è stato un cambiamento?

«Adesso le piscine con l’istruttore con gli zoccoli e il fischietto sono diventate club con la sauna e genitori in attesa al caldo, dietro la vetrata o al bar. Prima a gestire gli impianti privati erano allenatori appassionati. Aprivano la piscina per mettere su una squadra e per mantenere la squadra avviavano la scuola nuoto. Quindi oggi è più raro che le piscine comincino a fare l’attività agonistica».

 

Quali sono i principali impianti a Roma?

«I Mondiali del 2009 ci hanno regalato due impianti: a Ostia e a Pietralata. Sono due poli natatori federali molto importanti, e un po’ hanno decentrato il carico del Foro Italico. Il Foro ha la piscina al chiuso e lo stadio del Nuoto all’aperto. Poi c’è l’Acqua Acetosa, riservata solo ai Nazionali, lì lo spazio è diviso anche con il Pentathlon e altre discipline. A Roma ci sono una miriade di impianti privati, sparpagliati per la città, sotto ai palazzi, in qualsiasi posto, dove in parte trovi il nuoto agonistico, e trovi anche la pallanuoto, in percentuale minore rispetto al nuoto. Le società affiliate sono almeno trecento e come impiantistica ci saranno oltre duecento piscine».

 

C’è una tradizione del nuoto e della pallanuoto a Roma?

«Sia il nuoto che la pallanuoto sono storiche a Roma. Sono molto affezionato a Carlo Pedersoli, noto come Bud Spencer. È stato ottimo nuotatore con la Lazio Nuoto e anche giocatore di pallanuoto nella Lazio Pallanuoto quando vinse lo scudetto».

 

Carlo Pedersoli compare in tutti i libri e resoconti sulla storia del nuoto romano. Nel 1940 la famiglia Pedersoli si trasferisce a Roma da Napoli. Nel 1949 diventa campione italiano nei cento metri stile libero e nel 1950 è il primo italiano a nuotare sotto il minuto. Poi comincia a fare cinema e smette di gareggiare.

 

Lo stadio del Nuoto è del 1959, realizzato da Del Debbio, con una vasca scoperta da cinquanta metri, gradinate per settemila spettatori, e una vasca per i tuffi da venti metri. Il complesso del Foro comprende la piscina pensile, con mosaici pavimentati di Giulio Rosso, e la vasca usata anche per la pallanuoto. Per le Olimpiadi del 1960 vengono costruiti altri due impianti: l’Acqua Acetosa, con una piscina olimpica indoor e outdoor con tribuna e una piscina con trampolini per i tuffi e una da venticinque metri indoor. E la Piscina delle Rose all’Eur.

 

Che ruolo ha Roma nella pallanuoto nazionale?

«A livello nazionale, i poli erano in Liguria – perché allora si giocava molto nei porti –, a Napoli il Circolo Canottieri, a Posillipo, e poi Roma perché c’era l’impianto del Foro Italico che ha fatto sì che la Lazio e la Roma fossero squadre storiche».

 

A che punto è la pallanuoto?

«Verso la fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta nella pallanuoto avevamo il famoso Settebello. Una serie di vittorie rendono questo sport molto visibile: l’oro italiano ai Campionati Mondiali del 1978, Ratko Rudic ́che guida la Nazionale italiana dal 1991, l’oro alle Olimpiadi di Barcellona del 1992, l’oro agli Europei di Sheffield del 1993, e nel 1994 l’oro ai Campionati mondiali a Roma. Un boom. In quegli anni nelle città il campanilismo era molto forte. La flessione è arrivata insieme a quella economica, dopo l’euro. Lo sport di squadra è fatto di sponsor, e quando le sponsorizzazioni calano, uno sport come la pallanuoto resiste bene solo nei grandi circoli storici, Posillipo, Bogliasco, la Pro Recco. Il nuoto ha fatto il percorso opposto. Le cose non andavano così bene: dopo Novella Calligaris c’è stato un bronzo ai campionati europei del 1983 di Marcello Guarducci, qualche buon risultato di Gianni Minervini e Stefano Battistelli. Il nuoto ha cominciato a esplodere in Italia dagli anni Duemila. Allora è avvenuto una specie di scambio con la pallanuoto. Il nuoto è andato incontro a una grande popolarità degli atleti. Ha tirato fuori dei personaggi, da Massimiliano Rosolino a Federica Pellegrini, esordio in Nazionale nel 2004. Tutto ciò poi si trasforma in attrattiva e adesioni».

 

Quale è la proporzione tra uomini e donne nella pallanuoto?

«Ogni dieci uomini una donna, è sempre stato così. La pallanuoto è uno sport di contatto molto duro, come il rugby, viene percepita come uno sport più per ragazzi che per ragazze. Ma una volta che le ragazze cominciano non mollano più».

 

Un ricordo legato allo stadio dei Marmi?

«Allo stadio dei Marmi si scatta la foto a tutta la spedizione olimpica. Ogni spedizione ha un incontro con il presidente della Repubblica. Ci muovemmo dal Palazzo H del Coni, dovevamo andare al Quirinale da Mattarella, tutti in tenuta Armani, con un pullman scoperto, attraverso tutta la città. Un bellissimo ricordo».

 

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