Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Emiliano Battazzi
Come sta il naufrago Pepito?
18 mag 2016
18 mag 2016
Giuseppe Rossi è ripartito dal Levante.
(di)
Emiliano Battazzi
(foto)
Dark mode
(ON)

Anno1238: Giacomo I, Re d’Aragona, punta alla riconquista di Valencia, allora sotto il controllo dei mori. Sistema il suo accampamento appena fuori le mura della città, ed è lì, secondo la leggenda, che una notte cominciò a sentirsi un rullo di tamburi. L’esercitò si svegliò e Re Giacomo si accorse che i mori si stavano avvicinando, per preparare un attacco a sorpresa: la risposta fu pronta e i mori persero la battaglia. A suonare il tamburo fu un pipistrello, con le sue ali: nei giorni precedenti si era sistemato nella parte alta della tenda del Re.

 

Questa leggenda spiega perché nello stemma della città di Valencia ci sia un pipistrello sopra la corona, e di conseguenza anche il suo utilizzo (

in spagnolo,

in valenciano) nei crest delle squadre di calcio della città.

 

La più antica è il Levante, fondata nel 1909, che deve il suo nome alla Playa de Levante: all’epoca il campo dove la squadra giocava era infatti situato davanti alla spiaggia.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Iq6ukRv7E1s

Alla presentazione di Rossi, un tifoso di 85 anni conosciuto come “El Gasolina” si commuove e gli dice “Estoy emocionadísimo de verte”. Pensate che quell’uomo ha visto giocare anche Cruyff con la sua squadra del cuore.



 

Quando il 23 gennaio 2016 Giuseppe Rossi si trasferisce in prestito al Levante, i tifosi sono quasi increduli: i levantini sono ultimi in classifica, è una missione disperata. Pochi giorni dopo, Rossi esordisce, il Levante vince uno scontro diretto contro il Las Palmas e la leggenda sembra rivivere trasfigurata: come il pipistrello, Rossi arriva per svegliare una squadra avvolta nel torpore.

 

 



 

Nessuno più di Giuseppe Rossi impersonifica le difficoltà di raggiungere il successo nel calcio: sia nella fase giovanile, sia nel mantenersi al livello d’elite.

 

Nato a Teaneck ma cresciuto a Clifton, nel New Jersey, a 12 anni è costretto ad abbandonare gli States con il padre per trasferirsi al Parma, che lo ha selezionato per le giovanili. Si tratta di una scommessa di portata davvero inimmaginabile, per noi che lo vediamo adesso e sappiamo che è Giuseppe Rossi: ma pensate ad un dodicenne che dal New Jersey si trasferisce a Parma, senza sapere bene l’italiano, perché potrebbe diventare un giocatore di calcio professionista (

a).

 

Nell’intervista al

, Rossi sostanzialmente afferma che non era cosciente di quello che stava facendo: non avrebbe mai immaginato di diventare un professionista. Dopo due mesi, suo padre pensava stesse sul punto di tornare in America, ma Rossi fu più forte delle enormi difficoltà da affrontare. Nell’intervista evidenzia un concetto che i tifosi fingono spesso di non sapere: “It takes a lot of sacrifice to reach a certain level”.

 



Con il suo solito tono di voce quasi impercettibile, Rossi appena arrivato lascia capire la cosa più importante: vuole solo giocare a calcio, come un bambino tenuto in castigo per troppo tempo.



 

Rossi è anche il simbolo di quanto poco ci voglia per cadere dal piedistallo e della fragilità della carriera di un calciatore. Anche un prototipo di professionista come lui, molto attento alla sua vita privata, mai una parola di troppo, sempre apprezzato da tutti gli allenatori per la sua etica del lavoro, è in realtà un inconsapevole fuscello, pronto ad essere sradicato dal suo habitat al primo colpo di vento.

 

 



 

La lista degli infortuni di Giuseppe Rossi è impressionante: nell’intervista al NYT dice che il più grande errore è sentirsi perseguitati e non riuscire a pensarsi sani. Il grande problema degli infortuni non è quasi mai quello dell’aggiustamento clinico, ma di quello psicofisico: come si ritorna in campo dopo aver scoperto di essere umani, dopo aver vissuto la sofferenza e dopo aver perso la routine del campo?

 

Da questo punto di vista, Rossi sembra avere la pazienza di Giobbe, ma senza il vittimismo di chi sa di essere colpito da una divinità. La filosofia di Giuseppe Rossi sembra più un “shit keeps happening”, in cui ogni avvenimento è una sfida della vita: con la consapevolezza di si ritiene uomo prima che calciatore.

 

https://www.youtube.com/watch?v=MDLvwU92HHk

Il debutto contro il Las Palmas: entra a quindici minuti dalla fine e per poco non segna un gol da standing ovation. Dopo che è sfuggito al primo avversario e ha saltato il secondo con un sombrero, il suo fisico sembra quasi arrugginito: non riesce a segnare, ma c’è già tutto in questa azione.



 

Dal 2007, Rossi ha subito ben 5 infortuni seri, nell’ordine:

 

- novembre 2007, rottura del menisco esterno e stiramento del legamento crociato anteriore del ginocchio destro;

- ottobre 2011: dopo aver segnato 32 gol in stagione con il Villareal, ed essere stato a un passo dal Barcellona (alla fine gli fu preferito Alexis Sanchez), Rossi si rompe il crociato del ginocchio destro, al Bernabeu;

- aprile 2012: 6 mesi dopo, pronto a giocare, Rossi in allenamento si rompe di nuovo il crociato del ginocchio destro. Il Prof. Steadman delinea un piano fatto di addirittura due operazioni: una subito e una ad ottobre;

- gennaio 2014, è passato alla Fiorentina: è il capocannoniere della Serie A quando si procura la lesione al legamento collaterale del ginocchio destro;

- agosto 2014: un sovraccarico al ginocchio destro spinge il giocatore ad un’artroscopia in Colorado: viene suturata una lesione meniscale, si prevedono 5 mesi di stop ma alla fine salta tutta la stagione.

 

Nel frattempo Montella è stato sostituito da Paulo Sousa, che utilizza Rossi con parsimonia: appena 700 minuti in tutto tra Serie A ed Europa League, con due gol. Troppo poco, Rossi si sente sano, non cede al vittimismo, vuole giocare: quando ritorna in Spagna, però, ha giocato appena 41 partite in 4 anni e mezzo.

 

In questi mesi al Levante, Rossi ha realizzato 6 gol. Ogni volta è una resurrezione, vista da qui: per lui invece è solo voglia di giocare a calcio.

 

Al Levante, piano piano Rossi è sembrato crescere, levandosi di dosso la ruggine: o forse per lui l’arroz bomba è come la lattina di spinaci per Braccio di Ferro. La leggenda del pipistrello valenciano purtroppo rimane tale, e Rossi non è riuscito a evitare la retrocessione della sua squadra: ma è tornato a giocare, segnare, sentirsi un calciatore.

 

Per noi è Pepito (soprannome affibbiatogli addirittura da Bearzot in assonanza con Pablito Rossi) ma in realtà gli spagnoli lo hanno soprannominato “el bambino”. E proprio la Spagna sembra il posto migliore per ritrovare il suo sogno di quando aveva 12 anni.

 

 



 

Nelle sue 17 partite giocate al Levante, Rossi ha segnato 6 gol, il doppio della somma di quelli di Kalinic e Babacar nello stesso periodo.

 

Nel 4-3-3 del tecnico Rubi, Rossi ha occupato da subito il ruolo di punta centrale, ma con la sua tipica capacità di svariare su tutto il fronte, spesso abbassandosi da trequartista a creare la profondità per Deyverson. Il Levante infatti ha puntato molto sulle transizioni rapide, forse troppo: è la squadra della Liga con il possesso palla più basso in media (47%) e Rossi ne ha risentito, registrando circa 24 passaggi per 90 minuti contro i 36 delle prima parte di stagione con i viola. Di conseguenza anche i passaggi chiave sono diminuiti da 2 a 1,5 per 90 minuti, così come i tiri, passati da 3,9 a 2,6. Eppure il tasso di conversione non è affatto male: 15,6%, non lontano dal 16,6% della splendida metà stagione con la Fiorentina 2013/14 (escludendo i rigori). Considerando solo i tiri nello specchio della porta, Rossi al Levante segna un gol ogni tre tiri, a conferma della ritrovata capacità e velocità di esecuzione.

 

In una recente intervista, Rossi ha evidenziato la sua preferenza per la paella valenciana, quella di carne di pollo e coniglio: e già nel 2011, quando era al Villareal (città della Comunidad Valenciana), disse che

e che si mangiava benissimo, e come dargli torto? Ad ogni sua rete, in effetti, si può associare un classico della cucina valenciana: ogni volta che si gonfia la rete, Rossi sente un sapore nuovo, più intenso.

 



 

Il primo gol con i levantini lo segna alla sua seconda partita, in trasferta contro il Siviglia: Ghilas e Morales disturbano l’inizio azione degli andalusi e Rossi si ritrova il pallone quasi per caso. Ha il tempo di accentrarsi e calciare di sinistro da fuori area ma il tiro non è fortissimo, si vede che non è il suo solito sinistro esplosivo: il portiere Sergio Rico, però, si fa ingannare da un rimbalzo, tocca il pallone ma lo devia nella propria porta. Questo sembra un classico Arròs del Senyoret (in valenciano), letteralmente il riso del signorino: quello cioè che la servitù cucinava per il primogenito. In sostanza, tutti i frutti di mare sono già puliti e i gamberetti sgusciati perché il signorino non può neanche sporcarsi le mani, deve solo mangiare: e così è questo gol di Rossi, in cui le mani sporche sono del portiere. Tanto che “el bambino” non sembra neppure esultare: assapora il ritorno al gol con nobile distacco, dirigendosi verso il centrocampo.

 



 

Il secondo gol arriva su rigore contro il Getafe: il Levante vince 3-0 contro una diretta concorrente e tutti cominciano a credere che l’impresa sia possibile. La rincorsa di Rossi è molto arcuata, parte largo, poi fa una serie di passettini che sembrano infiniti e prova la sua solita finta di corpo per far cadere il portiere: solo che quello rimane in piedi e intuisce il tiro di Rossi sulla sua destra, ma senza neppure sfiorare il pallone. La precisione è massima, e questo gol è confortevole e rassicurante come un arroz al horno della domenica, fatto con i resti del bollito, praticamente tutto quello che resta della settimana, dai ceci al sanguinaccio, dal chorizo alle patate, e si infila nel forno. Un gol che tonifica, anche se non particolarmente pregevole: per un attaccante segnare è come mangiare.

 



 

A 15 minuti dalla fine, il derby tra Levante e Valencia è fermo sullo 0-0: c’è un’innocua rimessa laterale sulla trequarti, il pallone finisce in area e Rossi sembra spuntare dal nulla, come se stesse passando per caso, circondato da maglie bianche. Si lancia sul pallone con una frazione di secondo di anticipo rispetto a Mustafi, e non ha paura del contrasto che potenzialmente potrebbe essere duro: colpisce la palla con l’interno piede sinistro, dandogli un giro perfetto per arrivare sul secondo palo dopo un rimbalzo davanti al portiere. Un angolo difficilissimo e quasi fideistico. Il numero 21 rossoblù qui esulta con rabbia, sembra quasi mandare a quel paese qualcuno o qualcosa: sa bene che questo è un gol da giusepperossi.

 

Un gol decisivo nel derby è come una grande paella mangiata all’Albufera, una laguna all’interno di un parco naturale, da dove arrivano le prime descrizioni (XVIII secolo) della ricetta. Così come il Levante è la squadra più antica della città, questa è la prima vera paella valenciana: anguilla, lumache e fagiolini corallo. Poi con il tempo l’anguilla è stata sostituita da pollo e coniglio, per fortuna.

 



 

Subito dopo la vittoria nel derby, Rossi segna forse il gol più bello di questi suoi mesi levantini. In vantaggio di un gol, il Depor si difende con una linea a 6 che si muove a casaccio: l’ultimo uomo in alto a destra non capisce di dover salire per applicare il fuorigioco e così Rossi è in linea quando riceve lo splendido passaggio di Verza. Si sistema il pallone con il sinistro e si trova la palla sul destro per tirare, ma non si fida, anche perché il suo compagno Deyverson sembra quasi disturbarlo. Rossi fa i suoi soliti passetti, che evidentemente servono a riflettere mentre si fa un’altra cosa, del tipo “adesso ci penso e vi faccio vedere”, e in effetti da lì inizia la rumba: una sorta di paso doble per portarsi il pallone sul sinistro e dribblare contemporaneamente l’avversario, poi un controllo per avvicinarsi alla porta e tirare con un sinistro forte, che il portiere può solo toccare. Un gol così sofisticato  che ricorda l’arroz con bogavante (l’astice): più brodoso degli altri, ma con quel sublime sapore di mare; e complicato da mangiare, che alla fine della dissezione del bogavante sembra davvero di aver dribblato una squadra intera. La soddisfazione deve essere la stessa.

 



 

La situazione del Levante si fa sempre più complicata con il passare delle settimane, e ogni partita diventa decisiva: alla 33esima giornata arriva l’Espanyol, ancora in lotta per la salvezza, e dopo 7 minuti passa in vantaggio evidenziano i disastrosi movimenti della difesa levantina.

 

A quel punto entra in scena Rossi, con un calcio di punizione da posizione angolata sulla destra, forse troppo per pensare a un tiro. In effetti non si capisce bene l’intenzione del numero 21, ma la palla è colpita benissimo di sinistro a rientrare: sarebbe perfetta per il difensore centrale Medjani, che però non riesce a toccarla. Il movimento inganna il portiere Pau che si butta per parare ma toccando il pallone lo butta nella propria porta: difficile capire se fosse comunque destinata a entrare. Rispetto al gol con il Siviglia, qui il modo di calciare è perfetto, e la fortuna aiuta gli audaci.

 

Rossi esulta con un “Vamos!” vigoroso, e ad accompagnarlo potrebbe esserci un arròs amb fesols i naps (valenciano per riso con fagioli e rape): un piatto unico (c’è chi ci mette anche le orecchie di maiale) ormai quasi scomparso, ma che si ritrova ancora nelle feste di paese. Il Levante vince 2-1 e la speranza di salvarsi resta in piedi.

 



 

Penultima giornata della Liga: il Levante, dopo la sconfitta della settimana precedente a Malaga per 3-1, è matematicamente retrocesso; l’Atletico, a pari punti con il Barça, può ancora vincere la Liga. Al 90’ però la partita è ancora bloccata sull’1-1: Giuseppe Rossi è entrato da appena 11 minuti. Nello sforzo finale, persino l’Atleti perde ogni equilibrio e si espone al contropiede: Morales e Rossi contro il solo Savic. L’azione parte addirittura da prima del centrocampo: Morales è imprendibile e Rossi gli corre in parallelo. Quando il pallone gli arriva, preciso sul piede sinistro, dopo tanta corsa Pepito è ancora lucido: non fa più i passettini dell’incertezza, ma calcia di prima sulla linea dell’area, aumentando la difficoltà del tiro pur di colpire in controtempo Oblak. Il tiro a giro si infila perfettamente all’angolino alla destra del portiere, che non ci prova neppure: è un gol bello e triste, perché sullo sfondo si nota la tristezza dei tifosi dell’Atletico, che si somma a quella dei tifosi di casa retrocessi. Un po’ come un arroz negro, così buono da mangiare con i pezzettini di seppia, calamari e gamberetti, ma un po’ cupo con quella

che in alcune padelle scure sembra quasi trasformare il riso in un tutt’uno con il metallo.

 

Al di là della Confederations Cup, Rossi non ha mai disputato una competizione ufficiale con la Nazionale italiana: è questo il suo maggior desiderio e probabilmente rimarrà l’unico vero rimpianto della sua carriera. A volte la sua esclusione è stata per scelta tecnica (2010), a volte ci hanno pensato gli infortuni (2012), mentre nel 2014 fu un mix di entrambe (rientrò in tempo per giocare le ultime tre giornate di campionato): anche questi Europei dovrà vederli da casa. Non è l’attaccante ideale per i movimenti offensivi di Conte: Giuseppe Rossi è un centravanti da calcio associativo, non è un razzo lanciato come una molla verso l’area avversaria. Chissà cosa farà Giuseppe Rossi fra due anni, quando si giocheranno i Mondiali in Russia: ci proverà, su questo non ci sono dubbi, perché a livello di motivazioni (oltre che di tecnica di base) non ha nulla da invidiare agli altri attaccanti.

 

Giuseppe Rossi già due anni fa sosteneva di non poter più pensare al lungo termine: ogni passo nella sua carriera deve essere fatto con il principio di realtà. Il Levante non potrà riscattarlo e si parla di un possibile ritorno al Villareal, che si è qualificato ai preliminari di Champions e ha vissuto un inferno simile a quello di Pepito, passando addirittura per la Segunda per poi tornare ai massimi livelli. Sarebbe una scelta di qualità: Rossi ha già dimostrato di poter tornare al calcio d’elite e Villareal è un ambiente perfetto per una risalita. Anche grazie all’arroz bomba.

 

 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura