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Come sta il Brasile?
10 giu 2016
Due anni dopo il Mineiraço e dopo due partite di Copa América i verdeoro sono ancora in un momento difficile.
(articolo)
12 min
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Due partite, una vittoria, un pari ed un futuro ancora tutto da decifrare. È questo il bilancio delle prime due gare del Brasile in una Copa América Centenario in cui la Seleção parte – almeno dall'inizio – dietro alle grandi favorite. Ecuador e Haiti sono stati i primi test per la squadra diretta da Dunga, che dopo il deludente 0-0 conquistato (perché di vera conquista si è trattato) contro la Tri, ha seppellito di reti Haiti con un larghissimo 7-1. Le prospettive future di questa squadra ancora indecifrabili, visto che in un torneo così corto possono essere possono essere molti i fattori decisivi per stabilire il confine tra successo e fallimento.

Dal Mineiraço ad oggi

Sono passati due anni da quell'indimenticabile – inteso con accezione negativa – serata del Maracanã, e da quel giorno pare essersi aperto un cerchio critico attorno a questa Selezione, proiettata in un momento storico povero di idee e talento, oltre ad essere vittima di mala gestione da parte di una federazione ormai abituata a ragionare solo in base al denaro e agli umori della piazza. Dunga è stato messo sulla graticola sin da subito, e così il tecnico si augura che il 7-1 di questa notte possa finalmente chiudere un brutto capitolo di storia verdeoro, annullando la disfatta subita per mano della Germania due anni fa. Il tutto, ovviamente, rimanendo con i piedi per terra; il Brasile che ipoteca il passaggio del turno ai quarti di Copa América, infatti, lo fa soffrendo all'esordio e battendo un avversario decisamente morbido, e di conseguenza è giusto rimanere pragmatici e realisti, come ha detto Dunga nella conferenza stampa post Haiti.

Finalmente un Brasile che si diverte a giocare a calcio. Vorremmo sempre vedere una Selecão così.

Chi ha seguito le partite in diretta si sarà accorto che, se l'organizzazione ha avuto grossi problemi con gli inni nazionali, la regia americana ha palesato diverse difficoltà con le grafiche delle formazioni. La Selecão non ha mai iniziato con il 4-3-3, né – tanto meno – con il 4-2-2-2, come erroneamente è stato segnalato dagli statunitensi. Anzi, sebbene l'idea di Dunga fosse proporre il 4-2-3-1, un classico per il suo Brasile (lo abbiamo visto in tutte le partite giocate nel girone di qualificazione al Mondiale), è parso chiaro sin da subito come l'abito tattico scelto per questa avventura sia il 4-1-4-1. Soprattutto in fase di non possesso, questo modulo ha permesso alla Seleção di coprire maggiormente tutto il terreno di gioco, tratteggiandone un'evoluzione tattica interessante. In un periodo molto povero di talenti, e con tante assenze (forzate o meno), Dunga ha preferito essere essenziale, senza strafare. L'ago della bilancia è ovviamente Casemiro, ed il fatto che l'uomo copertina di questa squadra sia un (seppur ottimo) mediano, la dice lunga sul periodo che sta vivendo il Brasile a livello di singoli.

Selecão inedita

Tra i pali Dunga ha scelto Alisson, neo acquisto della Roma, che da un anno almeno è tra i portieri in rampa di lancio nel poco generoso territorio brasiliano. Il numero uno però non ha esordito bene, anzi, contro l'Ecuador è stato graziato da una svista di arbitro e guardalinee che hanno annullato un gol validissimo per la Tri, dato che il pallone incriminato non aveva superato la linea di fondo. Il tecnico però lo ha difeso: “Solo chi non gioca non sbaglia mai. Ho scelto lui perché ho piena fiducia nelle sue capacità”. La difesa a quattro è stata vittima di una defezione dell'ultim'ora: infatti, l'esclusione forzata di Miranda per un problema alla coscia ha lasciato spazio alla coppia composta da Marquinhos e Gil, fino ad ora mai messa sotto pressione sul serio. A destra Dani Alves è una garanzia, così come sull'out opposto Filipe Luis si sta disimpegnando discretamente bene. Entrambi fanno parte di un processo di gioco associativo, imbastito da Dunga, che adesso vedremo nel dettaglio.

Alisson non si presenta bene ai tifosi della Roma. Ma il portiere ex Internacional è un ottimo prospetto.

In questo contesto sono fondamentali ruoli, uomini e movimenti del centrocampo. Casemiro è il metronomo, quello che detta i tempi e richiama all'ordine i compagni; la sua crescita esponenziale, culminata con una stagione straordinaria, ha stravolto le gerarchie anche in nazionale. Il 4-2-3-1 è stato accantonato anche per la sua presenza, che si dice abbia fatto infuriare un veterano come Luiz Gustavo, tanto da indurlo a lasciare il ritiro, adducendo non meglio precisati motivi famigliari. Così, Dunga ha deciso di portare più uomini in fase offensiva, alzando Elias in linea con Renato Augusto a ridosso dell'unica punta. Le richieste ai due giocatori protagonisti in maglia Corinthians sono semplici, e consistono in due particolari consegne: la prima riguarda gli inserimenti senza palla, decisivi soprattutto contro Haiti, dove Renato Augusto – tramite un taglio in area – ha trovato il primo dei suoi due gol; mentre il secondo punto riguarda proprio il ruolo in quel contesto associativo menzionato prima. Con Coutinho e Willian esterni, Dunga ha implicitamente dichiarato che i pericoli maggiori verranno creati dalle fasce. E così è stato; contro l'Ecuador, entrambi hanno creato problemi soprattutto nel primo tempo, mettendo in area alcuni palloni molto interessanti. Stanotte invece Coutinho si è scatenato, segnando una tripletta di pregevolissima fattura e, più in generale, caricandosi tutta la squadra sulle spalle.

Renato Augusto legge bene i tempi di inserimento e trova il primo dei suoi due gol. L'ex Corinthians potrebbe rivelarsi opzione preziosa per Dunga.

I meccanismi sono stati recepiti subito, ed il “gioco delle coppie” cercato dal ct per ora ha funzionato; a destra Willian ed Elias si trovano bene e, a più riprese, riescono ad aprire i corridoi verso il fondo tanto cercati da Dani Alves. Dall'altra parte Coutinho e Renato Augusto, oltre a lavorare senza sosta con Filipe Luis, risultano ancor più determinanti. Il motivo? Semplice: essendo due destri naturali, quando sfruttano il movimento senza palla del compagno, inquadrano con maggior facilità lo specchio della porta (vedi primo gol di Coutinho contro Haiti).

Il primo gol di Coutinho conto Haiti. Da notare il movimento di Filipe Luis e Renato Augusto che “aprono” lo specchio della porta a Cou. Il resto è pura magia.

Chi non ha rubato particolarmente l'occhio è Jonas; invocato a gran voce dai tifosi e dai media locali in fase di convocazioni, la punta del Benfica è apparso fuori contesto, spesso sbagliando palloni decisamente facili. Jonas arriva da una stagione nella quale ha sfondato la barriera dei trenta gol, ma è apparso sin troppo ovvio dopo il primo tempo contro l'Ecuador che – per rendere al meglio – avrebbe bisogno di un compagno di reparto capace ad aprirgli gli spazi (nel suo club questo lavoro lo fanno, a turno, Mitroglou e Jiménez).

A Lisbona lo chiamano “O Matador” perchè è capace di segnare in tutte le maniere. Con la nazionale Jonas deve ancora trovare un suo equilibrio.

Nonostante ciò, Jonas ha avuto le sue occasioni per fare bene; i due gol falliti nel primo tempo contro l'Ecuador gridano vendetta, mentre contro Haiti – a dispetto del livello dell'avversario – è stato cambiato nell'intervallo dopo una prima frazione poco positiva. Al suo posto è entrato Gabriel Barbosa, in arte Gabigol, che come prototipo di attaccante è similare a Jonas, ma avendo dodici anni in meno riesce – almeno per ora – a supplire con l'agonismo e la freschezza atletica ad alcune mancanze. Sia Jonas che Gabigol rappresentano due scelte obbligate per il ct, in quanto Ricardo Oliveira – centravanti inizialmente convocato – ha dovuto gettare la spugna a causa di un fastidioso infortunio.

Qui Jonas spreca malamente una palla preziosa spiovuta da sinistra.

Equilibri e squilibri

Giocare sistematicamente con almeno sei giocatori nella metà campo avversaria porta il Brasile ad avere inevitabilmente qualche problema in fase di ripiego. Queste difficoltà sono apparse chiare soprattutto contro l'Ecuador, squadra che per alcuni tratti ha provato a fare il match, nonostante non preferisca dominare il possesso. La Tri andava spesso in profondità su entrambe le fasce, perché il ct Quinteros sin dall'inizio aveva capito come tenere in mano il canovaccio dell'incontro. Con Coutinho e Willian poco adatti a difendere, l'Ecuador è andato spesso in superiorità numerica sfruttando la velocità dei suoi laterali, e soprattutto nel primo tempo dagli esterni ha creato alcune situazioni interessanti. Il tutto coinvolgendo Noboa, catalizzatore di palloni ecuadoregno, anche lui poco pressato all'inizio dalla mediana verdeoro, e poi parzialmente arginato quando Dunga ha chiesto esplicitamente ad Elias di fare più attenzione al regista del Rostov. Le due occasioni più importanti sono arrivate proprio su transizioni offensive in ripartenza, ed entrambe sono state finalizzate da Bolaños. Sulla prima l'attaccante del Grêmio ha sfiorato il palo con un tiro a giro, nella seconda ha letto bene un'imbucata centrale dalla quale è nato l'episodio controverso del gol non concesso.

Brasile – Ecuador. La Seleção è sistemata male sulla verticalizzazione centrale. Elias e Renato Augusto sbagliano a scalare e la difesa è costretta a rinculare, graziata poi da Bolaños.

Nella partita contro Haiti invece il Brasile ha avuto vita facile; per una squadra che gioca così bene palla a terra, il pressing alto dei caraibici è stato un suicidio, perché ogni volta che la difesa saliva la Seleção – soprattutto dagli esterni – leggeva con anticipo il movimento. Significativa è la rete del 2-0 segnata da Coutinho, dove Les Granadiers non si preoccupano minimamente di ciò che accade attorno a loro e lasciano Dani Alves libero di andare sul fondo a crossare, salvo poi ripiegare (ovviamente in ritardo) cercando di evitare l'inevitabile.

Il 2-0 in Brasile – Haiti. Caraibici che difendono altissimi e lasciano a Dani Alves una prateria per puntare il fondo.

L'eredità di Dunga

Al netto di ogni discorso riguardante il campo, non è possibile parlare di questa Seleção senza chiedersi cosa sarebbe potuto essere con i (tanti) giocatori assenti. Il ct verdeoro ha operato delle scelte ben precise sin da quando ha avvicendato Scolari, nel post Mondiale 2014; la prima decisione, che gli è valsa sin da subito la conquista di impopolarità, è l'accantonamento totale di Thiago Silva. L'ormai ex capitano del Brasile è uscito di scena sin dall'inizio per fare spazio, nell'immaginario collettivo, al cosiddetto “nuovo che avanza”. Dunga ha puntato forte su Neymar come trascinatore e leader del gruppo, ma fino ad oggi i risultati non gli hanno dato ragione. O'Ney lo scorso anno, dopo l'ottimo esordio nella Copa América cilena, non ha terminato il torneo causa squalifica, e da lì il Brasile è colato a picco. Neymar è anche una delle grandi defezioni di questa manifestazione; l'asso del Barcellona sarebbe servito parecchio a Dunga, che avrebbe voluto portarlo negli Stati Uniti prima che il club blaugrana – facendo valere le sue ragioni – glielo impedisse. Il motivo? Tra un paio di mesi ci saranno le Olimpiadi di Rio, dove il Brasile ha un solo risultato utile a disposizione, ovvero vincere. E per farlo, non si può prescindere da Neymar. L'obiettivo di Rio 2016 comunque non è solo quello di mettere in bacheca il primo trofeo olimpico della storia brasiliana, ma c'è una vera e propria mistica dietro alla giovane spedizione che affronterà questo torneo. Il Brasile, nella sua centenaria storia, ha vissuto anche momenti tragici dal punto di vista sportivo; soprattutto in casa, dove da esorcizzare non c'è più solo il celebre “Maracanazo” degli anni '50, ma anche una ferita molto più recente da rimarginare (il 7-1 subito due anni fa dalla Germania). I giovani under 23 (con l'aggiunta di tre fuori quota come Neymar, Willian e Miranda) avranno questo compito: spazzare via questa sorta di autolesionismo casalingo, che per due volte li ha portati al suicidio sportivo davanti ai propri tifosi. Per farlo, Dunga punterà deciso sulla meglio gioventù locale: da Gabriel Jesus (talento di casa Palmeiras) a Zeca, passando per Thiago Maia, il laziale Felipe Anderson e il portiere Eduardo.

Tornando alla Copa América, non è il solo Neymar a far sentire la sua mancanza. Marcelo, Luiz Gustavo e Douglas Costa avrebbero fatto molto comodo a Dunga. Il ct ha rinunciato sin da subito al terzino del Real Madrid, mentre a far fuori l'esterno del Bayern ci ha pensato la sfortuna. Con Douglas Costa infortunato, la Seleção ha perso molta imprevedibilità in zona offensiva, costringendo Dunga a rivedere i suoi piani tattici. Dietro alla vicenda Luiz Gustavo invece aleggia un alone di mistero; l'unica cosa certa è che il centrocampista del Wolfsburg avrebbe dovuto essere il partner di Casemiro in mezzo al campo, ma con la sua assenza il tecnico ha dovuto addirittura ridisegnare la squadra.

A questo punto, resta da capire dove possa arrivare questo Brasile. Le prime due partite hanno dato segnali contrastanti; a livello propositivo questa squadra ha una sua identità e, soprattutto, sembra che i giocatori abbiano recepito abbastanza bene le consegne di Dunga. La gestione del gioco è fluida, e se è vera la massima del grande maestro Liedholm (“Se la palla l'abbiamo noi, gli altri non possono segnare”), allora la Seleção potrebbe decidere di lavorare sul possesso palla per migliorare le proprie statistiche (il 53% contro l'Ecuador e il 67% registrato contro Haiti sono numeri incrementabili). Di contro, c'è da chiedersi cosa potrebbe succedere quando il livello delle avversarie inevitabilmente salirà. In questo momento Argentina, Colombia e Messico sono superiori a questo Brasile, mentre l'Uruguay ed il Cile – a patto che vadano avanti – rimangono squadre storicamente difficili da affrontare. Così Dunga dovrà capire se qualcosa è migliorabile, magari inserendo qualche tassello dalla panchina come Lucas Lima o Lucas Moura, interessanti variabili che permetterebbero al tecnico di cambiare modulo all'occorrenza.

Ecco come Lucas Moura può spaccare una partita. I tagli tra le linee, uniti alla sua rapidità, lo rendono a tratti imprendibile.

Questa Copa América potrebbe essere, al di là del suo epilogo, il passo d'addio per la gestione Dunga 2.0. Lasciare con un risultato inaspettato rappresenterebbe uno smacco enorme a chi, federazione e media locali in primis, già da tempo caldeggia la candidatura di Tite, creando attorno alla Seleção un clima ostile.

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