Iniziamo con una premessa: stiamo assistendo a un brutta edizione del Tour de France. Oltre a una corsa ferma e inespressa, in queste settimane abbiamo assistito anche ad alcuni episodi che ridimensionano fortemente lo spessore generale dell’evento. Quello che è accaduto sulle rampe del Mont Ventoux ne è certamente l’emblema principale.
Chris Froome, come previsto, sta dominando la corsa; quello che stupisce però è il vuoto che è riuscito a creare nei confronti dei suoi avversari. Una distanza da interpretare non tanto in termini numerici, quanto psicologici: nessuno sembra impensierire seriamente la maglia gialla e nessuno osa sfidare lo strapotere della Sky.
Tra i grandi corridori regna l’attendismo e, dopo il ritiro di Alberto Contador, Nairo Quintana, l’unico che poteva ribaltare la corsa, ha dimostrato evidenti limiti tattici e motivazionali; oltre a una condizione inadatta a fronteggiare un corridore come Froome. La speranza è di assistere a qualche attacco in grado di movimentare una corsa che sembra già chiusa, quantomeno per restituire al Tour de France la grandezza spettacolare che merita.
Nonostante questa premessa le migliaia di km che i corridori hanno attraversato in questi giorni qualche emozione l’hanno regalata lo stesso. Alcune fughe riuscite, volate giocate sul filo dei centimetri, discese attaccate con estrema pericolosità, e anche piccoli, singoli episodi che difficilmente dimenticheremo.
Facciamo il punto della situazione sulle cose più interessanti successe fin qui.
La tappa più emozionante
Vista la delusione dei tapponi pirenaici, la tappa più emozionante è stata forse la Carcassonne-Montpellier. Completamente piatta, salvo due Gpm di quarta categoria nei primi chilometri, ma caratterizzata da un fortissimo vento laterale che ha creato già agli 80 km dal traguardo delle situazioni interessanti dovute ai ventagli.
Di lì in poi è stata una tappa stranamente vivace, con pezzi del gruppo che si staccavano e si ricongiungevano senza sosta, fino al momento più alto di questo Tour de France: l’attacco in pianura di Sagan e Froome.
Un’azione studiata da parte del campione del Mondo con il suo compagno Bodnar, ma improvvisata sul momento da Chris Froome che si è accodato con un numero da passistone alla Cancellara al tandem della Tinkoff. Dietro sono rimasti tutti a guardare, sorpresi e storditi.
Scegliere una tappa completamente piatta come la più emozionante del Tour de France è indicativo dell’andamento di questa Grande Boucle, almeno fin qui. Ma non deve sorprendere perché anche in una tappa di pianura che sembrerebbe innocua può sempre succedere di tutto e di più. Basta un forte vento laterale e la voglia di far saltare il banco. (Umberto Preite Martinez)
Il momento esatto in cui ho iniziato ad apprezzare Chris Froome.
L’azione più importante
Non è stato fin qui un Tour molto entusiasmante, non si sono viste tante azioni spettacolari né da parte dei fuggitivi di giornata né degli uomini di classifica.
Scegliere quindi l’azione più importante di queste due settimane è abbastanza semplice. L’attacco in discesa di Froome.
Non tanto per i secondi che è riuscito a guadagnare, ma per il modo in cui l’ha fatto. Siamo al tappone pirenaico, la Pau-Bagnères des Luchon. Una tappa disegnata male, va detto, perché mettere il Tourmalet, l’unica salita degna di nota, a 100 km dal traguardo, è una follia.
Il gruppo dei migliori arriva compatto ai piedi dell’ultima salita, il Peyresourde, con la Sky schierata in pompa magna a fare l’andatura. Dopo una serie di scatti e controscatti, molto timidi a dire il vero, si scollina tutti insieme con un nulla di fatto. Nairo Quintana si sposta per prendere una borraccia, gli altri si rilassano un attimo dopo lo sforzo fatto in salita e in quel momento parte Chris Froome. Subito dopo lo scollinamento, nel breve tratto di falsopiano che precede la discesa conclusiva.
Tutti gli avversari si fanno sorprendere e Froome va a conquistare la tappa e la maglia Gialla.
È un’azione decisiva perché imprevedibile, bella perché perfetta, importante perché lancia un messaggio chiaro a tutti: non c’è spazio per rilassarsi e io, Froome, vi stacco quando voglio, dove voglio.
Fino a pochi secondi prima c’era ancora qualcuno che sosteneva che Froome avesse delle difficoltà nel guidare la bici, che non sapesse andare in discesa, che era un robottino telecomandato.
Da quel momento in poi sono crollati tutti gli ultimi tabù sul capitano della Sky. E se Froome stacca tutti anche in discesa, allora non ce n’è davvero per nessuno. (UPM)
Il peggiore corridore tra i grandi
Il peggiore tra i big è stato proprio uno dei favoriti per la vittoria finale: Nairo Quintana. Il colombiano della Movistar quest’anno era considerato dalla critica e dal pubblico come il principale sfidante di Chris Foome. Un attesa che Quintana si porta dietro dallo scorso anno, quando è stato l’unico in grado di mettere in difficoltà la maglia gialla. Era naturale aspettarsi qualcosa di più da Quintana, anche perché quest’anno ha puntato tutto sul Tour de France, supportato da una squadra di livello poco interessata - come è accaduto invece lo scorso anno - a piazzare corridori sul podio, ma motivata invece a portare più in alto possibile il suo capitano.
Quintana invece, almeno fino ad oggi, ha ripercorso gli stessi errori dello scorso anno: ha atteso troppo, non ha mai attaccato, puntando tutto sulla terza settimana convinto di arrivare nelle fasi finali del Tour con un distacco minimo da Chris Froome. A parte qualche stoccata inutile sul Mont Ventoux, Quintana è rimasto sempre fermo. Un errore tattico, ma se vogliamo anche un’eccessiva sicurezza nei propri mezzi che lo ha portato a sottovalutare il suo avversario. Mentre Quintana ha continuato a restare a ruota di Froome, quest’ultimo ha infatti deciso di non perdere tempo, attaccando sia in discesa - grande novità - che in salita. Oggi, a prescindere dall’entrata a gamba tesa della giuria che ha ridisegnato la classifica dopo l’episodio incredibile del Mont Ventoux, Quintana ha accumulato un distacco notevole da Froome. Sarà difficile a questo punto riaprire i giochi, anche perché la maglia gialla sembra imbattibile. (Andrea Minciaroni)
L’episodio più pazzo
Alle follie del Tour de France siamo abituati: cani che all’improvviso attraversano la strada rischiando di far cadere un plotone intero di corridori, autobus delle squadre che si incastrano sulla linea del traguardo poco prima dell’arrivo del gruppo, vacche che in discesa attraversano la strada costringendo i corridori a manovre improvvise, e quest’anno per non farci mancare nulla anche il crollo dell’arco che segnala l’ultimo km della tappa, che ha colpito in pieno lo sfortunato Adam Yates.
Ma quello che è successo quest’anno sul Mont Ventoux non ha precedenti. L’incidente che ha coinvolto Mollema, Porte e Froome nella dodicesima tappa ha dell’incredibile. Una brusca frenata di una moto tv, che ha inchiodato per non investire alcuni tifosi, ha fatto scoppiare il panico. Mentre Mollema e Porte sono riusciti a ripartire quasi subito, Froome è stato costretto a fermarsi. L’impatto con la moto ha distrutto la bicicletta, costringendolo a fermarsi per chiedere assistenza all’ammiraglia.
A questo punto il caos più totale: Froome riceve dall’assistenza una bicicletta di riserva che si rivela subito inutile perché troppo piccola per la sua altezza, e con dei pedali di una misura diversa. Froome rimane quindi a piedi, e in attesa dell’arrivo della ammiraglia della Sky inizia a correre come un pazzo per guadagnare tempo prima di ricevere una bicicletta adatta. Un episodio che non ha precedenti nella storia secolare del Tour de France: la maglia gialla che corre a piedi come un maratoneta lungo le rampe del Mont Ventoux tra le grida della folla.
Una scena drammatica e ridicola allo stesso tempo, che ha ridisegnato la classifica generale di questo Tour tra le polemiche. La giuria si è trovata infatti a decidere su un episodio senza precedenti e qualsiasi decisione avesse preso sarebbe stata in qualche modo discutibile. Alla fine a Froome è stato assegnato lo stesso tempo dei due corridori che sono caduti insieme a lui, permettendogli di mantenere la testa della classifica generale.
Come previsto, Froome è diventato subito un meme. (AM)
L’outsider migliore
Quello che sta stupendo più di tutti è Bauke Mollema. Professionista dal 2008, l’olandese ha partecipato per la prima volta ad un grande giro nel 2010, quando riuscì a classificarsi dodicesimo al Giro d’Italia. Da quell’anno in poi una serie di piazzamenti da non trascurare: dal 2011 al 2015 - se escludiamo il 2012 anno in cui si è ritirato dal Tour - è riuscito sempre a piazzarsi tra i primi dieci della generale di una grande corsa a tappe - quarto nel 2011 alla Vuelta, sesto nel 2013 al Tour e nei due anni successivi rispettivamente decimo e settimo sempre al Tour de France.
Stiamo parlando quindi di un corridore da non sottovalutare, dotato di una resistenza e una forza mentale che gli permettono di tenere bene nell’ultima settimana, momento più difficile per chi aspira alle posizioni alte di un grande giro. Quello che sta dimostrando in questo Tour de France però supera le aspettative più rosee, a cinque giorni dalla fine si ritrova secondo nelle generale con un ritardo di 1’47’’ da Chris Froome.
Certo, non vanno dimenticati i demeriti degli avversari come Quintana o il ritiro improvviso di Contador, ma per un corridore come Mollema, decisamente meno competitivo di Chris Froome, trovarsi a pochi giorni dalla fine con meno di due minuti di ritardo dalla prima posizione è un risultato semplicemente grandioso. E senza l’intervento discutibile della giuria che ha ridisegnato la classifica dopo l’episodio del Mont Ventoux, adesso il distacco da Froome sarebbe ancora più breve.
https://twitter.com/BaukeMollema/status/753639575734616064?lang=it
Secondo noi l’ha presa fin troppo bene
Mollema penserà in questi ultimi due giorni a difendersi per provare, giustamente, a conservare un podio che nessuno poteva immaginare. (AM)
La volata più bella
Quando si guarda una tappa con l’arrivo in volata per la prima volta, sembra di assistere a una lunga processione fino all’ultimo chilometro. A quel punto non ci si capisce più nulla, finché qualcuno non alza le braccia al cielo, incurante della confusione dietro di lui.
Ovviamente in una volata c’è molto più di questo. Ci sono tattiche, strategie, giochi di squadra. C’è l’attesa prima dell’esplosione. E poi ci sono gli ultimi 200 metri, quelli in cui bisogna finalizzare il lavoro. Ma una volata inizia molto prima, più o meno a 5 km dal traguardo. È a quel punto che i gregari si muovono per tenere davanti il velocista della squadra.
Ho scelto la quattordicesima tappa (la Montélimar - Villars les Dombes) perché è quella che più di tutte ci mostra il lavoro che c’è dietro a quei fatidici 200 metri.
Ai 4 km dal traguardo è la Katusha che si porta in testa e allunga il gruppo. Dietro di loro si organizzano anche le altre squadre e ai -3 arrivano, sulla sinistra della sede stradale, gli uomini della Etixx-Quick Step di Marcel Kittel. Qui notiamo una prima cosa interessante: il vento soffia da sinistra verso destra, e allora sotto lo striscione dei -2, il più esperto della compagnia, Maximiliano Richeze, fa cenno ai suoi compagni di spostarsi sull’altro lato della strada, per non dare agli avversari la possibilità di sorprenderli dal lato coperto dal vento.
Quando il primo uomo del treno Etixx si sposta, Tony Martin si volta e si rende conto di essere troppo lungo e rallenta il ritmo. Immediatamente ne approfittano i Lotto-Soudal dell’altro tedesco, André Greipel. Alle loro spalle i Katusha prendono bene posizione per proteggere Kristoff e portarlo alla ruota del campione di Germania.
A questo punto ci sono due azioni veramente notevoli e strettamente collegate. La prima è di Fabio Sabatini. L’ultimo uomo di Kittel, che sembrava ormai costretto lungo le transenne dietro al treno della Lotto e chiuso a sinistra dagli altri battitori liberi che cercavano di risalire, s’infila in un corridoio che solo lui riesce a vedere. Con astuzia conquista la ruota di Greipel e si sposta verso il centro della strada, passando dietro al treno Katusha e portando Kittel fuori dall’imbuto in cui si stava infilando.
Sabatini è il primo uomo in blu col casco bianco.
La seconda, direttamente conseguente, è di Mark Cavendish. Il fuoriclasse dell’Isola di Man lascia subito la ruota di Boasson Hagen e salta come un grillo su quella di Marcel Kittel. È proprio qui che Cavendish vince la tappa.
Perché Sabatini, per portare fuori Kittel, si ritrova col vento in faccia già ai 550 metri dal traguardo e lancia uno sprint molto lungo per il suo compagno. Kittel è costretto a partire poco prima del cartello dei -200 e per Cavendish è un gioco da ragazzi saltarlo per andare a vincere la sua quarta volata in questo Tour de France. (AM)
Cavendish salta secco Kittel che si impappina. Dietro di lui, Sagan in maglia verde prova la rimonta, ma è troppo tardi.
La discesa più bella
Una discesa è resa difficile dalla velocità con cui la si affronta, oltre che dalla tecnicità del suo percorso. Ecco perché, nonostante in questo Tour de France si siano viste discese molto lunghe e tortuose ma lontane dal traguardo, quella che il gruppo ha affrontato al termine della quindicesima tappa, da Bourg-en-Bresse a Culoz, le batte tutte, proprio perché i fuggitivi di giornata erano tutti lì a giocarsi la tappa a pochi secondi l’uno dall’altro. E tutti si sono buttati giù per la discesa con la fame di vincere di chi sente di poter raggiungere un sogno.
Rafal Majka aveva staccato i suoi compagni di fuga sui Lacets du Grand Colombier, ma dietro di lui incombeva uno scatenato Jarlinson Pantano. Il vantaggio sembrava considerevole e il polacco della Tinkoff pareva andar giù tranquillo, fino a quella curva.
Mezzo metro più in là e l’avremmo ritrovato tre giorni dopo a cibarsi di bacche e radici.
Da lì in poi la discesa di Majka è spigolosa, come se qualcosa si fosse bloccato nella sua testa. Cerca di andare in posizione aerodinamica ma in punti in cui non serve farlo o quando invece sarebbe meglio spingere sui pedali, cercare di impostare meglio le curve e rilanciare l’andatura subito dopo. Ma ormai la frittata è fatta.
Qui addirittura si siede sulla canna, mentre frena per impostare una curva che si rivela essere solo una leggera deviazione a sinistra.
Dietro di lui la regia inquadra soltanto la discesa di Reichenbach e Vuillermoz, scollinati terzo e quarto sui Lacets du Grand Colombier. La loro discesa è molto strana, in particolare quella di Vuillermoz, che nonostante sembri essere il migliore dei due decide di rimanere a ruota dell’austriaco, il quale però non sembra avere grande confidenza con la bici quando la strada scende. Probabilmente sperava che Reichenbach gli fosse utile nell’ultimo tratto in pianura, ma di certo non dev’essere stato molto rilassante stare dietro a uno che fa le curve quadrate.
Tutto procede senza molti colpi di scena, finché la motoripresa che seguiva Majka viene superata da un proiettile vestito di bianco, che s’infila nella curva successiva con la cattiveria del predatore che ha fiutato l’odore del sangue.
La differenza fra l’ingresso in curva di Majka e quello di Pantano è disarmante.
Purtroppo non abbiamo nessuna immagine della discesa di Jarlinson Pantano fino a quel momento. Ma se il colombiano è riuscito in 5 km a recuperare a Majka la bellezza di 25” in una discesa del genere, allora deve essersi preso dei rischi enormi. E la vittoria di tappa è il giusto premio per un’azione così folle e poetica allo stesso tempo. (UPM)
La scalata più difficile
Sempre parlando di un Tour de France orribilmente al di sotto delle aspettative, la scalata più difficile è fino a oggi la salita di Andorra Arcalis, che il gruppo ha affrontato sotto una pioggia battente per tutto il percorso, prima di incontrare addirittura la grandine al traguardo.
Forse è stato proprio questo fattore meteorologico a rendere questa salita la più spettacolare fino a questo punto, anche perché a livello di pendenze non presentava tratti molto difficili. Ma la pioggia, il freddo e la grandine hanno messo in difficoltà molti uomini di classifica, senza contare che è stata l’unica tappa in cui il treno del Team Sky non ha funzionato come avrebbe dovuto, lasciando lo spazio agli avversari per cercare di attaccare la maglia gialla di Chris Froome.
Ovviamente senza ottenere molto, ma è una situazione che lascia ben sperare in vista delle Alpi. (UPM)
Il corridore più combattivo
Visto l’immobilismo degli uomini di classifica, il premio per l’uomo più combattivo non può che andare a uno di quelli che hanno cercato di vivacizzare la corsa andando in fuga da lontano. L’obiettivo di tutti i fuggitivi del mattino è quello di vincere la tappa, ma solo uno di loro ci riesce. Agli altri resta solo questo classificone.
L’esempio perfetto del perdente che non molla mai, è Daniel Navarro. In ogni tappa di montagna, ogni volta che c’era anche la minima possibilità che la fuga arrivasse al traguardo, lui era lì. Con l’esperienza di chi sa sempre quello che bisogna fare, con la classe di chi ha fatto della montagna il suo habitat naturale. Ogni volta era il favorito per la vittoria di tappa.
Finora non ha mai vinto, vittima di giochetti dei suoi compagni di fuga per tagliarlo fuori o semplicemente perché ha incontrato qualcuno che aveva più gamba di lui, oppure a causa della scelta di tempo sbagliata (come a Lac de Payolle, quando ha passato tutta la tappa a marcare Nibali, mentre Cummings s’involava a vincere la tappa in solitaria).
L’ho scelto perché ci ha sempre provato e continuerà a farlo, ma nonostante questo la giuria del Tour de France non lo ha mai neanche premiato con il numero rosso del corridore più combattivo della tappa.
Potenzialmente è ancora in corsa per la maglia a Pois ma Majka ha un vantaggio ormai considerevole.
Quindi lo premiamo noi, come corridore più combattivo. Sperando che possa togliersi anche qualche altra soddisfazione. (UPM)
La squadra più forte
Il Team Sky di Chris Froome ha dominato la corsa in lungo e in largo. Non si muove una foglia senza il loro permesso e nessuno può attaccare senza venire ripreso pochi metri dopo.
Come l’enorme serpentone di Snake che mangia tutti i pallini che incontra e si fa sempre più grosso, così il Team Sky travolge tutti quelli che trova sul suo cammino. A volte li lascia scattare e poi li tiene lì a pochi metri, a bagnomaria, prima di andarli a riprendere. Sembrano quasi giocare con gli avversari, tanta è la differenza di valori in campo.
Anche quando l’Astana ha provato nella tappa di Culoz a sfiancarli da lontano per preparare l’attacco di Fabio Aru sull’ultima salita, gli uomini in nero non hanno mostrato segni di cedimento, e come al solito si sono messi dietro, tranquilli, come a voler lasciarli sfogare un po’. E poi, inesorabilmente, hanno distrutto qualsiasi tentativo di attaccarli con la solita, terrificante tranquillità.
La stessa tranquillità del serial killer dei film horror che tortura le proprie vittime sempre con una calma innaturale.
La stessa tranquillità di chi sa di avere il ciclista più forte nella squadra più forte e lascia che gli altri ci provino, inutilmente.