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Come cambia il calcio a porte chiuse?
16 mar 2020
16 mar 2020
Simone ci ha chiesto se il calcio senza pubblico cambia solo per gli spettatori o anche per i giocatori in campo.
(articolo)
8 min
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Buongiorno a tutti,

premetto che di calcio capisco poco. Non solo arrivo da un paese (la Svizzera) che di calcio capisce poco. Ma sono (ahimè...) anche interista.

Vi scrivo per sottoporvi il seguente quesito.

Ieri sera stavo guardando la partita di Champions PSG–Dortmund. Data la mancanza di pubblico ho trovato la partita noiosa, mancava quel qualcosa in più a cui ormai tutti ci siamo abituati durante le grandi partite (escluso il calcio svizzero ovviamente dato che facciamo fatica ad arrivare a 1000 spettatori talvolta in partite di super league).

Ho pensato che stiamo vivendo un momento storico unico. Vedere un Neymar, un Messi, un CR7 e compagnia bella giocare senza tifo. Qualcosa che al di là degli allenamenti non ci capiterà (speriamo) mai più.

La mia domanda è la seguente. Si dice spesso che il tifo è il dodicesimo uomo in campo, e sicuramente qualcosa fa, non si potrebbero prendere le partite che si stanno svolgendo a porte chiuse per capire se cambia il tipo di gioco anche per chi è in campo e non solo per noi spettatori medi?

Sperando che si capisca quanto chiesto

Ciao

Simone

Risponde Alfredo Giacobbe

Caro Simone,

lo avrai notato anche tu: gli individui e le organizzazioni reagiscono ai periodi di crisi in modo differente tra loro, e con tempi diversi. Il calcio italiano ha provato a resistere adottando misure via via più restrittive prima di fermarsi, mentre quello europeo ha tentennato fino ad arrivare al punto in cui la chiusura era davvero inevitabile.

Nel limbo che si è aperto fra l’emergenza in corso e le lente decisioni della politica sportiva, lo scorso weekend, la Serie A ha sperimentato il calcio a porte chiuse. E così ha fatto l’Europa League nelle partite del giovedì, con Eintracht-Basilea e LASK-Manchester United, fra le ultime giocate prima dello stop definitivo. L’effetto è stato straniante per molti di noi, soprattutto per quanto riguarda il modo con cui facciamo esperienza del mondo, cioè per l’aspetto sensoriale. Come raccontava già Emanuele Atturo nel suo pezzo, l’assenza del pubblico, elemento per molti quintessenziale nella fruizione dello sport sia dal vivo che in TV, ha rivelato per negazione un tappeto sonoro sconosciuto al quale non siamo abituati.

Oltre ai suoni che restituiscono materialità a uno sport che, quand’è giocato su livelli di eccellenza sembra rarefatto tanto è perfetto, stupisce anche la granularità di certe indicazioni restituite dai tecnici ai propri giocatori da bordocampo. Di Biagio, ad esempio, gridava: “Mancino, mancino, mancino”, per mettere in guardia il suo difensore, puntato da Dejan Kulusevski, circa il piede forte dell’attaccante parmense. Conte indicava ad Alessandro Bastoni fino a che altezza del campo voleva che portasse palla, prima di scaricarla sull’esterno o sulla mezzala sul lato forte.

Al di là di come è cambiata la fruizione dello sport di chi è da questa parte dello schermo, è possibile dire se l’assenza di pubblico ha influenzato chi era in campo anche nello sviluppo del gioco? Abbiamo cioè visto un calcio diverso dal solito a porte chiuse? Almeno questo è quello che chiedevi tu, Simone.

Le partite a disposizione, ovviamente, sono troppo poche per rispondere in maniera precisa, e oltretutto si raggruppano tutte in un lasso di tempo breve. Ad esempio non possiamo dire quanto sia pesata l’assenza del pubblico sulla prestazione. Il vantaggio dato dal fattore campo è già diventato via via meno importante (questi sono i dati sul cambiamento del fattore campo nel calcio inglese) e in passato era legato principalmente a due circostanze: la scomodità del viaggio e la spinta dei tifosi.

Le trasferte per i calciatori sono diventate più confortevoli, dispongono di trasporti più veloci e di sistemazioni più confortevoli che in passato. Un paio di anni fa lessi che le due squadre che in Europa avevano la maggiore differenza tra i risultati domestici e quelli fuori casa erano Cagliari e Bastia, che non a caso sono due squadre isolane. Quando lavoravo alla metrica di Expected Goals, che ancora adesso utilizziamo, mi accorsi che le squadre di casa, sotto la spinta del pubblico, generalmente tirano di più. Questo non significa che tirino meglio.

Non possiamo notare differenze rispetto a questi aspetti in assenza di pubblico. Però alcune considerazioni possono comunque essere fatte.

L’impressione generale, che è anche una cosa che potevamo immaginare, è che il pubblico rappresenti una fonte di disturbo nella sfera emotiva dei calciatori. Lo sviluppo del gioco senza pubblico, in molti casi, si è fatto più razionale. Le squadre, cioè, sono sembrate in grado di sviluppare costantemente nel corso della partita quanto preparato in settimana dall’allenatore e dallo staff insieme ai giocatori. Azione dopo azione, i giocatori sono rimasti saldi alle proprie consegne, e hanno tentato di perseguire quanto più a lungo possibile la strategia prefissata.

Non fraintendermi Simone: a nessuno di noi piace il calcio a porte chiuse, e quello che io ho chiamato “disturbo” nella sfera emotiva dei calciatori è esattamente ciò che rende il calcio, beh, il calcio. Però insomma tu mi hai chiesto se secondo noi cambiava, e secondo me è innegabile che cambi.

Prendiamo Milan-Genoa, la partita col risultato più sorprendente del weekend. Il Genoa ha costruito la propria vittoria contro il Milan con due gol nel primo tempo. I rossoblù hanno rispettato il piano partita anche nei momenti più difficili, senza mai dare l’impressione di essere in affanno. Eppure il dominio territoriale dei rossoneri è stato incontestabile: 62% di possesso palla, con il 63% dei tocchi palla giocati nella metà campo avversaria.

I giocatori del Genoa hanno costantemente ricercato lo spazio tra terzino, centrale di difesa e centrale di centrocampo. A destra, Toni Sanabria era invitato ad allargarsi nello spazio lasciato libero da Theo Hernandez. Le avanzate del milanista erano coperte da Biraschi, forte a sua volta dell’aiuto di Behrami sul lato interno del campo. A sinistra, Francesco Cassata saltava dalla linea dei centrocampisti a quella delle punte nelle fasi di attacco statico e cercava sistematicamente l’inserimento in area tra Conti e Gabbia. Sanabria e Cassata sono stati i protagonisti in entrambi in gol, costruiti nell’ambito di una strategia preparata e poi eseguita con continuità.

Ora parliamo di Juventus-Inter. Nel primo tempo ho avuto la sensazione che i calciatori di entrambe le squadre commettessero molti meno errori tecnici e che più in generale facessero scelte migliori. Ogni giocata era legata all’altra, tutti i calciatori in campo, salvo pochissime eccezioni, hanno intessuto una strategia coerente nel tempo. Sembrava la demo di una partita di FIFA, di quelle eseguite sulle console piazzate nelle vetrine o nelle colonnine dei negozi di elettronica: una partita razionale e senza sbaffi, giocata da due avversari sintetici.

I numeri confortano questa suggestione. Prima della partita di domenica scorsa, Juventus e Inter avevano avuto in campionato una media di passaggi riusciti di, rispettivamente, 87,7% e 85%. Nel primo tempo dell’Allianz Stadium, le percentuali di successo dei passaggi erano per entrambe più alte: 92% per la Juventus, 86% per l’Inter. E le percentuali a fine partita non si sono discostate da questi valori.

Lo sviluppo del gioco è rimasto identico fino a quando il punteggio della partita è rimasta fermo sullo 0-0. Il gol ha rotto l’equilibrio tra le due squadre sul piano tattico e, soprattutto, su quello emotivo. Pochi secondi prima del gol dell’1-0 di Aaron Ramsey, c’è stata una giocata che ha attirato la mia attenzione.

Milan Skriniar riceve il pallone dalla mezzala Vecino, alle spalle della quale Lautaro Martinez fa un movimento in profondità per abbassare la difesa. Skriniar non può servire né Vecino né Lautaro, per lo schermo offerto dalla linea di centrocampo della Juventus. Avrebbe potuto giocare su Candreva, che è largo alla sua sinistra e che richiama la sua attenzione. Oppure avrebbe potuto ricominciare l’azione con un passaggio all’indietro. Skriniar decide invece di giocare una palla in profondità, un cross dalla trequarti che vola sopra la testa di Lukaku. È la prima giocata fuori dal “book” di uno dei calciatori in campo. Szczesny esce in presa alta e fa partire l’azione che si conclude col gol juventino 35 secondi dopo.

Non sto collegando, in un rapporto di causa-effetto, la scelta errata di Skriniar al gol subito. Però il fatto di aver incassato una rete dopo la prima lettura sbagliata, può aver contribuito a sbilanciare il piano della partita con ancora maggiore forza. Dal gol in poi, infatti, la partita cambia irreversibilmente. La Juventus sale di livello: gestisce il pallone, regola i ritmi della partita a suo piacimento fino ad arrivare alla rete del raddoppio, apparentemente senza ansie. Cioè fa quello che non era mai riuscita a fare nelle situazioni di vantaggio avute fin lì in stagione. Al contrario l’Inter perde il filo logico del gioco: le distanze aumentano, le punte restano tagliate fuori dal gioco.

Lo psicologo dello sport Alberto Cei, in una breve intervista alla Gazzetta dello Sport del 6 marzo, ha detto che il silenzio degli spalti vuoti potrebbe attivare nell’atleta la modalità allenamento e portare a cali di concentrazione. Solo gli atleti più evoluti sono “autonomi”, cioè in grado di svincolare la propria prestazione dal contesto esterno. I giocatori della Juventus, più di quelli dell’Inter, hanno dimostrato di possedere un certo grado di questa autonomia.

A proposito di “modalità allenamento”, una giocata da torello stava per costare la partita alla SPAL. I ferraresi provano ad uscire in palleggio, nonostante siano chiusi dalla linea laterale e dai giocatori del Parma in superiorità numerica. Missiroli riceve una palla alta e pensa a una giocata molto ambiziosa, un passaggio di petto a un compagno che è distante una quindicina di metri. Ti chiedo: Missiroli, in altre condizioni e con maggiore pressione, avrebbe tentato la stessa giocata?

Forse l’esperienza delle porte chiuse – che ripeto: tutti avremmo voluto evitare – almeno è servita a scoprire che il livello di professionismo tra i calciatori che militano in Serie A è diverso, forse è generalmente più alto di quanto immaginassimo, è sicuramente molto alto in alcuni di loro.

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