Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Jacopo Piotto
Come sarebbe la Serie A a 16 squadre
24 mag 2017
24 mag 2017
I vantaggi di tagliare quattro squadre dal campionato italiano.
(di)
Jacopo Piotto
(foto)
Dark mode
(ON)

Nel 2007 Rino Tommasi aveva proposto all'interno della sua rubrica “Fair Play” diversi cambiamenti per migliorare la qualità della Serie A: dall’introduzione dei playoff a fine campionato all’abolizione del pareggio, dalla ripartizione equa dei diritti TV all'introduzione del tempo effettivo. Tra le sue idee, quella che più mi è rimasta impressa è quella di ridurre il numero delle squadre partecipanti alla Serie A da 20 a 16. Non è certo un’idea nuova, anzi, da anni ormai si discute dell'opportunità di tagliare il numero delle partecipanti alla massima serie, e a volte viene anche sbandierata come punto elettorale delle candidature dei presidenti di Federazione e Lega. Ma fino ad adesso nessun provvedimento è stato preso in questo senso e il campionato per molte squadre continua a finire a marzo, con molte giornate di anticipo.

 

 



 

Se si escludono gli albori del girone unico e un breve periodo post-bellico, la Serie A si è praticamente sempre giocata con un numero di squadre che oscillava tra le 16 e le 18. Le cose però sono cambiate a partire dal campionato 2004/2005, il primo a venti squadre.

 

Il cambiamento ebbe origine nell’estate del 2003 per via del cosiddetto “caso Catania”. In una partita di Serie B 2002/2003 contro il Venezia, il Catania schierò Vito Grieco, in realtà squalificato per quel match. Il Venezia ricorse alla giustizia sportiva ed ottenne il 2-0 a tavolino che le consentì di salvarsi, mentre per il Catania perdere i punti di quella partita avrebbe portato alla retrocessione.

 

Il Catania si appellò quindi al TAR, e fu seguita rapidamente da altre squadre che cercarono di tutelare le loro ragioni approfittando della situazione confusa (lo stesso Catania, inoltre, ricevette una vittoria a tavolino per motivi analoghi contro il Siena). In attesa delle sentenze del Tribunale, i primi turni di Coppa Italia slittarono e la FIGC si trovò costretta a rimediare annullando tutte le retrocessioni tranne quella del Cosenza, che fallì nello stesso anno.

 

Il Cosenza fu sostituito dalla doppia promozione per meriti sportivi della Fiorentina, che era ripartita dalla C2 e l'aveva vinta l'anno precedente. La Serie B iniziò con 24 squadre, tra proteste dei tifosi e scioperi che portarono allo spostamento delle prime due giornate del

. A stagione già in corso, sempre la FIGC stabilì che sei squadre sarebbero state promosse contro le quattro retrocessioni previste della massima serie. La Serie A 2004/2005 ricevette quindi due squadre in più, ma ridusse inspiegabilmente il numero di retrocessioni a tre nonostante la classifica più lunga.

 

Il primo torneo con la nuova formula fu sorprendentemente equilibrato, con soli 4 punti a separare la Roma ottava e qualificata in Coppa UEFA, e il Brescia diciannovesimo e retrocesso. Ma nelle stagioni successive - tralasciando per semplicità Calciopoli, che comunque ha poco a vedere con questo discorso - tutti i difetti del nuovo formato sono iniziati ad emergere. Le premature salvezze e retrocessioni hanno anticipato di molto la fine del campionato di molte squadre di media grandezza, pregiudicandone la competitività; mentre la aumentata presenza di club con mezzi tecnici insufficienti o in difficoltà finanziarie hanno generato sempre più dubbi su possibili gare combinate.

 

Per quanto sia parziale prendere come termometro della competitività di un campionato i soli risultati, che non bastano comunque da soli a spiegare l’inefficienza del sistema a 20 squadre, basta ricordare in questa sede che è dal 1999 che una squadra italiana non si presenta in finale di Europa League. Negli 11 anni precedenti la Serie A aveva mandato in finale ben 14 squadre, con addirittura 8 vittorie, mancando solo una edizione. E questo per andare oltre agli exploit, importanti ma isolati, di Inter e Juventus in Champions League negli ultimi anni.

 

 



 

Partendo dal presupposto che in ogni caso la riduzione a 16 squadre non può da sola innalzare la competitività di un campionato, che dipende anche da altri fattori come gli investimenti in giocatori, personale tecnico e infrastrutture, vediamo quali potrebbero essere gli effetti positivi di una riforma simile.

 

Partiamo dagli effetti più logici. Escludendo quattro squadre meno attrezzate la qualità media del campionato si innalzerebbe, rendendo più difficile allungare la classifica. Inoltre, intuitivamente, con meno giornate a disposizione sarebbe anche meno probabile generare distacchi tali per cui alcune squadre raggiungano o falliscano gli obiettivi con troppo anticipo, perdendo motivazioni.

 

Ci sono poi almeno tre tipi di partite che accadrebbero con minore frequenza, e questo a beneficio del torneo. Verrebbero limitate le gare a senso unico tra le formazioni di testa e le squadre minori, che sarebbero mediamente più attrezzate delle attuali piccole. Mentre le partite giocate tra squadre di bassa classifica potrebbero avere una qualità migliore di quella che si vede attualmente in Serie A. Infine, sarebbero pochissimi i match in cui non c'è niente in palio, ben rappresentati invece nell'attuale format.

 

Per capire meglio le differenze con la classifica reale, ho simulato una Serie A a 16 squadre con le attuali forze in campo. Ho escluso le 4 squadre che si trovavano in fondo alla classifica (Empoli, Crotone, Palermo e Pescara) e tutti i match da loro giocati contro le altre. Ovviamente considerando solo i match giocati tra le rimanenti 16 c'era qualche squadra che ne aveva qualcuno in più, per cui ho tolto a queste gli ultimi punti in ordine cronologico.

 

Ho scelto di simulare la classifica a tre giornate dalla fine, perché nelle ultime tre anche un torneo equilibrato può facilmente aver emesso dei verdetti definitivi, mentre prima ci si aspetta che non sia così. Perché un campionato rimanga interessante e veramente giocato sino all'ultimo, sarebbe desiderabile, al contrario, che a tre giornate dalla fine quasi niente sia definito in classifica. Chi si fosse già qualificato in Champions dovrebbe essere ancora in corsa per il titolo, chi si è assicurato l'Europa League dovrebbe poter lottare per la Champions e così via. A metà classifica si dovrebbe poter ancora sperare di andare in Europa, mentre a fondo classifica l'assenza di retrocessioni aritmetiche sarebbe ideale. Questo è il risultato della simulazione.

 



 

La premessa nell'analizzare la classifica simulata è che le squadre interessate hanno giocato le loro partite basandosi sulla classifica reale. Alcune hanno quindi lasciato punti per strada per mancanza di motivazioni, mentre altre potrebbero aver giocato meglio proprio per l'assenza di pressione. Tenendo quindi presente che se il campionato 16/17 fosse stato davvero a 16 squadre la classifica non sarebbe esattamente questa, si possono comunque tirare delle somme.

 

Nella parte bassa della classifica reale ci sono già due retrocessioni certificate e solo tre squadre che non sono ancora matematicamente salve. Questo significa che ci sono ben 7 formazioni che a tre giornate dalla fine non hanno né problemi né obiettivi, e alcune di loro sono in questa situazione già da molti turni (anche se non aritmeticamente).

 

Nella classifica simulata, invece, il Torino, decimo, potrebbe teoricamente ancora sperare di arrivare sesto. Sarebbe un obiettivo improbabile, ma questo significa che almeno fino a due giornate prima si sarebbe sentito ancora in corsa. Al contrario, il Chievo, solo una posizione più in basso, non sarebbe ancora ufficialmente salvo. In questa particolare stagione, ci sarebbero tre squadre a pari punti in fondo alla classifica, staccate di 4 dalla zona salvezza. Questo significa che sono ancora tutte potenzialmente in corsa per salvarsi, e che basterebbe deviare di poco i risultati perché la differenza sia ancora minore tra terzultima e quartultima.

 

Nella parte alta i distacchi sono più simili alla classifica reale, ma bisogna notare comunque alcune cose: la Juventus continuerebbe ad avere il titolo in pugno, con un distacco limitato però a sei punti. Non sembra una grande differenza, ma la vittoria della Roma nella giornata successiva sarebbe stata sufficiente a posticipare la vittoria del titolo bianconero all'ultimo turno. Tra Lazio, Atalanta e Milan non ci sarebbe niente di deciso, mentre nella realtà la Lazio era già ai gironi di Europa League e all'Atalanta mancava solo un punto.

 

Infine è utile ricordare come dalla prossima stagione ben quattro squadre si qualificheranno alla Champions League. Questa sarà una spinta naturale indipendentemente dal formato del torneo, ma se fosse davvero a 16 squadre, a tre giornate dal termine è possibile che molti club ambirebbero ancora a quel quarto posto.

 

Questa soluzione non eliminerebbe del tutto la possibilità che una squadra fallisca completamente la stagione, ma potrebbe darle speranza per più tempo. Così come non ci sarebbe la certezza di prevenire le combine, ma si eviterebbe di creare gran parte delle circostanze in cui queste vengono organizzate.

 

 



 

Rendere il torneo più interessante aumentando la qualità delle partite e l'equilibrio in classifica è certamente un beneficio per il pubblico, ma anche le squadre potrebbero trarre giovamento dal calendario ridotto.

 

Anche in questo caso, partiamo dalle cose più ovvie: meno turni da giocare significano più tempo per allenarsi e meno infortuni. Le piccole potrebbero permettersi di tagliare un giocatore per ruolo dalla rosa perché non ci sarebbe bisogno della stessa lunghezza di panchina (magari preferendo il lancio di qualche giovane se proprio ci fosse bisogno), e dirotterebbero così il budget dalla quantità verso la qualità. Le grandi chiaramente non potrebbero fare altrettanto, ma certamente gradirebbero una stagione meno serrata avendo le coppe da giocare.

 

Andiamo un po’ più nel dettaglio. Le date sono quelle della Serie A prossima ventura, con l'aggiunta degli impegni nelle coppe europee e le pause per le nazionali. Una squadra che gioca le coppe probabilmente avrà molti giocatori impegnati in queste gare, e guardando il calendario si capisce come ciascuna di queste formazioni non potrà mai allenarsi a pieno organico per una settimana completa tra il 20 agosto e il 26 novembre, cosa che peraltro accadrà solo due volte entro il 31 dicembre, quando inizia la pausa invernale. Visto dalla prospettiva dei calciatori, significa giocare 29 partite in tre mesi. Il fatto che le settimane dedicate alle nazionali vengano chiamate “pause” a volte ci fa dimenticare che in realtà sono i momenti di maggior stress per gli atleti, che affrontano due partite in quattro giorni, e ci aggiungono magari un viaggio intercontinentale e un doppio adattamento al fuso orario.

 


Le pause tra quarti e semifinali di coppa possono essere spostate agli ottavi (o sedicesimi di Europa League).


 

Con una Serie A a 16 squadre si potrebbero invece eliminare 8 turni rispetto all'attuale calendario. Una scelta intelligente sarebbe toglierli dai periodi di maggiore attività dei calciatori e dai momenti decisivi per i club che giocano le coppe.

 

I primi a sparire, almeno nominalmente, sarebbero i turni infrasettimanali. Dico nominalmente perché invece di far giocare un turno al mercoledì e uno alla domenica, si potrebbe spalmare l'unico rimasto a partire da giovedì. Ne sarebbero felici sia le squadre che giocano in coppa sia le TV che avrebbero più slot di partite in quella giornata così particolare. Per comodità, nel calendario simulato queste giornate hanno il venerdì come giorno principale.

 

Per lo stesso motivo avrebbe senso eliminare i tre turni che seguono le pause per le partite delle nazionali. Ci sono giocatori che disputano gare al martedì sera di qualche fuso orario sudamericano, e non rientrano in Italia prima del giovedì. Le piccole squadre sarebbero felici di avere 7-9 giorni per lavorare in pace, le grandi avrebbero quasi una settimana intera per preparare il turno di coppa successivo.

 

Rimangono due turni da “tagliare” e una possibilità è quella di liberare il calendario intorno a ottavi, quarti o semifinali delle coppe europee, magari dando la possibilità alle squadre coinvolte di scegliere in quale weekend riposare. Questi spazi liberi sarebbero inoltre utili per eventuali recuperi, considerato che negli ultimi anni molti match sono stati rimandati per condizioni atmosferiche avverse. Il Real Madrid, per prendere ad esempio un altro campionato a 20 squadre come la Liga, si è trovato in difficoltà nel reperire una data per recuperare la partita di campionato contro il Celta Vigo.

 

Il calendario corto avrebbe quindi benefici per tutti: i calciatori che eviterebbero il sovraccarico, le piccole che potrebbero risparmiare, le grandi che avrebbero il tempo di preparare al meglio tutte le loro partite.

 

 



 

Della bontà di una riforma simile bisogna però convincere le televisioni, che in caso contrario metterebbero a rischio le casse dei club visto che da anni i diritti TV sono il principale carburante finanziario delle società italiane. L'annuale analisi di Deloitte anche nel 2016 ha confermato la dipendenza dei club nostrani dai soldi delle televisioni, che compongono il 61% delle

(Premier League 53%, Liga 48%, Ligue1 44%, Bundesliga 31%), e non è quindi una sorpresa il fatto che la loro ripartizione sia l'argomento più dibattuto all'interno della Lega Calcio.

 

Partendo da questo presupposto, si può capire come la principale paura dei club di Serie A sia perdere una parte di questi introiti. Con una Serie A ridotta le piccole squadre rischierebbero di passare meno tempo nel torneo, inizialmente per un maggior numero di retrocessioni e successivamente per la maggior competitività del campionato. Per tutte quelle che non rischiano di retrocedere, invece, la preoccupazione è che le televisioni, che attualmente pagano circa un miliardo di euro per i diritti TV, decidano di presentare offerte minori in virtù del minor numero di partite. Se 380 partite valgono un miliardo di euro, 240 partite (ovvero 8 gare per 30 giornate) in proporzione varrebbero 630 milioni.

 

Questa lettura, tuttavia, va aggiustata con due considerazioni: la prima, piuttosto ovvia, è che a fronte di un presunto valore minore dei diritti TV totali, le squadre a dividersi i ricavi sarebbero meno. Immaginando per semplicità che la ripartizione sia completamente equa, 1000 milioni divisi tra 20 club fanno 50 a testa. I 630 milioni stimati in caso di modifica del formato del torneo sarebbero da dividere tra sole 16 società, ovvero circa 39,5 a testa. Nessuno accetterebbe però una perdita media del 20%.

 

Il secondo punto, decisivo, è che per i broadcaster il dato importante non è tanto il numero di partite, quanto quello degli slot televisivi a disposizione: due partite in orari diversi sono meglio che tre in contemporanea. Si pensi ad esempio come SKY promuova gli incontri di Serie A che ha in esclusiva nei confronti di Mediaset Premium spesso in slot isolati durante il weekend. L'attuale format televisivo prevede nella maggior parte dei casi cinque slot per giornata (due al sabato, tre alla domenica), e un eventuale passaggio a 16 squadre certamente non risulterebbe in una diminuzione degli stessi. Oltre ai quattro match di cartello isolati, ne rimarrebbe almeno uno con una big impegnata alla domenica pomeriggio, che sommato alle altre sfide e a programmi come Diretta Gol dovrebbe consentire alle televisioni di mantenere più o meno lo stesso pubblico in quella fascia oraria.

 


A sinistra il calendario della 36a di campionato, a destra come sarebbe a 16 squadre: una partita interessante in ogni slot.


 

Facendo i conti con questo parametro, gli slot a disposizione in tutta la stagione passerebbero da 190 (5 per 38 giornate) a 150 (5 per 30). Se 190 slot valgono 1000 milioni, 150 in proporzione dovrebbero generare offerte per almeno 790, che suddivisi tra 16 squadre fanno 49,34 milioni a testa in media. La perdita media sarebbe dell'1.32%, facilmente contrastata da tutti i fattori già sottolineati in precedenza: meno gare ininfluenti, campionato più equilibrato in tutte le zone della classifica e un appeal medio superiore per ogni partita trasmessa.

 

Per la stagione 2016/2017, ad esempio, Mediaset si è accontentata di poter mandare in onda le squadre più forti, pagando 373 milioni per 248 gare, quindi ci si potrebbe aspettare da SKY un'offerta simile in caso di passaggio al formato a 16 squadre, visto che il numero di match sarebbe comparabile (240). Raddoppiando quanto pagato da Mediaset si hanno 746 milioni, una cifra molto vicina a quella riportata poco sopra.

 

 



 

Per quanto un’ipotesi simile non prenda in considerazione la ripartizione reale dei diritti TV, che non è equa tra tutte le squadre di Serie A e che potrebbe quindi portare a perdite maggiori per alcuni club, non bisogna nemmeno dimenticare i benefici economici a lungo termine per l’intero campionato. Con una Serie A più competitiva, infatti, le TV andrebbero a beneficiare di un “pacchetto calcio” migliore di quello attuale (ad un costo totale minore), e questo anticipa tutti i bonus a cascata che derivano da una superiore qualità del prodotto, come la commercializzazione dei diritti all'estero e il merchandising.

 

Tutto questo, potenzialmente, a vantaggio anche della Serie B: il secondo livello italiano avrebbe a sua volta bisogno di una riforma per snellirsi, ma anche solo con la modifica della massima serie diverrebbe un torneo più prestigioso: già adesso, e ogni anno, ci sono squadre storiche che partecipano alla Serie B. Con quattro “potenziali squadre di Serie A” in più, il torneo si avvicinerebbe molto ai livelli di qualità della Championship.

 

Era stato ancora Rino Tommasi ad auspicare che la serie cadetta fosse divisa in due gironi più piccoli e con calendari ridotti. In realtà è successo il contrario: un mega-girone con l'aggiunta di possibili playoff e playout, il cui interesse si limita ai soli tifosi delle squadre partecipanti e la cui competitività è fortemente limitata dalla lunghezza della classifica.

 

Certamente la B non può riformarsi da sola se la sorella maggiore continuerà a non cambiare. Per tornare grande, alla Serie A non bastano le prestazioni della Juventus in Europa, o i 4 posti garantiti in Champions, o i soldi delle nuove proprietà cinesi e americane. Serve qualcosa in più. Anzi, probabilmente qualcosa in meno.

 

 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura