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Davide Iori
Come salvare lo sci dalla crisi climatica?
13 dic 2023
13 dic 2023
Ne abbiamo parlato con Julian Schütter, sciatore austriaco che sta provando a cambiare le cose.
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Davide Iori
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IMAGO / Mika Volkmann
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Lo scorso febbraio lo sciatore austriaco Julian Schütter ha deciso che non valeva la pena aspettare oltre. La stagione 2022/2023 stava facendo registrare il record di gare annullate, la maggior parte per mancanza di neve: otto su quarantatre per gli uomini, cinque su quarantadue per le donne, considerando solo le discipline della Coppa del Mondo di discesa di sci. La lettera aperta che aveva scritto era già pronta e portava la firma di 442 atleti, tra cui anche snowboardisti, freestyler, fondisti e saltatori. Schütter l'ha quindi mandata alla Fédération Internationale de Ski (FIS), ente nato sulle nevi di Chamonix nel 1924, come gesto simbolico per chiedere un cambiamento di rotta rispetto a una traiettoria che potrebbe portare gli sport invernali a scomparire.

Open Letter to FIS è un documento che da una parte mette in guardia la federazione verso il suo già incerto futuro e dall’altra le chiede di agire in prima persona per ridurre le proprie emissioni facendo di più rispetto a quanto messo in atto fin ora o a quanto si prevede di fare nei report di sostenibilità, reputati non affidabili. Una delle richieste principali della lettera è quello di abbattere le emissioni prodotte dalle discipline invernali entro il 2035, ricordando l’impegno preso dalla FIS con la firma della UN Sports for Climate Action framework, un documento con cui tutto il mondo dello sport si è impegnato (almeno a parole) a rispettare gli accordi di Parigi del 2015.

Ho contattato Julian Schütter per parlare della sua iniziativa, in un’intervista avuta a fine ottobre, la settimana prima dell’inizio di quella che già si annunciava la stagione più travagliata di sempre. Effettivamente la stagione in corso si sta rivelando ancora più complicata di quella precedente, anche se per ragioni inaspettate, almeno nel 2023. In maniera beffarda e a differenza dello scorso anno, non è stata infatti la mancanza di neve ad ostacolare lo svolgimento di questo inizio di stagione, ma molto più spesso il contrario. Fino ad ora, tra fine ottobre ed inizio dicembre, per gli uomini le gare annullate per maltempo o impraticabilità della pista sono state sette su nove; sta andando meglio alle donne con la sola cancellazione delle gare in programma a Zermatt-Cervinia il 18 e 19 novembre, evento che meriterebbe un pezzo a parte (ci arriveremo).

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Nato a Schladming, in Austria, nel 1998, Schütter è alla sua seconda stagione tra i discesisti di Coppa del Mondo. Lo sciatore austriaco si definisce esplicitamente un’atleta-attivista e ne rivendica il suo ruolo, sperando che altri possano seguirlo e aiutarlo in una campagna che non è certo solo sua. Per questa ragione Protect Our Winters, il comitato che sta supportando Schütter nel portare avanti la campagna, ha scelto di aprire la sottoscrizione della lettera a tutti gli appassionati che condividono la causa, che possono firmare la petizione.

Grazie a questa iniziativa, Schütter sta assumendo un ruolo significativo all’interno del mondo dello sci. Ad oggi sono oltre 500 gli atleti che hanno firmato la lettera. Lo sciatore austriaco mi ha raccontato di aver ricevuto da parte di molti colleghi ringraziamenti per il suo impegno. Certo, non è mancato chi si è mostrato disinteressato, come del resto la FIS stessa, che ha risposto in maniera approssimativa alle richieste avanzate.

«L’idea di scrivere una lettera aperta alla FIS mi è venuta nella primavera del 2022», mi ha detto Schütter «Ho iniziato a lavorarci più intensamente lo scorso novembre grazie anche alla lettura di un capitolo del libro Tools for grassroots activists (Patagonia, 2016). E dopo un periodo di ricerche su quanto stesse facendo la FIS in termini di sostenibilità, ho realizzato che quanto avevo scoperto non era soddisfacente».

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Il problema dei calendari

Una delle proposte pratiche che è stata avanzata nella lettera è quella di mitigare l’impatto del "circo bianco" rivedendo i calendari delle gare per adeguarli alle mutate condizioni climatiche. Come specificato anche nella lettera, è anche una questione di tutela dell’immagine dello sci, sempre più a rischio ogni anno che passa. Nessuno vuole che lo sci venga abbinato ad impietose immagini televisive di bianco artificiale su prati sbiaditi, per non parlare dell’impatto ambientale che implica produrre quella lastra di ghiaccio opaca.

Adattare i calendari potrebbe sembrare un intervento logico e facile da implementare, ma ovviamente le cose non sono così semplici. Non va solo completato il tetris geografico di date e gare, ci sono in ballo anche anni di tradizionali appuntamenti da rispettare e gli interessi delle località ospitanti da accontentare. La proposta di Schütter prevede comunque una compressione della stagione attuale, con l’inizio delle gare spostato da fine ottobre a fine novembre ed il termine ad aprile, e una ridistribuzione più logica a livello geografico di alcune gare, con particolare attenzione alle trasferte negli Stati Uniti. Attualmente sono due, e diversificate tra discipline lente e veloci (quindi con atleti diversi coinvolti), e nonostante questo muovono comunque una parte consistente del circo che orbita attorno allo sci, a partire dallo staff degli atleti e i media.

Se l’inizio della stagione venisse spostato di un mese, dice Schütter, si potrebbe evitare la preparazione estiva sui ghiacciai, che ormai si svolge in un contesto pericoloso e porta ad un aumento del rischio di infortuni dato che la neve non è abbastanza solida. Al tempo stesso non si avrebbe la necessità di volare nell’emisfero sud in estate per essere pronti a gareggiare a fine ottobre, evitando così le emissioni annesse. La proposta di Schütter prevede anche uno stop agli allenamenti da parte della FIS in modo da non rendere necessarie le trasferte intercontinentali e lo sfruttamento ulteriore dei ghiacciai da parte di chi le trasferte in Argentina, Chile o in Nuova Zelanda non può permettersele e quindi rimane in Europa.

A maggio di quest'anno, a tre mesi dall’invio della lettera, la FIS ha presentato il calendario per la stagione 2023/2024, dando poco credito alle richieste ricevute dei suoi tesserati. Lo spostamento di una settimana dell’apertura delle gare non è stata sufficiente a salvaguardare lo svolgimento della gara sul ghiacciaio austriaco di Sölden che sarebbe dovuta svolgersi il 28 e 29 ottobre 2023, né ha portato fortuna alla discussa prima gara transfrontaliera della storia, con cancelletto in Svizzera a 3700 metri di altitudine e traguardo in Italia a 2835 metri (cancellata per condizioni meteo sfavorevoli).

La stagione è iniziata, come da tradizione, nel clima caldo ottobrino di Sölden, con gli attivisti di Letzte Generation Austria che hanno effettuato un blocco stradale sulla via che portava alle piste. Ovviamente la protesta era diretta al governo austriaco, e chiedeva azioni a largo spettro contro la crisi climatica, ma gli attivisti denunciavano anche i lavori delle ruspe in azione sulle rocce spoglie del ghiacciaio nel tentativo di racimolare la poca neve rimasta e preparare la pista per l’apertura della stagione. La stessa Letzte Generation Austria ha compiuto un’azione più invasiva il 18 novembre a Gurgl in Tirolo, nell’unica gara fino ad ora disputata dagli uomini, facendo irruzione al traguardo durante la seconda manche del norvegese Henrik Kristoffersen, che non l’ha presa affatto bene. Proprio Kristoffersen, dopo l'ultima gara maschile annullata a Val d'Isere (ancora maltempo), si è tra l'altro lamentato di come i cambiamenti introdotti per adeguarsi alle nuove temperature abbiano quest'anno contribuito a far gareggiare gli uomini solo due volte: «A Sölden può capitare e a Beaver Creek è stata sfortuna, ma mettere gare a 3800 metri su un ghiacciaio a novembre... non serve essere uno scienziato per capire che è complicato».

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«Capisco la rabbia degli atleti», mi ha detto Schütter riguardo a queste azioni di protesta «Ma al tempo stesso capisco anche chi è spinto a realizzare questi atti estremi. Se i politici facessero il loro lavoro forse queste proteste non sarebbero necessarie. Parte della rabbia andrebbe indirizzata anche verso di loro».

 

Anche la gara di Zermatt/Cervinia ha sollevato le critiche delle associazioni ambientaliste svizzere, che si sono rivolte alle autorità del cantone Vallese per denunciare l’invasività dell’intervento ambientale in atto per la preparazione della gara. Le immagini delle ruspe a tremila metri hanno generato sentimenti contrastanti. Il francese Alexis Pinturault, ad esempio, ha scelto di non correre la gara, secondo lui illogica dal punto di vista ecologico. Non si è parlato espressamente di “boicottaggio”, ma come lui altri cinque atleti austriaci hanno scelto di non presentarsi al via, qualora si fosse effettivamente gareggiato.

La gara è nata per suggellare l’unione del carosello sciistico di Cervinia in Italia con quello di Zermatt in Svizzera attraverso la realizzazione di un nuovo impianto a 3800 metri appena inaugurato. L’evento, fortemente pubblicizzato, era stato già cancellato lo scorso anno per una inusuale mancanza di neve nonostante le elevate altitudini. Ed è in qualche modo significativo che quest'anno sia stato annullato per il motivo opposto, cioè l'eccesso di neve.

L'impegno degli sciatori

In tutto questo la posizione degli atleti italiani è ambivalente. Sofia Goggia, ad esempio, ha dichiarato che la traiettoria intrapresa è preoccupante pur non figurando tra i 20 italiani firmatari della lettera aperta alla FIS. La campionessa di Bergamo comunque non ha celato le sue perplessità sull’attuale calendario che costringe le squadre a trasferte intercontinentali. Le stesse squadre di discesa italiane, d'altra parte, anche quest’anno hanno scelto due mete sudamericane per essere pronte ai cancelletti di fine ottobre. Gli atleti hanno trascorso parte del precampionato tra le nevi del Cerro Castro in Argentina - dove gli impianti di Ushuaia nella Terra del Fuoco non superano i 1057 metri di altitudine e le condizioni non sempre sono perfette, come ha detto la stessa Sofia Goggia in un’intervista uscita sulla Gazzetta - e la località di La Parava-Valle Nevado a meno di un’ora e mezzo di auto da Santiago del Cile. Chi è rimasto in Europa (gli slalomisti) si è rinchiuso al fresco, a Peer in Belgio, in uno degli undici Ski-dome disseminati tra Paesi Bassi e Belgio, strutture ad altissimo impatto ambientale rivalutate come opzioni green in un'epoca in cui si cerca di sfruttare ciò che rimane di ghiacciai allo stremo.

Gli sciatori sembrano vivere questa condizione paradossale, di essere stati tra i primi a notare a occhio nudo gli effetti della crisi climatica e allo stesso tempo di essere sempre più dipendenti da essa per lo svolgimento del proprio sport. Non stupisce insomma che la sensibilità sul tema sia più spiccata che in altre discipline. «La prima volta che mi sono reso conto che vi era qualcosa di strano avevo sette anni», mi ha detto Schütter «Mi stavo allenando con il mio sci club a Dachstein, un ghiacciaio vicino casa. Ho notato dei pilastri in cemento e dei cavi scoperti emergere dalle rocce. Ero solo un bambino, ma mi sembrava strano. Ho chiesto allora al mio allenatore di cosa si trattasse, e lui mi ha detto che il ghiacciaio si stava ritirando. Ovviamente a sette anni non ho pensato al cambiamento climatico come spiegazione, ma il fatto che la neve non coprisse più le creazioni dell’uomo mi ha fatto pensare ci fosse qualcosa fuori posto. Sono cresciuto sciando sempre negli stessi comprensori e sono stato testimone del loro cambiamento».

Oggi i mutamenti sono visibili anche ai semplici appassionati e persino in Italia, dove certo lo sci non ha la rilevanza mediatica che ha in Austria, dove è uno degli sport nazionali. D'altra parte, l’innalzamento medio delle temperature sulle Alpi è in atto da almeno tre decenni e non accenna a fermarsi, con previsioni per il 2050 che stimano un ulteriore aumento di due gradi. Ovviamente buona parte di questo aumento non è imputabile allo sci ma inevitabilmente ha ripercussioni evidenti su chi lo pratica o chi decide anche solo di viversi la montagna, come si dice. A fare da sfondo alle escursioni degli appassionati vi sono disseminati sui monti italiani ben 138 impianti temporaneamente chiusi e 249 ormai dismessi. Sono numeri destinati a salire. Pensare di mantenere aperti degli impianti nelle fasce montane al di sotto dei 1700 metri è infatti un azzardo economico e molti chiudono, mentre altri cadono direttamente in disuso, e altri ancora vengono messi all’asta (come capiterà per Campitello Matese, in Molise).

Il tema inevitabilmente quindi ha fatto breccia anche in Italia, dove un'altra atleta piuttosto attiva è Federica Brignone, la sciatrice ha vinto quasi tutto in carriera ed è seconda solo ad Alberto Tomba nel conteggio dei podi. La campionessa dal 2017 porta avanti il progetto personale Traiettorie Liquide, una campagna dai toni artistici volta alla sensibilizzazione e alla salvaguardia dell’ambiente. Al Fisi Media Day di Milano – una sorta di presentazione delle squadre maschili e femminili ma in versione glamour – Brignone ha dichiarato «il problema è evidente soprattutto sui ghiacciai estivi, dove sciavo da ragazzina adesso non ci sono più piste ma solo la nuda roccia». Anche la campionessa statunitense Michaela Shriffin, che detiene il record di 87 vittorie in Coppa del Mondo, si è dimostrata sensibile al tema, ed assieme al suo fidanzato norvegese Aleksander Kilde hanno firmato la lettera alla FIS lo scorso febbraio. Ora entrambi contribuiscono ad amplificarne il messaggio, almeno a livello comunicativo.

Appelli, gesti che per lo sci non sono più né un tabù né una moda. Più che altro un’esigenza.

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