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Alec Cordolcini
Come l'Olanda è tornata grande in Europa
18 mag 2022
18 mag 2022
C'entra un nuovo pragmatismo e l'influenza del calcio tedesco.
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Alec Cordolcini
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Nel ranking UEFA 2022 l'Olanda si è classificata al secondo posto alle spalle dell'Inghilterra, totalizzando 19.200 punti. Un risultato che potrebbe essere ulteriormente incrementato dalla vittoria del Feyenoord nella finale di Conference League, vent'anni dopo l'ultimo successo olandese in una competizione europea (la Coppa UEFA, vinta sempre dal Feyenoord, in finale sul Borussia Dortmund). Al di là di come vada la finale contro la Roma, comunque, l'Olanda calcistica ha già vinto.


 

Solo quattro anni fa, l'Olanda occupava la posizione numero 13 del ranking generale, con prestazioni in caduta libera che, nei momenti peggiori, lambivano l’umiliazione. È toccato a tutti i club, ad ogni livello: l'Ajax eliminato dai preliminari di Champions League 2016-17 dal Rostov con un complessivo 2-5;  il PSV Eindhoven sconfitto alle eliminatorie di Europa League 17-18 dall'Osjek; il Feyenoord travolto 4-0 sul campo degli slovacchi del Trencin nei preliminari della stessa competizione; l'Utrecht, una forza media della Eredivisie, mandato a casa del Differdange al secondo turno dell’Europa League 2013-14. Una via crucis che potrebbe continuare attraverso la citazione di eliminazioni magari meno clamorose, ma altrettanto sconfortanti.


 

Trovare quindi l'Olanda il prossimo anno in sesta posizione nel ranking UEFA, tra Francia e Portogallo, equivale a un trofeo per il movimento calcistico del Paese. Anche perché lo scoglio dei 19.000 punti – che, per rendere l'idea del punteggio, il calcio italiano non raggiunge dal 2014-15 quando mandò la Juventus in finale di Champions (persa contro il Barcellona) e due squadre, Napoli e Fiorentina, in semifinale di Europa League – non è stato superato grazie alla cavalcata solitaria della propria squadra di punta, come accaduto nel 2018-19 dall'Ajax semifinalista di Champions, ma è frutto di una prestazione corale alla quale hanno contribuito tanto la squadra di Amsterdam, quanto il citato Feyenoord finalista in Conference League, quanto pure il Vitesse, capace di qualificarsi a scapito del Tottenham alla fase a eliminazione della stessa coppa (certo, anche per via della sconfitta a tavolino della squadra di Conte con il Rennes per via di un focolaio covid).


 

Un exploit figlio di un cambiamento culturale ancora prima che calcistico. Il calcio olandese, tanto fecondo nei suoi momenti migliori quanto autoreferenziale in quelli peggiori, si è adattato al mutare dei tempi. Un processo faticoso, specialmente quando si è trattato di mettere in discussione alcuni principi che rappresentano le peculiarità di una scuola che ha scritto pagine importanti nella storia del pallone. Un cambiamento ovviamente aiutato dalla nascita di una nuova competizione, la Conference League, creata con un preciso doppio fine: agire da paracadute per i campioni nazionali della classe media (nei lavori preparatori fu preso come esempio il Paok Salonicco vincitore del campionato greco 18/19 da imbattuto, ma sconfitto sia nel preliminare di Champions che in quello di EL e, di fatto, già fuori dall’Europa in estate), e garantire maggiore competitività alle leghe medio-piccole, progressivamente marginalizzate da un sistema calcio europeo economicamente sempre più elitario. Oltre il 60% dei 19.200 punti raccolti dall'Olanda, infatti, proviene dalla Conference League, ma ad essere cambiati sono la filosofia e l'approccio delle sue squadre a livello internazionale. Perché, in assenza di investimenti comparabili a quelli delle cinque principali leghe europee, anche una Jut en Jul competitie (definizione di Louis van Gaal liberamente traducibile come "torneo Cip e Ciop") come la Conference League sarebbe stata l'ennesima fonte di delusioni senza idee e metodologie adeguate al contesto contemporaneo.


 

Il rafforzamento del calcio olandese ha riguardato tutti i livelli. Quest’anno il tecnico del PSV Roger Schmidt ha fatto sorridere gli addetti ai lavori quando affermò che il neopromosso Go Ahead Eagles era stato “il miglior avversario affrontato finora in Eredivisie”. Ma il tecnico tedesco non stava scherzando. Cresciuto in una cultura calcistica diversa da quella olandese, Schmidt è abituato a giudicare le squadre partendo dalla loro struttura difensiva, e gli uomini di Kees van Wonderen avevano mostrato diversi elementi che lo avevano colpito. In primo luogo la disciplina tattica, unita a forza fisica e ritmi alti, il tutto declinato in un 5-3-2 che aveva permesso agli Eagles di uscire due volte imbattuti contro l'Ajax capolista. In un paese dove il 4-3-3 è un’istituzione fedelmente seguita tanto da chi lotta per il titolo quanto da chi deve evitare la retrocessione, una squadra brillante e capace di salvarsi senza problemi come il Go Ahead Eagles rappresenta un chiaro segnale: si può deviare dal grande dogma del calcio olandese ottenendo comunque buoni risultati. Una flessibilità che rappresenta una decisa rottura con il passato, soprattutto perché proveniente dalla base del movimento e non dall’élite. Nel 2008-09 Van Gaal vinse il titolo con l’Az Alkmaar proponendo un 5-4-1, ma la sua fu considerata l’impresa di un genio della panchina e non fece scuola. Cinque anni dopo, infatti, oltre il novanta per cento delle squadre di Eredivisie continuava a giocare con il 4-3-3.


 


A febbraio i Go Ahead Eagles hanno battuto l'Ajax per 2-1. 


 

La vera svolta è avvenuta con l’arrivo di Erik ten Hag sulla panchina dell’Utrecht. Con il suo 4-4-2 alternato al 5-3-2, il nuovo allenatore del Manchester United è stato, come scritto dal settimanale Voetbal International, “un automobilista che decide di prendere una scorciatoia durante un ingorgo, portando gli altri guidatori a chiedersi: continuiamo a proseguire diritti o proviamo una strada alternativa?”. L’Utrecht di Ten Hag ha rappresentato un momento di rottura importante, perché proveniente da una società medio-piccola, la cui ambizione massima è un posto in Europa League. Il modo in cui la piccola squadra olandese tenne testa a una corazzata economica quale lo Zenit di Roberto Mancini nei play-off della stagione 17-18, uscendo sconfitto a San Pietroburgo solo ai supplementari dopo aver vinto in casa, ha lasciato il segno.


 

Quest'anno 11 delle 18 squadre di Eredivisie hanno schierato una difesa a cinque almeno una volta in stagione. La maggior flessibilità aiuta tanto nel contesto europeo quanto in quello domestico. In quest’ultimo caso l’esempio più recente è il Vitesse di Thomas Letsch, ennesimo tecnico tedesco di scuola Red Bull, quarto lo scorso anno e autore di un’ottima campagna di Conference League. La squadra di Arnhem è stata camaleontica, adottando soluzioni diverse secondo l’avversario. A Londra ha sfiorato una clamorosa rimonta (da 3-0 è finita 3-2), dall’Olimpico è uscita con un pareggio e tanti rimpianti per le occasioni da gol fallite in Olanda. Soprattutto, però, il Vitesse è stato sempre in partita, pur affrontando squadre costruite con budget 10-20 volte superiore al proprio.


 

Storicamente le squadre olandesi sono andate spesso in difficoltà in Europa contro avversari che usavano stili di gioco inediti per la Eredivisie. “Quando nel 1994 il mio Ajax affrontò il Parma”, ricorda Van Gaal, “si trovò per la prima volta di fronte una squadra molto strutturata in fase difensiva, che proponeva un 5-3-2 per il quale i miei giocatori non erano stati adeguatamente preparati dal sottoscritto. Infatti fummo eliminati. Il Parma è stato un momento di apprendimento molto importante per me come allenatore”. Il principale ostacolo da superare è stato di natura psicologica. Nessuno metteva in discussione i dogmi del 4-3-3 e del possesso palla, nemmeno a fronte di ripetute debacle. Lo si capiva anche dalle dichiarazioni post-eliminazione dei tecnici delle grandi squadre olandesi, da Frank de Boer a Philip Cocu.


 

Quando l’Ajax dell’ex CT della nazionale oranje uscì ai preliminari contro il Rapid Vienna, ad esempio, De Boer lamentò che gli avversari avevano parcheggiato due autobus davanti alla porta. Concetto ribadito al termine di un 2-2 in EL contro il Celtic, in un girone con Fenerbahçe e Molde che la squadra olandese non riuscì a superare: “È frustrante controllare il gioco e vedere gli avversari segnare”. Sulla stessa lunghezza d’onda si era sintonizzato Cocu dopo l’uscita del PSV contro l’Osijek: “Fallimento? No, perché abbiamo giocato in modo dominante, con un possesso palla di oltre il settanta per cento”. Un processo involutivo, frutto di una mentalità sclerotizzata priva di autocritica che andava oltre il rammarico per qualche occasione sprecata. Le olandesi uscivano precocemente dall’Europa? “Colpa” delle tattiche adottate degli avversari. Un concetto sottolineato anche da Johan Cruijff , che dalle colonne del De Telegraaf scrisse: “Le nostre squadre sono campioni del mondo di possesso palla nella propria metà campo, con una serie infinita di passaggi verso il portiere e ritorno. Di conseguenza, l'intensità del gioco è bassa e la fase di transizione particolarmente lenta”.


 

Anche alcuni numeri, per quanto parziali, sono una spia affidabile di questa realtà. Nelle ultime tre campagne di Champions League della gestione De Boer, più del cinquanta percento dei passaggi dell’Ajax erano effettuati nella propria metà campo. Nella stagione 2013/14, il portiere Jasper Cillessen fece registrare una media di 29,7 tocchi palla a partita. Quest’anno Remko Pasveer, vecchio portiere dell'Ajax, non è arrivato nemmeno alla metà. Era dal 2010 un portiere ajacide non toccava così pochi palloni e non si tratta di rinnegare la costruzione dal basso – in Olanda esiste dai tempi di Jan Jongbloed e non è motivo di dibattito – quanto alla sua efficacia in campo. Sei mesi dopo essere diventato allenatore dell’Ajax, Ten Hag ha affermato che “in nessun campionato al mondo i difensori centrali giocano un tale numero di palloni in fase di possesso”. Il suo progetto partiva quindi dal presupposto di creare una nuova mentalità attraverso la quale il possesso palla, affinato e ricalibrato, tornava a essere il mezzo e non il fine.


 

Ovviamente questo è solo un dato tra i tanti che possono raccontare del grande progetto di ten Hag: un altro potrebbe essere quello che dice che nella stagione attuale di Champions nessuna squadra ha segnato quanto l’Ajax da situazioni di recupero palla nei pressi della trequarti avversaria. Allo stesso modo, in Conference League, il Feyenoord è la squadra con il maggior numero di tiri in porta effettuati dalla riconquista della palla nella stessa zona di campo. Il principio del “counter the counter”, contrastare la ripartenza, ha affiancato (e a volte sostituito) l'ossessione per il possesso palla. L'olandese Pepijn Lijnders, braccio destro di  Jürgen Klopp nel Liverpool, ha spiegato così questa necessità di adattamento. “In media in una partita il possesso palla cambia ogni dieci secondi, e quindi l'idea olandese secondo la quale il campo debba essere il più ampio possibile in attacco e il più ristretto possibile diventa pericolosa. Se le distanze reciproche sono troppo grandi e ci sono troppo pochi giocatori nella zona della palla, allora vengono a mancare le premesse strutturali per riconquistarla immediatamente”.


 


Tutte le squadre olandesi in Europa ora adottano principi di gioco simili, debitori tanto delle idee di Guardiola quanto da quelle di Klopp e di Rangnick. Ten Hag ha lavorato in Germania con Guardiola e ha avuto come vice Alfred Schreuder, in passato assistente di Julian Nagelsmann all'Hoffenheim. PSV e Vitesse si sono affidati a due allenatori di scuola Red Bull, mentre Feyenoord e AZ sono guidati da tecnici, rispettivamente Slot e Pascal Jansen, che citano apertamente l’influenza del movimento tedesco nelle proprie proposte calcistiche.


 

Ormai le dighe sono state aperte e le novità vengono integrate a ogni livello della piramide. Il Fortuna Sittard, club che lotta per non retrocedere, ha da poco fatto predisporre delle linee extra in lunghezza sul proprio campo di allenamento, che viene ora diviso in cinque fasce: l’ala destra, l’ala sinistra, il centro e due spazi intermedi tra questo e gli esterni. Sono quelli che in Germania chiamano Halbraum, spazi diventati cruciali nella preparazione degli schemi d'attacco. Allo stesso tempo, il cross dal fondo è stato declassato come un elemento obsoleto per la sua scarsa efficacia, dal momento che in media durante una transizione di cinque-sei secondi solo un cross alto su 55 si tramuta in gol. Slot non ha mai rinunciato a una punta di ruolo già ai tempi in cui allenava l'AZ Alkmaar, ma il suo 4-3-3 si staccava nettamente dalla tradizione del possesso palla e delle sovrapposizioni terzino-ala. Per lui i terzini, in fase di possesso, devono muoversi verso il centro per agire come centrocampisti aggiunti e creare superiorità numerica, cosa che nell'attuale Feyenoord fa spesso da destra Geertruida.


 

Nella stagione 2019-20 l'AZ di Slot ha battuto due volte l'Ajax di Ten Hag, finendo appaiato in cima alla classifica prima che il campionato fosse annullato per la pandemia. Nel dicembre 2020 è stato poi licenziato, ma solo perché l'AZ aveva scoperto che si era accordato con il Feyenoord, dove però è riuscito a far assimilare i suoi principi con una rapidità superiore alle aspettative. “Contro il Marsiglia eravamo sempre un passo avanti a livello di condizione fisica”, ha dichiarato il centrocampista del Feyenoord, Orkun Kökçü, “ma ammetto che a inizio stagione, quando l’allenatore ci parlò delle sua idea di giocare questo calcio aggressivo e dispendioso a causa della costante pressione, molti di noi pensavano che non ce l'avremmo fatta. Non eravamo abituati a questa impostazione”.


 

L'AZ, che nelle ultime stagioni ha spesso strappato all'Ajax il premio di miglior vivaio olandese, è stato il primo club ad abbandonare con decisione i cross alti dalla linea di fondo a favore di un gioco più orientato verso le parti centrali del campo. Non solo. Il club di Alkmaar ha anche abbandonato il modello del 4-3-3 applicato a ogni livello delle squadre giovanili, permettendo ai calciatori di abituarsi fin dalla giovane età a giocare con impostazioni differenti e ad affrontare moduli diversi. Secondo Paul Brandenburg, responsabile del vivaio AZ, “l'Olanda si è specchiata troppo in se stessa, non stimolando a sufficienza i talenti nel trovare soluzioni a tutte le circostanze possibili. Oggi c'è maggiore flessibilità nello stile di gioco e chi risponde alzando i muri prima o poi finirà per andare a sbatterci contro”.


 

Forse il calcio olandese non possiede più la forza propulsiva per imporre trend calcistici sul panorama internazionale, e forse bisognerà aspettare ancora molto perché torni a riuscirci in futuro. Per il momento, però, è riuscito, seppure lentamente e con molta fatica, a non difendersi da quelli che plasmano il calcio contemporaneo, abbracciandoli e includendoli nel proprio DNA. E i risultati sono confortanti.


 

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