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Dario Saltari
Come il Napoli ha esposto i problemi di Sarri
05 set 2022
05 set 2022
Milinkovic-Savic e Luis Alberto danno e tolgono.
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Dario Saltari
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Silvia Lore/Getty Images
(foto) Silvia Lore/Getty Images
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Maurizio Sarri ha lasciato Napoli da più di quattro anni, e nel frattempo ha cambiato tre squadre, eppure il ricordo di quella squadra continua ad accompagnarlo come un’ombra. Subito dopo il bruciante pareggio contro la Sampdoria di mercoledì, in vista della successiva sfida di alta classifica contro la sua ex squadra, gli hanno chiesto: è più forte il suo Napoli o quello di oggi? «Il mio Napoli oggi alla fine primo tempo avrebbe vinto 3-0», ha risposto Sarri rimproverando alla sua Lazio una scarsa freddezza sotto porta, non certo la prima caratteristica che ci viene in mente pensando al suo Napoli. Questo rimando continuo al passato, a cui va detto non si sottraggono nemmeno le squadre che decidono di metterlo sotto contratto (basti pensare al video con gli orsi polari e i pianisti con cui la Lazio lo ha annunciato), sottintende una domanda più grande e fondante, e cioè se Sarri riuscirà prima o poi a far tornare quel Napoli sotto un’altra forma, con altri giocatori. L’attesa di questo momento lo ha seguito prima a Londra, poi a Torino e infine a Roma, dove la domanda alla fine rimane sempre più o meno la stessa: è possibile che una squadra che ha raggiunto il suo apice seguendo una strada possa ritornare in alto passando per la strada opposta?

Durante il calciomercato estivo la dirigenza biancoceleste ha provato a lavorare molto per restituire al suo allenatore una squadra più a sua immagine e somiglianza. Ma contro il Napoli, che a sua volta sta cercando di assorbire il cambiamento di una squadra completamente rinnovata, l’unica vera novità tra i giocatori di movimento rispetto alla scorsa stagione era Alessio Romagnoli. Accantonati per adesso gli esperimenti Casale e Marcos Antonio, in panchina anche Vecino e Cancellieri, la Lazio era sostanzialmente uguale a sé stessa, con al centro i due nodi che sono al cuore di questa ultima esperienza di Sarri: Milinkovic-Savic e Luis Alberto. Il primo uno strano ibrido tra una mezzala e una seconda punta, fatto fiorire da Simone Inzaghi come convertitore di lanci lunghi in assist grazie a una sensibilità aerea degna di una specie volante. Il secondo un trequartista con la lentezza di un’altra epoca che è riuscito a sopravvivere in questa utilizzando lo scarpino come un guanto. Entrambi da adattare al gioco di Sarri (anche se per ragioni diverse), entrambi sempre apparentemente sul punto di lasciare la Lazio per squadre più blasonate, senza però farlo mai. Milinkovic-Savic per un periodo di quest’estate è stato dato a un passo dalla Juventus, Luis Alberto secondo le stesse parole di Sarri ha esplicitamente chiesto la cessione al Siviglia «per il secondo anno di seguito». Contro il Napoli erano al centro del gioco della Lazio, un’altra volta.

Sabato sera, però, la Lazio non è assomigliata nemmeno lontanamente al Napoli di Sarri. È uscita dal campo con il 38.7% di possesso palla e, secondo i dati di Alfredo Giacobbe, ha giocato nella trequarti avversaria meno della metà di passaggi riusciti rispetto ai suoi avversari (43 contro 100). Soprattutto, ha creato meno di un quarto degli Expected Goals (0.5 contro 2.1) e, se Kvaratskhelia avesse avuto un pizzico di freddezza in più sotto porta, o se Provedel fosse stato meno reattivo, il risultato sarebbe stato molto più largo di quanto non è stato in realtà.

Sull’esito della partita ha inciso soprattutto l’atteggiamento senza palla delle due squadre. Il Napoli per una volta ha applicato un pressing molto aggressivo ed efficace che ha impedito alla Lazio di costruire in modo pulito le proprie azioni. Senza palla Zielinski si alzava all’altezza di Osimhen per schermare le linee di passaggio verso Cataldi e uscire eventualmente sui centrali avversari, mentre Lobotka prendeva il regista biancoceleste alle spalle. Su Milinkovic-Savic e Luis Alberto le marcature erano asimmetriche: sul primo doveva salire Minjae nel caso in cui ricevesse tra le linee, mentre il secondo era seguito da Anguissa. Questa impostazione probabilmente era dovuta alla tendenza del centrocampista serbo ad avvicinarsi ad Immobile per provare a servirlo con spizzate o tocchi di prima, agendo di fatto da seconda punta. La Lazio, però, non è mai riuscita a servirli in maniera pulita, se non con difficili lanci lunghi, ed entrambi si sono dovuti abbassare molto per provare a giocare qualche pallone a terra.

Non si sono viste quasi mai le rotazioni a centrocampo che associamo al gioco di Sarri, e che servono proprio a liberare le mezzali tra le linee fronte alla porta, in primo luogo perché la Lazio ha avuto poco il pallone e lo ha gestito in maniera diretta ma confusa. E su questo, inevitabilmente, hanno inciso anche gli stessi Luis Alberto e Milinkovic Savic. Il primo non è riuscito a resistere alla pressione e ha sofferto moltissimo la marcatura di Anguissa (2 intercetti, 2 contrasti vinti su 2), il secondo è un riferimento troppo ghiotto per i lanci lunghi alle spalle del centrocampo avversario per una difesa che non riesce a gestire il pallone sotto pressione.

La Lazio, al contrario, non è mai riuscita a contendere il pallone al Napoli. La squadra di Sarri difendeva con un blocco medio-alto che però, invece di andare uomo su uomo sulla costruzione avversaria, preferiva schermare le linee di passaggio. L’obiettivo della Lazio era quello di impedire a Lobotka di ricevere e di far arrivare palloni dalla difesa al centro della trequarti. Di fronte alla fluidità del Napoli, alla ricchezza di soluzioni a sua disposizione, la Lazio però è apparsa davvero troppo rigida e impacciata. Anche in questo caso le caratteristiche di Luis Alberto e Milinkovic-Savic hanno pesato.

Innanzitutto lo schermo di fronte a Lobotka, composto da Immobile e Milinkovic-Savic, faceva acqua da tutte le parti. Rispetto ai due attaccanti di fatto della squadra di Sarri il regista slovacco si è dimostrato troppo dinamico senza palla, troppo intelligente nel capire dove posizionarsi e quando, ed era quasi sempre libero di ricevere. Alle sue spalle, tra l’altro, Cataldi usciva spesso in ritardo, peggiorando a cascata i problemi della Lazio tra le linee, dove a sinistra Zielinski, proprio alle spalle di Milinkovic-Savic, aveva una libertà sconcertante per ricevere. Non era solo un problema di disattenzione individuale della prima linea di pressione, ma anche di reparto più indietro. La difesa della Lazio, probabilmente preoccupata dalle corse in profondità di Osimhen, Lozano e Kvaratskhelia, è stata piuttosto conservativa nell’accorciare in avanti usando la linea del fuorigioco come alleato naturale e gli attaccanti del Napoli, una volta ricevuto tra le linee, potevano ricevere palla e girarsi fronte alla porta. Ironicamente, il gol con cui la Lazio ha aperto la partita è nato da una delle pochissime occasioni in cui Lazzari ha rotto la linea per uscire su una ricezione di Zielinski alle spalle di Milinkovic-Savic, recuperando palla sulla trequarti con la collaborazione di Felipe Anderson.

Anche le poche volte in cui Lobotka è stato effettivamente schermato il Napoli aveva gioco facile nel far uscire il pallone della difesa. In quei casi bastava abbassare sulla mediana una delle due mezzali, Anguissa o lo stesso Zielinski, per portare fuori posizione gli uomini di Sarri e permettere a Lobotka di tornare libero di nuovo. Nell’immagine qui sotto, ad esempio, e Zielinski ad ingannare Milinkovic-Savic permettendo a Minjae di servire facilmente Lobotka.

A dare fastidio alla Lazio è stata anche la posizione molto alta e larga dei due terzini, soprattutto quella a sinistra di Mario Rui. La squadra di Sarri, con le ali molto strette per schermare possibili passaggi verso l’interno e i terzini ad occuparsi di Lozano e Kvarastkhelia, non si è mai chiarita le idee su chi li dovesse andare a prendere e con una semplice circolazione orizzontale veloce il Napoli poteva raggiungerli facilmente in maniera pericolosa. La squadra di Spalletti ha creato molte delle occasioni migliori in questo modo, compreso il meraviglioso palo dalla distanza di Kvaratskhelia, che prima di tirare danza tra i tentativi di recupero disperati e un po’ goffi di Felipe Anderson e Luis Alberto.

Tra questa occasione e il calcio d’angolo che regala il pareggio al Napoli la palla non esce mai dal campo, ed è impressionante vedere la Lazio poco dopo aver già rischiato il pareggio concedere un possesso facile fin dentro l’area agli avversari, che hanno continuato a sfruttare per tutta la partita la superiorità della catena di sinistra (Mario Rui-Zielinski-Kvaratskhelia) nei confronti del povero Lazzari, lasciato solo da Felipe Anderson e Milinkovic-Savic. Una manciata di secondi dopo il gol di Minjae, Lobotka è nuovamente libero sulla trequarti e il terzino destro della Lazio è addirittura in uno contro tre. Il Napoli crea una nuova occasione pericolosa con una conclusione di testa in area di Lozano, servito su cross da Mario Rui, ma Zielinski, una volta ricevuto sulla trequarti, avrebbe potuto anche accentrarsi, creando superiorità dall’altro lato con Osimhen e Anguissa, seguito solo con lo sguardo da Luis Alberto.

Siamo solo alla quinta giornata di campionato, e la Lazio veniva dall’ottima prestazione contro l’Inter, ma la facilità con cui la sua squadra si è fatta manipolare dal Napoli dovrebbe comunque far riflettere Sarri. È solo una questione di livello tecnico oppure è la Lazio che non è ancora riuscita a trovare un punto di incontro tra i suoi giocatori migliori e le idee del suo allenatore? Certo, in Serie A non ci sono molte altre squadre che sanno usare il pallone come il Napoli, ma al di là del risultato non dovrebbe essere proprio questo il valore aggiunto di Sarri? Portare cioè la Lazio a utilizzare il possesso come ha fatto la squadra di Spalletti sabato sera? Se non avessimo saputo nulla delle due squadre prima del fischio di inizio, quale ci sarebbe sembrata la squadra di Sarri e quale quella di Spalletti?

Per dare forza al proprio gioco, Sarri deve passare per alte percentuali di possesso, ma per arrivarci avrebbe bisogno di un sistema di pressing e contropressione più organizzato e coraggioso. La Lazio, invece, senza palla al momento è una via di mezzo che lascia sempre la coperta troppo corta ed espone i limiti dei propri giocatori migliori. Da questo punto di vista la situazione di Milinkovic-Savic e Luis Alberto è emblematica: senza palla le due mezzali della Lazio non sono né abili a schermare il possesso avversario, come apparentemente vorrebbe il loro allenatore, né a difendere all’indietro una volta che la prima pressione è stata bucata. Senza il loro contributo, però, la squadra biancoceleste fa fatica a recuperare il pallone e quindi a tenerlo con continuità, rendendo il gioco di Sarri più fragile e prevedibile, e quindi meno adatto proprio per quei giocatori come Milinkovic-Savic e Luis Alberto che teoricamente dovrebbero esaltarlo. Di fronte alla loro situazione viene da chiedersi se sia Sarri a dover adattare le proprie idee al loro talento o se siano loro a dover far qualcosa in più per venire incontro al proprio allenatore. In entrambi i casi rimane il nodo che è al cuore dell’esperienza di Sarri alla Lazio: rivedremo mai quel Napoli con questa nuova squadra o ci ritroveremo di fronte sempre a una versione ridotta?

In un’intervista di inizio agosto al Corriere dello Sport, Sarri è stato costretto a tornare ancora una volta sul suo Napoli e lo ha fatto forse per la prima volta in maniera particolarmente amara. «L’ultimo Napoli, quello dell’ultimo anno intendo, giocava il calcio che avevo in mente, un calcio di coinvolgimento totale», ha dichiarato l’allenatore della Lazio «Oggi è più difficile, più il tempo passa e più si afferma l’individualismo, e non solo nel calcio. È un cambiamento generazionale, non mi piace e impone degli adattamenti. Anch’io sono cambiato, in parte mi sono adeguato». Sarri faceva un discorso generale, e non credo si stesse riferendo a nessuno nello specifico, ma il fatto che viva l’adattamento a situazioni diverse da quelle vissute a Napoli come una dolorosa riduzione è comunque significativo. Il suo pragmatismo è una dote spesso sottovalutata, ma lui stesso sembra viverla con insofferenza. Sarebbe un peccato ora che si ritrova tra le mani due dei più grandi talenti della Serie A.

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