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Kirill KUDRYAVTSEV / AFP
Mondiale 2018 Daniele V. Morrone 27 giugno 2018 8'

Come Messi ha portato l’Argentina agli ottavi

Contro la Nigeria l’Albiceleste non ha mostrato miglioramenti sostanziali, ma sono bastate poche modifiche e un grande Messi per accedere agli ottavi.

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L’Argentina è arrivata alla partita contro la Nigeria in una situazione totalmente fuori controllo, tanto dal punto di vista tecnico-tattico quanto da quello mentale. Era facile, dall’esterno, chiedere razionalità, ma era impossibile per chi viveva dall’interno quel disastro ambientale. Javier Mascherano è stato uno dei simboli più forti della difficile situazione argentina: nonostante in campo sia sembrato il fantasma di sé stesso (a causa di un fisico che non segue più la testa), è rimasto in campo perché incarna l’idea del guerriero che si arrende solo dopo il fischio finale, che vaga per il campo con un taglio aperto vicino all’occhio e un rivolo di sangue fino al mento, senza fermarsi a farsi tamponare. Mascherano a fine partita si è definito: “Un soldato pronto per andare a morire”.

 

A quest’immagine machista (che si è inghiottita il Mascherano calciatore che ha mostrato problemi su cui lui stesso e Sampaoli dovrebbero riflettere seriamente) si è aggiunta anche la la fede di Messi, che confina con la superstizione: Messi a fine gara ha invocato Dio come un alleato, in uno slancio enfatico raro nelle sue parole con il Barcellona, e poi ha mostrato alle telecamere un amuleto rosso che aveva indossato alla caviglia sinistra per la partita.

 

Gli era stato donato dalla madre di un giornalista.

 

FBL-WC-2018-MATCH39-NGR-ARG

 

Trascinatore a modo suo

Messi in questo Mondiale porta sul volto anni di delusioni con l’Argentina. Con l’atteggiamento in campo e il linguaggio del corpo comunica stanchezza, ma anche il suo volto sembra invecchiato all’improvviso, persino rispetto a poche settimane fa, quando festeggiava la Liga vinta con il Barcellona. Se questa era la partita della verità per una generazione intera, lo era ancor di più per Messi, in queste settimane tirato in ballo da media e opinione pubblica nell’odioso dibattito che contrappone la sua legacy a quella di Maradona e Ronaldo.

 

Messi che in Nazionale non è decisivo, dicono, ma che contro la Nigeria ha segnato il gol del vantaggio. Messi che non ha la capacità di sporcarsi la maglia come chi ha avuto la 10 prima di lui, ma che contro la Nigeria ha passato il finale di gara a prendere fallo e a far respirare la squadra. Messi che non è leader, ma che prima dell’entrata in campo per il secondo tempo si è occupato in prima persona del discorso alla squadra, con tutti i compagni attorno. Tutto ciò che l’opinione pubblica chiedeva alla sua stella, Messi lo ha portato sul campo.

 

Il gol, certo, ma anche un approccio differente rispetto a quanto visto con la Croazia. Se quello era di impotenza, di chiusura in sé stesso, questo è stato vitale, di apertura al gruppo e di accettazione del proprio ruolo all’interno di esso.

 

Messi 1

I passaggi effettuati da Messi (in celeste i 2 passaggi chiave) e quelli ricevuti (in giallo l’assist di Banega).

 

Messi non ha giocato la partita perfetta, ma ha giocato la partita che serviva.

 

In un momento in cui la sua squadra era letteralmente appesa ad un filo, Messi doveva prima di tutto dare la scossa per cambiare il contesto di gioco a proprio favore. Ha segnato uno dei gol più importanti della sua carriera in Nazionale e uno dei suoi più belli in assoluto.

 

È stato calcolato che al momento del primo tocco la palla arrivava a Messi a 27 km/h, e che dopo il secondo, con il collo del piede, Messi ha accelerato fino ad arrivare a 34 km/h al momento del tiro. Messi ha controllato il pallone con la coscia esterna per portarselo avanti, e senza fargli toccare terra ha prolungato la sua traiettoria con il collo del piede, prima di arrivare allo sprint finale per il tiro (di destro).

 

Se il primo controllo è assurdo da pensare, considerando da dove arriva il pallone e con quale precisione deve calcolare l’angolo con cui la coscia ne assorbe l’impatto; il secondo è quasi impensabile da fare per un giocatore non dico “normale”, ma semplicemente meno fenomenale di Messi, perché è eseguito nello stesso movimento con cui controlla la palla di coscia. A quella velocità, ci si sarebbe potuto aspettare che si allungasse la palla, con il piede che andava  nella stessa direzione del pallone, ma ha usato la sua sensibilità per non farlo scappare. Poi Messi ha staccato per un attimo gli occhi dal pallone, rivolgendoli alla porta, in cui ha calciato col piede considerato debole. Se state aggiornando la sua lista dei record di Messi, potete scrivere che da ieri è il primo giocatore della storia dei Mondiali a segnare un gol da teenager, uno da ventenne e uno da trentenne.

 

Oltre al gol, Messi ha provato a trascinare la propria squadra anche attraverso la manovra, puntando palla al piede anche quattro avversari alla volta. Senza limitarsi alla sua zolla di campo: ha toccato 92 palloni (secondo solo dietro al regista Banega) e ha tentato 9 dribbling, anche dovendo partire da fermo. Per tornare ancora al libro dei record, da ieri Messi è diventato anche il giocatore con più dribbling effettuati nella storia dei Mondiali, con i suoi 107 dribbling che lo portano sopra ai 105 di Diego Armando Maradona.

 

Messi 2

Sia i 7 dribbling riusciti che i 5 falli subiti sono la cifra più alta nella partita.

 

È tornata l’Argentina del 2014?

I gol e i dribbling sono la manifestazione più tangibile del contributo di Messi a quest’Argentina. Va anche detto però che Sampaoli ha impostato una gara diversa rispetto alle precedenti. Quello dell’Argentina contro la Nigeria era un sistema che ricorda molto quello con cui nel 2014 è arrivata in finale: un 4-4-2 flessibile in cui gli esterni (Di María ed Enzo Pérez) si muovono a seconda della posizione del pallone e di quella di Messi. Uno dei due centrocampisti centrali rimaneva bloccato (Mascherano) mentre l’altro era più libero e ha compiti di regista (Banega); le due punte erano Higuaín, che doveva alternare movimenti incontro ad altri in profondità, e Messi, che doveva aiutare la squadra dove ritiene più necessario.

 

Con questo modulo Enzo Pérez scalava nel mezzo spazio se Messi si muoveva largo, portando Higuain a rimanere unica punta. Mentre Di María, da parte sua, si alzava a sinistra per poter dare a Messi l’opzione del cambio di gioco. Quando invece la palla era sul versante sinistro, sui piedi di Banega, Messi si spostava come seconda punta al centro per poter essere lui a ricevere il pallone vicino all’area.

 

In campo, insomma, è sembrato che ci fosse andata l’Argentina di Sabella: un fatto che ha portato altra legna al fuoco di chi sostiene che ad allenare la squadra ci sia un direttorio capitanato da Mascherano, ombra grigia dietro le scelte tecniche. L’immagine di Sampaoli che parla con Messi attorno all’80’, interpretata come una richiesta di conferma di far entrare Agüero, ha alimentato le polemiche. Ci si può credere o meno, ma in ogni caso l’immagine di Messi che dialoga con la panchina restituisce un giocatore diverso da quello spento visto contro la Croazia.

 

Ora bisogna dire qualcosa sulla Nigeria, la cui strategia ha aiutato l’Argentina. La difesa a 3 voleva fare il fuorigioco molto alto (altezza della linea a 30.9 metri) pur avendo un baricentro molto basso (42.7 metri) e pur portando una pressione bassa (posizionata sui 35.3 metri). La Nigeria ha iniziato la partita senza dare fastidio all’uscita palla dell’Argentina, permettendo quindi a Banega di trovare la posizione dove ricevere e concedendo a Messi la possibilità di trovare la profondità. Un atteggiamento subito punito dai in occasione del gol del vantaggio.

 

Se Messi può avvicinarsi all’area ed ha accanto un giocatore in grado di dargli palloni giocabili in quella frazione di campo, cambia tutto il contesto di gioco. La Nigeria voleva accorciare Messi e raddoppiarlo quando giocava al centro della trequarti, ma così lo invitava a sfruttare il campo davanti a sé. La presenza di Banega era necessaria tanto quanto lo spazio di manovra per il 10. Banega è il giocatore che ha giocato più palloni (111 tocchi) e completato più passaggi (79). È stato l’unico, assieme a Messi, a completare almeno 1 passaggio filtrante (per la precisione 2): una vera novità per l’Argentina vista finora in Russia. La Nigeria ha lasciato lo spazio per la profondità, ma serviva qualcuno in grado di dare quel pallone in quel momento, e non poteva certo essere la statua di Mascherano o un giocatore tecnicamente arido come Enzo Pérez.

 

Messi 3

In questo grafico di passaggi e posizioni medie si vede la connessione tra il regista Banega e Messi, oltre alla posizione esterna delle ali.

 

Solo nel secondo tempo, con una linea più bassa e i due esterni arretrati, la Nigeria è riuscita a far funzionare una strategia più adatta al contesto. L’idea di difendere bassi lasciando che il pessimo scaglionamento dell’Argentina si complichi la vita da solo, ha funzionato molto meglio, com’era prevedibile. Ma c’era comunque un’attenzione particolare per Messi, un uomo sempre nella sua zona di ricezione, anche quando si allargava. Messi è apparso decisamente più passivo in tutta la prima metà del secondo tempo, forse perché vagando per il campo stava cercando il modo migliore per adattarsi al nuovo contesto. La scarsa razionalità dell’Argentina, sempre più legata ad un’uscita dalla difesa tragicomica, finiva per portare due uomini nella stessa posizione: sulle fasce i due esterni erano troppo vicini, mentre Mascherano, sempre insicuro nel tocco, si avvicinava al portatore.

 

L’incapacità dell’Argentina – fatta eccezione per Banega – di far circolare il pallone, ha finito per fargli ricevere solo 4 passaggi tra l’inizio secondo tempo e il 60’. Quando a mezz’ora dalla fine è entrato in campo Pavón è cambiata anche la partita di Messi.

 

Il compagno è entrato per occupare da solo la fascia, e Messi ha ricominciato a muoversi lungo tutto il campo, ricevendo sia centralmente che, addirittura, sulla fascia sinistra. Nei successivi 25 minuti ha ricevuto 29 passaggi, occupandosi di dare respiro alla manovra dove serviva. Si è messo persino a perdere tempo, a cercare i falli. Certo il gol di Rojo – un centrale difensivo che si è buttato in area su un cross proveniente dalla fascia opposta – può confondere le idee a chi vuole Messi come unico risolutore dei problemi argentini (oppure: delusione); ma a giudicare anche dalle sue parole, e dall’esultanza in cui sale su Rojo, a Messi interessava solo lasciarsi alle spalle la sofferenza di un momento complicatissimo.

 

Dopo la partita Messi ha reso chiaramente i suoi sentimenti durante questi 90’ di apnea: «Non ricordo di aver mai sofferto tanto, per la situazione, per la posta in palio». L’Argentina è una Nazionale obbligata a ragionare di partita in partita, perché sempre in bilico tra esaltazione e tragedia. E l’Argentina di Messi è andata avanti, per questa partita, ha scampato questa tragedia e cosa succederà dopo (la Francia) è comunque meno spaventoso che uscire da un girone con Islanda, Nigeria e Croazia avendo fatto solo 2 punti.

 

Chi vuole vedere Messi in versione Maradona dell’86 non tiene conto di come funziona il calcio del 2018, ma il Messi che abbiamo visto contro la Nigeria è stato un trascinatore, secondo i canoni, e nei limiti, del calcio attuale: una partita intelligente coronata da un gol splendido e atteggiamenti da leader.

 

E a proposito di Argentina di Maradona: il tabellone dagli ottavi in poi è molto complicato (a cominciare, appunto, dalla Francia) ma torna in mente come nel Mondiale del 1990 l’Argentina di Maradona sia passata grazie al ripescaggio tra le migliori terze dopo aver perso all’esordio con il Camerun, vinto con l’URSS e pareggiato con la Romania. Da lì in poi un’Argentina piena di difetti nella manovra, e con un Maradona che non ha segnato neanche un gol, che ha realizzato appena 2 assist e sbagliato uno dei rigori contro la Yugoslavia ai quarti, arriverà comunque fino in finale. Mai dire mai.

Tags : argentinajavier mascherano

Daniele V. Morrone, nato a Roma nel 1987. Laureando in economia, amante del "calcio di posizione" di Cruijff e Guardiola, segue con attenzione l'evoluzione del calcio asiatico.

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