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Emanuele Mongiardo
Cosa guadagna e cosa perde l'Italia con la difesa a tre
25 mar 2024
25 mar 2024
Cosa pensare della difesa a tre proposta da Spalletti contro Venezuela ed Ecuador?
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Emanuele Mongiardo
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IMAGO / ZUMA Wire
(foto) IMAGO / ZUMA Wire
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C’è una grande regola non scritta nel calcio italiano alla quale, volenti o nolenti, sono costretti a sottomettersi tutti gli allenatori, anche quelli più fermamente convinti delle proprie idee: nei momenti di difficoltà bisogna passare alla difesa a tre. Nessuno può sfuggire al suo richiamo. Pioli, durante la crisi dello scorso anno, per evitare di affondare nel derby decise di proporre uno strano 3-5-2 con Messias mezzala. Allegri nel 2015/16, dopo un inizio complicato, seppe ritrovare una grande Juventus tornando alla difesa a tre. L'allenatore livornese ci era già passato: nell’annata al Milan dopo le cessioni di Ibrahimović e Thiago Silva, nonostante i diktat di Berlusconi che odiava la difesa a tre quasi quanto il comunismo, provò timidamente ad abbozzare un 3-5-2 in una partita di Champions League contro il Málaga. È una regola di sopravvivenza che vale non solo per i club, ma anche per la Nazionale. Prandelli, trovandosi ad affrontare la Spagna di Del Bosque all’esordio di Euro 2012, riuscì a limitare i danni con un 3-5-2 in cui Giaccherini faceva l’esterno a tutta fascia. Due anni più tardi, durante i Mondiali in Brasile, abiurò a tutto ciò in cui credeva dopo una sconfitta con la Costa Rica per proporre un 3-5-2 con la coppia Balotelli-Immobile davanti. Alla vigilia di Euro 2016 Antonio Conte ripose in soffitta il 4-2-4 e il 4-3-3 sperimentati durante le qualificazioni per affidarsi al suo amato 3-5-2, che aveva in Éder e Pellé due interpreti perfetti. E così, a pochi mesi dall’esordio di Euro 2024, anche Luciano Spalletti sembra aver virato in maniera decisa verso la difesa a tre. Una scelta, ancora una volta, figlia dell’emergenza. Era, in effetti, dai tempi degli Europei in Francia che il materiale a disposizione della Nazionale non sembrava così povero. Otto anni fa il passaggio al 3-5-2 sembrava la scelta migliore per valorizzare il pacchetto difensivo della Juventus e per rimediare all’assenza di ali nella Nazionale di allora. Cosa ci hanno detto, invece, le due partite contro Venezuela ed Ecuador? Soprattutto, quanto è compatibile l’utilizzo di difesa a tre ed esterni a tutta fascia con le caratteristiche dei giocatori oggi convocabili da Spalletti? I pregi in fase di non possesso Come ha spiegato il CT in conferenza stampa e come era facile ipotizzare, il passaggio alla difesa a tre nasce da un assunto fondamentale: l’Inter, col suo 3-5-2, è la squadra più forte d’Italia e una delle migliori d’Europa. Tra esterni e difensori, il reparto arretrato dei nerazzurri è pieno di giocatori convocabili da Spalletti, che ovviamente ha voluto puntare su un blocco forte e consolidato come quello dell’Inter. Detto che nei prossimi mesi andrà gestito un caso spinoso come quello di Acerbi, pilastro della difesa di Simone Inzaghi, il blocco interista è sceso in campo dall’inizio nella seconda delle due amichevoli, quella contro l’Ecuador. Di fronte a Vicario, infatti vi erano Darmian e Bastoni da terzi centrali, con Mancini in mezzo, mentre i titolari delle corsie erano Dimarco a sinistra e l’ex interista Bellanova a destra. Contro il Venezuela, invece, la formazione era quasi totalmente sperimentale nell’undici e il pacchetto arretrato era composto dal terzetto Di Lorenzo-Buongiorno-Scalvini dietro e da Udogie e Cambiaso sulle fasce. Vista la volontà di Spalletti di puntare sul blocco Inter, nel giudizio sulla fase difensiva è giusto porre maggior attenzione alla gara contro l’Ecuador, squadra peraltro ben più talentuosa del Venezuela. Detto che anche contro la “vinotinto” l’Italia non ha corso particolari rischi, le risposte date dalla Nazionale contro l’Ecuador senza palla sono state confortanti. La partita ha avuto più volti, con un primo tempo di pressing aggressivo seguito da un secondo tempo dove l’avversario ha costretto gli azzurri a difendere la propria trequarti. Tuttavia l’Italia non ha barcollato e, anzi, ha saputo reggere ad una squadra capace di giocare a ritmi ben più alti di quelli a cui ci abitua, di solito, il calcio per Nazionali. Il pressing visto nel primo tempo e all’inizio della ripresa, in particolare, è il miglior dato che Spalletti ricava da quest’ultimo giro di convocazioni. In fase di non possesso l’Italia si schierava con un 3-4-3 che, per l’atteggiamento di Barella, somigliava più a un 3-3-1-3, col sardo più alto rispetto a Jorginho. In fase di non possesso, le tre punte (Pellegrini sul centro sinistra, Raspadori al centro e Zaniolo sul centro destra) rimanevano strette a copertura del centro. Alle loro spalle Barella si alzava sul mediano che si proponeva in impostazione, mentre Jorginho rimaneva in copertura. Appena la palla veniva mossa dal centrale dell’Ecuador verso la fascia, la mezzapunta del lato (Pellegrini a sinistra e Zaniolo a destra) doveva far scattare il pressing e stringere l’avversario sulla linea laterale. Barella, la punta e la mezzapunta opposta dovevano scivolare verso il lato palla, attenti, a seconda della situazione, a schermare le linee di passaggio e a prendere in consegna gli uomini più vicini alla zona palla. A differenza di quanto si vede in Serie A, quindi, il 3-4-3 dell’Italia non è servito a creare duelli a tutto campo. In questo contesto, è stato encomiabile il lavoro di tutti i giocatori della prima linea di pressione: le tre punte concentrate nello schermare i riferimenti centrali prima di aggredire, Barella nell’alzarsi coi tempi giusti per poi scivolare in sintonia con gli attaccanti. Chiusi sul corto dal pressing italiano, i difensori della “tri” hanno provato a giocare in verticale sui giocatori offensivi che provavano a venire incontro per ricevere sui fianchi di Jorginho, ma in quel caso i difensori - Darmian a destra, Mancini al centro e Bastoni a sinistra, tutti abituati a staccarsi dalla linea - hanno dimostrato grande tempismo nel tamponare in avanti e recuperare palla.

Nel secondo tempo, però, l’atteggiamento aggressivo degli azzurri è durato di meno. Di Lorenzo, entrato al posto dell’infortunato Bellanova, non sempre ha trovato il modo di coordinarsi in pressing nelle scalate in avanti col difensore a lui più vicino, Darmian. Sempre su quel lato, l’ecuadoriano Sarmiento ha alzato il livello della prestazione ed è stato difficile da arginare: con le sue ricezioni e i suoi dribbling ha costretto spesso l’Italia a correre all’indietro. Bassa nella propria trequarti senza un riferimento offensivo su cui recapitare il pallone e senza nemmeno lo sfogo delle corse in profondità di Bellanova, l’Italia ha finito per schiacciarsi. Anche in quel caso la difesa si è dimostrata affidabile nel proteggere la porta. Tuttavia, per quanto l’Ecuador sia stato un avversario esigente, non sempre è sostenibile passare tanto tempo a presidio della trequarti. Cosa sacrifica la difesa a tre Detto che il passaggio alla difesa a tre ha portato i suoi benefici, quali rinunce comporta una scelta del genere? Il problema più grande delle ultime due partite dell’Italia è stato la produzione offensiva. Contro l’Ecuador la manovra è sembrata migliore rispetto a quella vista col Venezuela. In quel caso, però, sono stati i ritmi alti, in maniera inaspettata, a favorire l’Italia. Ben messi in campo, gli uomini di Spalletti, anche quando sono stati costretti al lancio dal pressing ecuadoriano, hanno saputo ripulire le seconde palle, soprattutto grazie a Barella e Zaniolo, per poi iniziare a correre. È stata particolarmente positiva la prova di Bellanova sulla destra, il quale ha dato profondità attaccando lo spazio dietro la difesa sudamericana, che rimaneva alta per accompagnare il pressing. Nonostante questo, va detto che l’Italia non ha creato situazioni pericolose e che il gol di Pellegrini è arrivato in maniera del tutto estemporanea. L’assenza di talento offensivo è un problema del calcio italiano ormai da un decennio. Se Spalletti non può contare sul parco attaccanti della Francia, è vero anche che giocatori come Chiesa, Zaccagni e Politano sono delle ali produttive, che una Nazionale impacciata con la palla come la nostra dovrebbe sfruttare: magari non dei fuoriclasse, ma comunque degli esterni che tra dribbling, conduzioni, cross e tiri fanno succedere cose, anche in senso quantitativo. Scegliere di giocare con tre centrali e due esterni a tutta fascia significa penalizzare ali del genere. Per provare a far coesistere la difesa a tre con la presenza di Chiesa, contro il Venezuela Spalletti ha optato per dei particolari scambi di posizione: nel 3-5-1-1 utilizzato in quella partita (o meglio, 3-4-3 a rombo) era Udogie a stringere da mezzala sinistra, così Chiesa poteva rimanere largo per ricevere aperto ed evitare di giocare al centro e spalle alla porta. Una scelta che però non ha portato a molto, perché l’Italia non muoveva abbastanza la difesa venezuelana da far ricevere Chiesa in condizioni vantaggiose. L’assenza di gioco interno da parte degli azzurri è stata decisiva, perché nessuno degli uomini impiegati alle spalle di Retegui (Udogie sul centro sinistra, Bonaventura al centro e Frattesi sul centro destra) era a proprio agio nel muoversi tra le linee e spesso spalle alla porta. Bonaventura, in particolare, era quello nella posizione più scomoda, chiamato sempre a ricevere con l’uomo dietro, situazione che non ha nelle sue corde: non è un caso che abbia sbagliato l’appoggio spalle alla porta che ha condotto al gol del momentaneo 1-1. Occupare i corridoi intermedi tra le linee richiede una capacità di ricevere di spalle e non perdere palla che nessuna mezzala o mezzapunta italiana possiede.

Nel secondo tempo col Venezuela il passaggio al 4-3-3 ha portato alle poche buone combinazioni viste in quella partita. Il gioco a parete è fondamentale per sviluppare in maniera pulita e vantaggiosa: il Napoli di Spalletti dello scorso anno ne è stato un esempio magnifico. Zaccagni, nei pochi minuti contro il Venezuela, ha dimostrato di poter ricevere di spalle, ma o dalla fascia o in maniera dinamica in posizione più centrale, senza occupare dall’inizio il corridoio intermedio. Il 3-4-3 a rombo e il 3-4-2-1 contro l’Ecuador, invece, sono sembrati troppo statici per una squadra con poco talento tra le linee. Interrogato sul cambio di sistema, Spalletti ha affermato che «il modo di ragionare resta uguale. Noi dobbiamo avere ugualmente quelli che saltano l’uomo». Riuscire a far coesistere le ali con l’aggressività e la solidità dimostrati dalla difesa a tre, sarà una sfida decisiva in vista di Euro 2024.

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