Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Dario Saltari
L’esonero di Potter ci fa vedere le storture del calcio contemporaneo
06 apr 2023
06 apr 2023
Dopo soli sette mesi e un sacco di soldi spesi l'allenatore è stato licenziato.
(di)
Dario Saltari
(foto)
IMAGO / PA Images
(foto) IMAGO / PA Images
Dark mode
(ON)

Una lunghissima fila di uomini e donne decrepiti pigiano ossessivamente sull’unico tasto della luminosa slot machine che si trovano davanti: sono un’orda di zombie seduti. È un video che molto probabilmente avete visto nelle scorse settimane ma anche una rappresentazione abbastanza esatta dello stato del calcio europeo d’élite al momento. Dirigenze di uomini bianchi pieni di soldi, che continuano a pigiare il tasto in attesa che esca la combinazione giusta. Cliccano per esonerare l’allenatore che non ha fatto abbastanza punti nelle ultime quattordici partite, per mandare in prestito il numero nove per cui avevano speso più di 100 milioni di euro nemmeno sei mesi fa, per spenderne altri 100 per la new sensation del calcio portoghese, questo ventenne argentino che proprio non possono farsi scappare, sembra accarezzare un gatto quando passa la suola sulla palla. Possono continuare a cliccare potenzialmente all’infinito perché i soldi non saranno mai un problema. Le lucine continuano a lampeggiare, le icone dei regali, o delle bombe, o delle mele continuano a roteare per lo schermo. Giocatori, allenatori, dirigenti girano senza sosta, passando da una squadra a un’altra, da un Paese a un altro, a volte anche da un continente all’altro.

Il Bayern Monaco si è fatto convincere dai mal di pancia dei propri giocatori e non può farsi scappare Thomas Tuchel? Click. Julian Nagelsmann, allenatore con cui aveva firmato un contratto da cinque anni e con cui aveva spergiurato di voler costruire un progetto di lungo periodo, viene risucchiato dalla parte bassa dello schermo, mentre da sopra la faccina sorridente di Tuchel finalmente ricompare. Sarà la combinazione giusta per vincere la Champions, per rimettere a posto un campionato inaspettatamente difficile? Click. Le slot machine continuano ad andare a tutta birra. Tutti i grandi club continuano a pigiare. Il Tottenham che ha mandato in burnout Antonio Conte. Il Liverpool che deve pensionare Jurgen Klopp. Il PSG che non può fare altro che deludere le aspettative. Il Real Madrid che ogni anno sente la fine del suo ciclo più vicino. Click, click, click, click.

___STEADY_PAYWALL___

A voler spaccare questo flusso ininterrotto, a trovare un prima e un dopo, si potrebbe partire proprio da Thomas Tuchel, che per ironia della sorte ha ritrovato una panchina poche ore prima che Graham Potter la perdesse. Non abbiamo nemmeno fatto in tempo a capire perché fosse stato esonerato che il Chelsea l’ha fatto di nuovo con l’uomo che ne aveva preso il posto. Tra loro c’è una connessione anche se non si sono mai conosciuti, entrambi vittime del cannibalismo capitalista dei top club europei. «Mi è arrivata la notizia dell’esonero di Potter ieri con una notifica push», ha detto Tuchel nella sua prima conferenza stampa da allenatore del Bayern Monaco, come se stesse recitando per una puntata di Black Mirror. Nel frattempo la nuova dirigenza del club londinese aveva premuto il tasto più e più volte mentre lo schermo di fronte impazziva. Provate per un attimo a immaginarvi Todd Boehly o Behdad Eghbali premere i tasti del loro joypad come gli psicopatici che cercano di battere i record di Mario Party.

Quest’estate avevano già speso quasi 300 milioni di euro solo di cartellini per portare a Londra Wesley Fofana, Marc Cucurella, Raheem Sterling, Kalidou Koulibaly, Carney Chukwuemeka, Pierre-Emerick Aubameyang e Gabriel Slonina. Poi sono arrivati i circa 15 milioni di buonuscita per esonerare Tuchel, i circa 27 per prelevare Potter e il suo staff dal Brighton, e infine l’inverno, con la sua pioggia di nuovi giocatori. Enzo Fernandez, Joao Felix, Mykhaylo Mudryk, Benoit Biadiashile, Noni Madueke, Malo Gusto, Andrey Santos, David Fofana: altri 330 milioni di euro.

Più che una campagna acquisti quella del Chelsea sembrava una pistola puntata alla testa del suo allenatore: suvvia, come si fa a fallire una stagione in cui sono stati spesi più di 600 milioni di euro per rafforzare la rosa? Il ricatto del denaro è sempre presente nei top club europei ma quest’anno è diventato lampante al Chelsea, che ha superato alla velocità del suono il limite oltre il quale spendere soldi sul mercato diventa nocivo. Su The Athletic sono stati raccontati per filo e per segno gli effetti grotteschi di questa mastodontica campagna acquisti. A gennaio la rosa era diventata talmente grande (circa 40 giocatori) che era diventato impossibile non solo lavorarci, ma persino ospitarla nel comunque attrezzato centro d’allenamento di Cobham. Semplicemente non c’era abbastanza spazio negli spogliatoi per tutti quei giocatori, e alcuni dei nuovi arrivati, come Mykhaylo Mudryk e Noni Madueke, sono stati costretti a cambiarsi nei corridoi. Poi è arrivato l’imbarazzante momento di presentare la lista UEFA per la seconda parte della Champions League che ha costretto Potter a tenere fuori alcuni dei nuovi acquisti, come Biadiashile, Madueke e Datro Fofana. In quel momento sembrava solo una questione di opulenza, la cara vecchia storia dei soldi lanciati dalla finestra, e invece al passare dei mesi è diventato un argomento di discussione serio riguardo l’esclusione di Aubameyang.

Sulla carriera degli ultimi anni del calciatore diventato commodity si potrebbe scrivere un saggio a parte, ma ciò che ci interessa qui è che la sua assenza è diventata ogni giorno più pesante mano a mano che diventava chiaro che il Chelsea aveva un problema serio con la conversione delle occasioni da gol e nessuna punta di ruolo in rosa. Come ha fatto notare Jonathan Wilson, da quando è ripresa la Premier League dopo la pausa per i Mondiali il Chelsea ha fatto registrare più Expected Goals dei propri avversari in ben 10 delle 14 partite giocate - 14 partite in cui il Chelsea ha raccolto appena quattro vittorie (contro Leicester, Leeds, Crystal Palace e Bournemouth). I più attenti ricorderanno che quello della conversione delle occasioni da gol era un problema di Potter anche a Brighton, dove questo difetto cronico era diventato addirittura un meme ricorrente dell’account Twitter The xG Philosophy.

Allora il fatto che il Brighton underperformasse veniva letto come un segno del buon lavoro del tecnico inglese, che in più interviste ha rimarcato l’importanza di gettare le basi per avere risultati solidi nel lungo periodo. Ed era vero. La scorsa estate il Brighton ha venduto la sua unica punta di ruolo Neal Maupay (alla società peggio gestita della Premier League, l’Everton, oggi in piena lotta per non retrocedere) e Potter aveva rimarcato l’importanza di non sostituirlo. Sembrava solo una posa di chi doveva tenere in piedi un personaggio, e invece il Brighton aveva iniziato questa stagione in maniera brillante, spesso vincendo e overperformando. Questo, che era un punto di forza solo pochi mesi fa, è diventato una fonte di debolezza oggi, così come la propensione di Potter a cambiare spesso modulo, anche all’interno di una singola partita. Caratteristiche che venivano descritte come sinonimo di intelligenza a inizio stagione oggi sono il simbolo della sua confusione, del panico. Cosa è cambiato nel frattempo? La risposta è molto semplice: la montagna di soldi che Boehly e Eghbali hanno scaricato su Cobham. Di fronte a 600 e passa milioni di euro tutto viene incenerito: le discussioni sul lungo periodo, le sottigliezze sulla valorizzazione della rosa, l’ironia sugli Expected Goals. Di fronte alle cifre bisogna alzare le mani ed arrendersi, frugarsi le tasche per cercare altri numeri, i risultati. E i risultati di Potter sono stati pessimi, non c’è che dire.

Nei 206 giorni di reggenza Potter il Chelsea ha avuto una media in campionato di 1.27 punti, il dato più basso della sua storia da quando esiste la Premier League. Parliamo di appena 12 vittorie in 31 partite. E a poco vale notare che Jurgen Klopp, l’allenatore più longevo della Premier League al momento, ne abbia vinta appena una in più nelle sue prime 31 partite. A poco valgono gli alibi, come il fatto che il più importante giocatore del Chelsea degli ultimi anni, N’Golo Kanté, per via degli infortuni abbia giocato con Potter appena 33 minuti. Poco valgono anche i quarti di finale di Champions League, per quanto può suonare assurdo. Qui siamo al Chelsea, dove i soldi ci permettono di avere ragione anche quando abbiamo torto marcio.

In effetti potremmo anche passare oltre questa storia, darci una scrollata di spalle e prendere a prestito la celebre frase di Alex Ferguson sul Tottenham: lads, it’s Chelsea. Alla fine parliamo del club più posh di Londra, che già con Roman Abramovich spendeva senza ritegno e scartava allenatori come caramelle, e che è riuscito nell’impresa di vincere una Champions League con un traghettatore come Roberto Di Matteo (di cui immagino Frank Lampard, nel frattempo ingaggiato come traghettatore fino a fine anno, avrà la gigantografia in cameretta). Cosa ci aspettavamo? Money wins, dice Logan Roy in Succession, ed immagino che lo stesso abbiano pensato Roman Abramovich, Todd Bohely, Behdad Eghbali e qualsiasi altra persona che ha visto il proprio nome comparire almeno una volta sulla lista degli uomini più ricchi di Forbes. A poco vale prendersi la nostra rivincita morale inchiodando i proprietari del Chelsea alla loro ipocrisia, ai comunicati stampa in cui celebravano Potter come un grande “innovatore”, mentre loro si fanno arrivare la burrata in elicottero nel loro yacht da 850 milioni di euro.

Gli highlights dell'ultima sconfitta contro l'Aston Villa, la pietra tombale sull'esperienza di Potter al Chelsea.

L’unico lusso che noi pezzenti possiamo permetterci è vedere come l’arroganza del Chelsea, il club che ha portato al livello globale la cultura dei presidenti-magnate nata in Italia negli anni ’90, sia diventata la regola della Premier League, la nostra personale Superlega. In questa stagione gli esoneri nel campionato inglese sono stati ben 13, tre in più del precedente record della Premier League (che era stato già eguagliato per ben due volte, prima nel 2017/18 e poi nel 2021/22), e non è affatto detto che da qui alla fine della stagione non venga ritoccato ulteriormente verso l’alto. I presidenti della Premier, che in questa stagione hanno speso oltre tre miliardi di euro in cartellini (cioè almeno due miliardi in più di qualsiasi altro campionato europeo), continuano a pigiare il tasto della loro personale slot machine, mentre la competizione anche solo per sopravvivere diventa insostenibile. Non solo il Chelsea, ma anche il Liverpool e il Manchester United potrebbero rimanere fuori dalla Champions League del prossimo anno, mentre in zona retrocessione ci sono addirittura nove squadre negli ultimi sette punti.

Ci si potrebbe aggrappare al pensiero consolatorio che i club più di successo negli ultimi anni sono stati quelli che hanno puntato coraggiosamente sul lavoro di un unico allenatore, come il Liverpool con Klopp, l’Arsenal con Arteta, o lo stesso Brighton con Potter (che oltre al danno di questo esonero si sta subendo anche la beffa di vedere il proprio ricordo incenerito da un nuovo, più eccitante allenatore straniero), ma la realtà è molto più ambigua di così. Se è vero che la squadra che più ha dominato la Premier League negli ultimi anni, e cioè il Manchester City, lo ha fatto puntando fortemente su un unico allenatore, anche dopo una prima stagione non certo esaltante, è anche vero che Guardiola è forse l’allenatore che meglio ha assorbito la cultura consumistica del campionato inglese. Non parlo tanto della ciclopica quantità di soldi che si è ritrovato a gestire - con modalità controverse e con altrettanto controversi datori di lavoro, difesi in maniera isterica nel momento del bisogno - quanto della gestione della rosa, che nel suo continuo mutamento assomiglia al santuario di Ise, in Giappone, smantellato e ricostruito sempre identico ogni vent’anni da più di un millennio.

Il Manchester City è sempre al massimo dell’efficienza, sempre vincente, e il merito è da una parte del tanto vituperato over-thinking di Guardiola, che lo rinnova in continuazione nel solco dei suoi principi tattici, ma dall’altra anche del perfetto tempismo nella sostituzione dei suoi giocatori, rimpiazzati con copie migliori appena superato il prime. È successo ad Agüero, a Zinchenko, a Cancelo, si possono fare i più disparati esempi: nessun allenatore è efficiente come Guardiola nel portare i propri giocatori al massimo e a scartarli non appena quel massimo inizia a declinare. Dovevamo aspettarcelo dall’allenatore che in Catalogna è diventato il migliore nell’applicare il gioco di posizione, che in Germania è diventato il migliore nell’integrare i principi del pressing e del gegenpressing. Guardiola in Inghilterra ha portato a un livello inimmaginabile prima d’ora la tradizionale cultura manageriale degli allenatori britannici, declinata nel mondo accelerato del tardo capitalismo occidentale. Il Manchester City non ha girato le spalle alla slot-machine, ha solo avuto l’intelligenza di far decidere al miglior allenatore al mondo quando e come fare click.

In questo contesto forse ha ragione Barney Ronay a scrivere sul Guardian che l’esonero di Potter era prevedibile e inevitabile. D’altra parte anche io, qui sull’Ultimo Uomo, poco dopo il suo ingaggio mi chiedevo se la Premier League gli avrebbe permesso di rimanere fedele a se stesso. Il mare di denaro in cui naviga il campionato inglese ci costringe ad essere cinici come i proprietari delle squadre che guardiamo, a diffidare delle storie che possano mettere in discussione lo stato delle cose. E da questo punto di vista non c’è storia più controculturale oggi in Inghilterra di quella di Graham Potter: un allenatore formato nelle università, salito alla ribalta nelle serie minori svedesi, che crede nell’insegnamento della sconfitta, che chiede ai propri superiori di non comprare nuovi giocatori, che preferisce vedere se qualcuno ha lasciato qualcosa di utile accanto al cassonetto dell’immondizia. In questi sette mesi scarsi l’allenatore inglese è stato accusato delle cose più assurde, non ultima il fatto di essere troppo onesto o di arrabbiarsi troppo poco con i propri giocatori durante le partite. Che la sua gentilezza fosse percepita come una debolezza è diventato evidente a metà marzo, quando i tifosi del Chelsea hanno esultato perché finalmente Potter aveva detto una parolaccia. “Questa sì che è una cosa da allenatore del Chelsea”, ha scritto l’account ChelsTransfer.

Forse la cosa più ironica e insieme significativa di tutte, però, rimane il fatto che Potter sia stato messo in crisi dai troppi acquisti, o come ha scritto Barney Ronay, da “un reparto acquisti che girava il mondo come un Babbo Natale drogato di crack”. Forse non potevamo permetterci che un allenatore spezzasse il ciclo infernale di acquisti e cessioni della Premier League, che droga il nostro cervello assuefatto dalle sue novità, mentre scrolliamo con il pollice verso l'alto alla ricerca di una nuova storia, di un nuovo allenatore, di un nuovo talento. Click, click, click, click.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura