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Come è cresciuto il Bologna di Mihajlovic
15 lug 2020
15 lug 2020
Una squadra di transizioni con molti talenti giovanissimi.
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In linea teorica, i campionati di calcio sono costruiti per dare a tutte le squadre un obiettivo. Il meccanismo di vittoria, qualificazione alle coppe europee e lotta per non retrocedere cerca di coinvolgere più squadre possibile. Via via che le partite si giocano, però, le gerarchie si definiscono, nella classifica si creano delle spaccature e si forma una zona in cui si è distanti da tutti gli obiettivi: troppo forti per rischiare di retrocede, non all’altezza di una vera lotta per una qualificazione europea. E così, con tante partite che mancano alla fine, certe squadre si ritrovano svuotate di motivazioni. Per cosa bisogna giocare, e i tifosi che cosa continuano a guardare, cosa sperano? Che differenza c’è tra un ottavo, un nono o un decimo posto?


 

Questo tipo di domande esistenziali magari hanno colpito i giocatori e i tifosi del Bologna negli ultimi anni. I rossoblù sono tornati in Serie A in pianta stabile dalla stagione 2014/15 e in questo lustro si sono susseguite stagioni difficili da decifrare. Nei primi tre anni la squadra ha chiuso la stagione con un quattordicesimo posto e due quindicesimi: la salvezza arrivava solo a maggio, con le gambe un po’ tremanti e delle partite sciape. Il 15 maggio del 2016 Luca Baccolini scriveva su Repubblica: «Il solito 0-0 col Chievo e il Bologna chiude al 14esimo posto», con un misto di cinismo e autoironia con cui ci si arrendeva a queste stagioni minori.


 

Un sentimento diffuso nell’ambiente, ricordo che su Twitter un tifoso del Bologna mi disse che l’obiettivo stagionale che si prefissava ogni anno era di arrivare davanti al Chievo Verona: un obiettivo in teoria alla portata che fino a qualche anno veniva sempre fallito. Il presidente Saputo ripeteva spesso di ambire all’Europa, ma si parlava più concretamente di ottavo o dodicesimo posto, ponendo l’asticella in zone di classifica in cui tutte le posizioni si assomigliano tra loro.


 

È stato Sinisa Mihajlovic, a gennaio dello scorso anno, a cambiare tutto restituendo entusiasmo e vitalità a un ambiente un po’ nervoso e ingrigito.


 

L’era di Sinisa


Mihajlovic subentra alla fine del gennaio del 2019 e risolleva la tormentata gestione di Filippo Inzaghi (15 gol in 18 partite). Il Bologna è stata la squadra di Serie A che lo scorso anno ha migliorato di più il proprio rendimento nel girone di ritorno: 18 punti in più, chiudendo a un decimo posto ancora distante da una qualificazione europea eppure significativo. Mihajlovic ha restituito un senso non solo tattico al Bologna, dimostrando che per un club del genere più del piazzamento conta come ci si arriva.


 

Contano le prestazioni, le partite e l’energia che la squadra riesce a restituire al suo pubblico. Mihajlovic ha instaurato un processo virtuoso: ha cominciato a costruire un’identità tattica moderna, ha valorizzato giovani talenti e ha ottenuto vittorie di prestigio, a cominciare dallo 0-1 a San Siro contro l’Inter del febbraio 2019.


 

Una stagione più tardi il Bologna ha battuto di nuovo l’Inter, ma stavolta in una partita completamente diversa. Nella differenza tra le due partite si può leggere tra le righe l’evoluzione del Bologna.


 

Lo scorso anno, alla prima partita con Mihajlovic in panchina, i rossoblù si erano limitati a difendere a oltranza il vantaggio ottenuto con Santander, approfittando dei difetti offensivi dell’Inter. Quest’anno, invece, ha vinto in rimonta sfruttando le proprie armi: non solo l’attenzione difensiva ma anche la fluidità in fase di possesso e il talento individuale sempre più evidente. Ha subìto un’ottima Inter nel primo tempo, ma via via ha preso campo; prima del gol di Juwara ha mandato Orsolini solo davanti ad Handanovic, ha colpito un palo con Barrow e, dopo aver pareggiato, è stato proprio il centravanti gambiano a segnare un gol di grande qualità, con una finalizzazione col piede debole dopo una rifinitura brillante di Nico Dominguez. Entrambi i giocatori sono arrivati nel mercato di gennaio.



Due anni fa il Bologna aveva chiuso la stagione col minor numero di tiri in porta fra le squadre di Serie A. Nella scorsa ha chiuso al dodicesimo posto in questa classifica; quest’anno, mentre scrivo, è ottava. I tentativi per partita sono passati da essere meno di 10, nell’ultima stagione con Donadoni, a 14,5 di quest’anno.


 

In questo miglioramento della pericolosità offensiva c’entra l’aumento del patrimonio tecnico della squadra, ma anche il lavoro di Sinisa Mihajlovic.


 

Una squadra di transizioni


Il Bologna è una squadra fluida, che alterna diversi moduli all’interno della stessa partita, modellandoli sulla situazione di gioco e sull’avversario. Ma nei suoi principi mantiene un’identità spiccata e definita soprattutto dal suo gioco senza palla. I rossoblù hanno l’indice PPDA più basso della Serie A, davanti addirittura all’Atalanta: cioè il Bologna è la squadra che permette agli avversari di effettuare meno passaggi (nei primi sessanta metri di campo) prima di effettuare un intervento difensivo (un tackle, un intercetto che magari portano a un recupero della palla).


 

La squadra di Mihajlovic varia i sistemi di pressing da partita a partita, modulando la propria aggressività, alternando partite in cui pressa in parità numerica la costruzione avversaria ad altre in cui gli attaccanti rimangono in inferiorità e orientano l’uscita sull’esterno, dove poi scatta il tentativo di riconquista. Come detto dall’analista Emilio De Leo in un’intervista al un’intervista al podcast Il Terzo Uomo, in quest’attitudine aggressiva il Bologna esprime il carattere del suo allenatore. La pressione del Bologna è organizzata ma spesso sembra nascere dai nervi dei suoi interpreti. Una squadra ricca di giocatori intensi fisicamente e mentalmente, abituati a difendere in avanti e guidati da Rodrigo Palacio, che a 38 anni è il giocatore con più pressioni individuali nel nostro campionato.


 

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Nella prima immagine il Bologna pressa l’Inter in parità numerica, con Barrow che arriva fino ad Handanovic e Dijks, il terzino sinistro, in pressing molto profondo sul quinto dell’Inter, Candreva. Nella seconda immagine si vede bene la densità in zona palla.


 

A volte, però, la linea difensiva non accorcia con i tempi giusti in avanti e se il primo pressing fallisce la squadra tende ad allungarsi concedendo delle transizioni pericolose e difficili da gestire per il parco di difensori rossoblù.


 

Lo scorso anno, in queste situazioni, era stato fondamentale Lyanco, un aggressivo abile anche a gestire i duelli individuali. In questa stagione Denwsil, Tomiyasu e Danilo sono andati spesso in difficoltà e solo Bani, protagonista di un’ottima annata, è sembrato a suo agio. Come tutte le squadre che creano tanta densità in zona palla, poi, il Bologna soffre gli avversari che riescono a manipolarla in orizzontale. Anche il gol dell’Inter nasce da un ottimo cambio di gioco di Candreva verso Ashley Young, lasciato molto libero sul lato debole.


 

Il Bologna porta i suoi giocatori a difendere in situazioni spesso difficili, ma è una squadra che ha imparato ad accettare i rischi del proprio gioco. Qualcosa di non scontato nella cultura calcistica italiana, che dà di solito grande valore all’equilibrio e alla minimizzazione del rischio.


 

In ogni caso, nonostante i rischi cioè, il Bologna ha l’ottava migliore performance difensiva in termini di Expected Goals, migliore persino di quella della Lazio di Simone Inzaghi.



In questo caso nessuno aveva accorciato su Lautaro Martinez, e così la squadra si ritrova a scappare all’indietro per tanti metri.


 

Anche quando ha il possesso del pallone il Bologna si scontra con i limiti di una rosa non del tutto all’altezza delle proprie ambizioni. La squadra prova a uscire in modo “pulito” dal basso, attirando il pressing e cercando di giocargli alle spalle. Forma un rombo in costruzione con uno tra Danilo e Skorupski come vertice basso, Tomyasu a destra, Denswil a sinistra e uno dei due mediani che si abbassa a formare il vertice alto.


 

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Nella prima immagine Skorupski è il vertice basso, nella seconda lo è Danilo, nella terza è Bani, cioè uno dei centrali, a farlo per liberare un altro uomo dietro la pressione.


 

Il Bologna soffre i pressing particolarmente organizzati e si ritrova a lanciare lungo più spesso di quanto forse vorrebbe: è la terza squadra per duelli aerei giocati, pur non avendo nessun riferimento offensivo in grado di gestirli (a parte Santander, poco più di 500 minuti giocati quest’anno). In compenso la squadra sa attaccare con organizzazione e intensità le seconde palle.


 

Insomma, il Bologna è una squadra di transizioni, difensive e offensive, un po’ per scelta e un po’ per necessità. Senza un vero play davanti la difesa, un giocatore capace di ordinarla col pallone, a volte è persino Tomiyasu che, partendo da destra, finisce a fare l’interno di centrocampo con grandi responsabilità in impostazione. A parte i più difensivi Medel e Schouten, i mediani rossoblù sono tutti giocatori molto dinamici che tendono a leggere il gioco in verticale, e che amano risalire il campo palla al piede.


 

Anche gli attaccanti giocano tutti in modo molto diretto: ai due esterni che giocano a piede invertito - Sansone e Orsolini - si affianca Palacio, tuttora uno dei giocatori più importanti del Bologna per numeri offensivi: il migliore della squadra per progressive runs, Expected assist e poco dietro Orsolini per Expected Goals. La capacità di conversione di Palacio, e la sua incisività negli ultimi metri è stata una questione nel Bologna, che nel mercato di gennaio ha comprato Barrow.


 

Un attaccante dal repertorio di movimenti meno completo e più acerbo di Palacio, anche meno applicato in pressing, ma che ha già dimostrato la sua qualità negli ultimi metri: 7 gol in campionato, contro i 6 di Palacio che ha più del doppio dei minuti giocati. Palacio tira 2.2 volte ogni 90 minuti, Barrow 3.8 (e il doppio da dentro l’area), ma i due non si escludono a vicenda e il gambiano ha giocato anche partendo defilato sulla sinistra.


 

Come si costruisce il valore di una squadra


Musa Barrow, dopo Orsolini, è l’acquisto più costoso della storia del Bologna (13 milioni). Al terzo posto c’è un altro acquisto di quest’anno, Takehiro Tomiyasu. Hanno 22 anni ciascuno e sono due dei giocatori più interessanti di una squadra molto giovane: contro l’Inter, a un certo punto, il Bologna schierava contemporaneamente due ’97 (Schouten, Orsolini), tre ’98 (Tomiyasu, Barrow, Dominguez), un ’99 (Svanberg), un ’01 (Juwara) e un ’02 (Baldursson). Alcuni di loro sono alla prima stagione in Serie A, altri alla prima da titolari, quindi è lecito sperare che abbiano tutti margini di miglioramento più o meno ampi.


 

Sul mercato, grazie all’expertise di Walter Sabatini, il Bologna è bravo a comprare nei campionati più periferici a prezzi ancora bassi (Olanda, Belgio, Sudamerica), giocatori dal grande spessore atletico e per il resto ancora da formare. Tra i nuovi acquisti il più promettente pare essere Nico Dominguez, un centrocampista duttile, molto dinamico ma dai mezzi tecnici non banali, come mostrato nell’assist a Barrow contro l’Inter. Nel medio periodo dovrebbe sostituire Poli, che ancora quest’anno ha mostrato una completezza e una consistenza notevole.


 

La rosa ha delle lacune, ovviamente, soprattutto nel reparto difensivo, ma anche in attacco ci sono stati problemi. Sansone e Soriano sono giocatori utili tatticamente ma hanno offerto troppo poco in termini di produttività offensiva (8 gol e 5 assist in due); l’altro grande giovane talento, Andreas Skov-Olsen, finora ha deluso, cadendo forse vittima dell’eccessiva somiglianza tecnica con Orsolini. Per una squadra che delega grandi responsabilità creative agli esterni d’attacco, servirebbe di più.


 

Il Bologna ha avuto risultati molto discontinui quest’anno. Nel 2020 ha pareggiato, vinto e perso esattamente lo stesso numero di partite. Ma non ha mai smesso di credere in quello che faceva: non ha mai perso coerenza e ha continuato a offrire prestazioni interessanti. Oggi ricopre la stessa posizione con cui ha chiuso la scorsa stagione e con ancora sei partite da giocare, pur con un calendario complicato, è probabile che superi quel numero di punti.


 

Rispetto allo scorso anno la squadra di Mihajlovic è migliorata sia negli xG prodotti che in quelli concessi, due tra gli indici più affidabili per misurare il valore delle prestazioni della squadra. In una stagione partita con la difficile situazione emotiva causata dalla malattia dell’allenatore, non possiamo darlo per scontato.


 

Se la salute di un campionato si misura da quella della sua classe media, quest’anno la Serie A è sembrata più vitale del solito, per biodiversità tattica e capacità di ridurre il gap tecnico con le squadre di livello più alto. Il Bologna quest’anno ha battuto Inter, Roma, Atalanta e, dietro un’apparente immobilità, continua a evolversi e a crescere.


 

 

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