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Emanuele Atturo
Come De Ketelaere ha ripreso vita
09 feb 2024
09 feb 2024
Partita dopo partita è tornato a brillare.
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Emanuele Atturo
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Foto Gribaudi / Imago
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Charles De Ketelaere si allarga sulla fascia: un movimento che ha fatto decine di volte in quella partita, centinaia di volte in questa stagione. Ogni volta, però, la Lazio non riesce a leggerlo. I problemi della squadra di Sarri a difendere l’ampiezza sono noti, e mal si abbinano a quello che quest’anno è diventato il movimento più classico di CDK con la maglia dell’Atalanta.

Manca un quarto d’ora alla fine, la Lazio sta già perdendo 2-0 e non ha l’energia per accorciare velocemente. De Ketelaere porta palla con l’esterno sinistro, compassato come al solito, Pellegrini indietreggia, la postura interamente rivolta verso il fondo del campo; il belga ha una piccola esitazione, prima di rientrare sul sinistro e tirare secco sul primo palo. Il gol che sancisce la sua prima doppietta nel calcio italiano. La segna un anno e mezzo dopo l’arrivo al Milan, durante il quale è passato per tutto il tritacarne mediatico del campionato italiano: la celebrazione precoce, lo scetticismo, la delusione, l’etichettatura come bidone, il passaggio in prestito a una squadra di fascia più bassa. I meme quando è stato ripreso a cantare “Umbrella” in un locale di Bergamo, stonato, imbarazzante.

«De Ketelaere se gioca come canta è un problema» scherzò Gasperini. Il suo personale rehab gasperiniano - con i tagli dietro la difesa al posto del saluto al sole, il pressing a uomo al posto dell’aromaterapia - ha già fruttato 9 gol e 6 assist. Per fare il paragone più crudele possibile: tre reti più di Rafael Leao in questa stagione.

È facile prendere Charles De Ketelaere come simbolo dell’ennesima rinascita dell’Atalanta, che oggi sembra aver trovato un’altra forma di eccellenza, tra le tante che Gian Piero Gasperini è riuscito a generare da quando è a Bergamo. Forme sempre un tantino diverse, ma con alcuni tratti comuni, che a riconoscerli ci fanno stare bene: qualcosa di familiare che da anni contribuisce a definire la Serie A.

Nella stessa partita con la Lazio, il primo gol nasce dal medesimo movimento, anche se sull’altro lato. Charles De Ketelaere fa densità sulla fascia sinistra. Mentre Kolasinac avanza lui si è già proposto alle spalle di Lazzari. Capisce che il compagno tentenna, allora chiama il passaggio a Ruggeri più defilato. A quel punto Lazzari esce del tutto e lui rimane solo, servito in profondità scucchiaia in mezzo il pallone che Scalvini e Pasalic trasformano in gol. Come siamo arrivati a CDK in versione Cruyff, braccio alzato, a orchestrare i movimenti dei compagni?

Gian Piero Gasperini dopo la vittoria contro la Lazio ha detto che De Ketelaere «Si sente la squadra addosso» e ha aggiunto: «sta giocando con una sicurezza sempre maggiore diventando un punto di riferimento per la squadra». Prima della partita aveva detto che se ci fosse stato un rigore lo avrebbe calciato lui. Storie che ci restituiscono l’immagine di un leader tecnico, ovvero forse l’immagine più distante possibile dal giocatore che abbiamo visto al Milan, quella specie di uccello bagnato che faticava a reggersi in piedi, timido e spaesato, antropologicamente inadeguato al calcio contemporaneo e ai suoi ritmi.

In questi mesi De Ketelaere non è diventato un giocatore diverso. Ha continuato a mostrare una presenza precaria e ondivaga nelle partite, e a fare errori inconcepibili. Gasperini però ha capito che il suo gioco fiorisce anche attraversando l’errore, e così abbiamo visto De Ketelaere perdere duelli imbarazzanti, o sbagliare gol difficili da sbagliare, e subito dopo però inventare qualcosa di decisivo. Contro il Milan ha sbagliato un gol a pochi centimetri dalla riga di porta.

De Ketelaere guarda il cielo, dove sta volando il pallone appena calciato.

Nel secondo tempo sembra solo e malinconico. Cade a terra troppo facilmente, dopo un paio di contrasti. Poi però serve un assist a Lookman per il gol del 2-1. Questa timida ostinazione è la novità di questa versione di De Ketelaere, pronto a rialzarsi dopo gli errori, e a perseguire nel suo gioco precario senza perdersi d'animo. Dopo la partita Gasperini lo ha elogiato: «Io gli ho chiesto solo di giocare a calcio. Quando perde una palla gli ho chiesto di non abbassare la testa, chi gioca a calcio sa che si fanno tanti errori, non deve far risaltare gli errori, deve avere fiducia perché ha un ambiente intorno a lui. Dalla parte di Theo si è sacrificato tantissimo».

Gasperini, che in genere non si fa problemi a essere ruvido con i suoi giocatori, in questi mesi lo ha trattato con una dolcezza inconsueta. A inizio anno aveva detto che era il giocatore che mancava alla squadra, non ha mai mancato di segnalare la sua crescita, evidenziare il suo talento nelle giornate buone, ma anche in quelle cattive. Ha continuato a trasmettergli senso di responsabilità, ma anche la libertà di poter sbagliare, l’aspetto meno accettato nella cultura sportiva italiana - a costo di fare qualcosa in meno.

Il lavoro dell’allenatore è stato impressionante. È attorno ai movimenti di De Ketelaere, e alle sue qualità lievi e quasi invisibili, che Gasperini ha costruito l’attacco dell’Atalanta. Un triangolo sempre mobile e fluido, in cui De Ketelaere è libero di cercare la lettura migliore in ogni situazione. Può venire incontro per fare da vertice alto dei triangoli laterali tipici dell’Atalanta; può muoversi in orizzontale verso la fascia o in profondità alle spalle della difesa. Quando c’è da difendere lavora in modo impeccabile, scegliendo momenti e angoli di pressione, sacrificandosi a uomo quando necessario - come contro il Milan, su Theo Hernandez, in una partita chiave per la rinascita dell’Atalanta.

Più vedevano De Ketelaere giocar bene, più i tifosi del Milan si crogiolavano nei rimpianti, e nelle critiche a Pioli, quest’anno mai risparmiato. Lui non ha fatto niente per minimizzare, e ha anzi dato spiegazioni circostanziate, vestite da frecciatine, sui motivi tattici della sua crescita: «Io non sono un giocatore che può correre 12 chilometri a partita, ma posso fare molta intensità e in questa posizione riesco a farlo di più e quindi mi sento anche più forte nell'azione che faccio». Insomma: non poteva giocare sull’esterno di un 4-3-3 come quello del Milan, fare il creatore di gioco a piede invertito, portando palla. Un equivoco che forse ha accompagnato De Ketelaere fin dai primi giorni all’Atalanta, mentre era paragonato a Ilicic. Può essere quel tipo di giocatore, per Gasperini: cioè un creatore di gioco tecnico, un rifinitore, ma non è - o almeno non è ancora - un portatore di palla elusivo come era Ilicic, che scendeva dalla destra come una slavina di tecnica e illusioni. «Una somiglianza con Josip c’è» ha detto Gasperini, suggerendo forse quel territorio liminale tra genio e fragilità. De Ketelaere non è a suo agio con l’uomo addosso quando deve proteggere palla, non è forte nei duelli. Sta migliorando: «Gli ho visto vincere anche qualche contrasto fisico» ha detto Gasperini, stupito, di recente; e contro il Sassuolo in Coppa Italia, per esempio, ha segnato un bellissimo gol proteggendo palla e tenendola lontana dal difensore, prima di scaricare in rete.

È ancora però un giocatore che evita il contatto, se può, e in questo ha uno stile controculturale nel calcio contemporaneo, e in particolare nel calcio italiano. Un calcio fatto di pressing a uomo, di duelli a tutto campo, dove gli allenatori sostengono che le partite le vince chi vince i duelli. De Ketelaere, da parte sua, deve lavorare per sottrazione, infilarsi nelle tasche di tempo e spazio in cui non ci sono i duelli. Muovendosi silenzioso alle spalle dei terzini, o nei mezzi spazi, giocando semplice e a pochi tocchi. I suoi effetti positivi non si limitano a ciò che fa direttamente, ma anche su quello che crea indirettamente: gli spazi che apre per gli inserimenti centrali, la densità che crea sulla sinistra come lato forte della squadra.

Nel triangolo offensivo dell’Atalanta ha giocato più o meno in tutti i ruoli, anche in quello di punta centrale. Al Milan c’era un forte dibattito sulla sua posizione, e quando in estate ha giocato da mezzala nell’under-21 del Belgio ci si chiedeva se quindi non potesse essere arretrato. Non è forse il destino dei trequartisti qualitativi, quello di arretrare di qualche metro? Gasperini invece lo sta usando da punta, e soprattutto da seconda punta, cioè nei ruoli in cui è emerso in Belgio e nei quali veniva usato dai primi allenatori. In quel ruolo comunque agisce soprattutto da rifinitore, come le statistiche più avanzate dimostrano. De Ketelaere tira meno della media delle punte, e i suoi numeri negli Expected Goals non brillano particolarmente; quelli sugli xG assistiti, invece, sì.

Radar di Statsbomb.

Il suo rendimento è esploso soprattutto da quando Ademola Lookman è partito per la Coppa d’Africa e ha giocato insieme ad Aleskej Miranchuk. Dal 3 gennaio, partita in Coppa Italia contro il Sassuolo, ha segnato 5 gol e servito 2 assist in 5 partite giocate. L’associazione con Miranchuk e Koopmeiners (o con Pasalic) è ideale. Il trequartista croato è fenomenale per tempi di inserimento in area, mentre Miranchuk e De Ketelaere fanno gioco attorno a lui. Miranchuk ama ricevere di più nel mezzo spazio di destra e avanzare per il campo a piede invertito, minacciando il dribbling o la rifinitura. De Ketelaere parte dalla zona più avanzata e centrale, e da lì può muoversi verso l’esterno, oppure incontro per giocare in raccordo, sempre un tantino defilato. Dai due lati, però, i due finiscono per riabbracciarsi attorno all’area di rigore.

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Due movimenti ad allargarsi tipici di CDK. Movimenti che abbiamo citato anche all’inizio riguardo la sua partita contro la Lazio.

Quando c’è Lookman in campo tende un po’ a sovrapporsi con i suoi movimenti nella zona di sinistra. De Ketelaere è un giocatore abbastanza intelligente da potersi associare anche con lui, ma senza ha più libertà e responsabilità, e stanno aumentando anche le giocate risolutive. Se per i primi mesi aveva brillato soprattutto in un gioco di piccoli dettagli e rifiniture, oggi De Ketelaere riesce anche nelle cose più appariscenti: non solo segna e fa assist, ma ha iniziato anche a vincere qualche duello fisico, a riuscire in qualche dribbling azzardato sulla linea di fondo.

Nella passmap dell'Atalanta contro la Lazio si capisce piuttosto chiaramente la posizione defilata in cui riceve De Ketelaere. Attraverso di lui, su quella fascia, la Dea risale il campo.

Resta un giocatore peculiare. Un trequartista alto e fragile, che ama giocare spalle alla porta ma resta in difficoltà nel duello corpo a corpo. L’unica partita negativa di gennaio è stata quella contro la Roma, quando Gianluca Mancini ha usato contro di lui una proficua strategia di intimidazione fisica. Gasperini ha deciso di toglierlo all’intervallo in quell’occasione. Forse deve ancora finire di strutturarsi fisicamente, o capire ancora meglio i tempi di gioco, ma a livello mentale sembra un giocatore ristabilito: riemerso dal buco nero di sfiducia e impotenza in cui era precipitato al Milan. Strascichi di quell’insicurezza erano visibili anche nei primi mesi con la maglia dell’Atalanta, e Gasperini si è esercitato in un paziente lavoro di disinfestazione dei fantasmi. La fiducia di De Ketelaere si è liberata progressivamente. Forse proprio a cominciare da quell’errore clamoroso contro il Milan. L’Atalanta veniva dalla sconfitta per 3-0 contro il Torino, che Gasperini aveva commentato sconfortato: «Partita davvero brutta». Sembrava un’involuzione definitiva, di una squadra che negli ultimi due anni è apparsa stanca e incapace di rinnovarsi; Gasperini aver perso il tocco. Da quel momento l’Atalanta ha giocato 11 partite e ne ha vinte 9, pareggiando con la Roma e perdendo contro il Bologna. Gasperini ha ricostruito un’altra Atalanta bellissima, e lo ha fatto attorno a un’ossatura di nuovo forte: Kolasinac come braccetto di sinistra; Ruggeri e Holm che hanno restituito potenza atletica sugli esterni; Ederson che gioca per tre giocatori messi assieme e, appunto, De Ketelaere, che ha restituito magia, brillantezza, visione, a una squadra che negli ultimi anni si stava banalizzando.

Gasperini ha fatto di tutto per dare l’immagine dell’allenatore autocratico, ormai incapace di gestire il talento. Con De Ketelaere, però, sta dimostrando di non aver perso il tocco. Ha raccolto questo uccello bagnato, spaesato e malaticcio, lo ha curato e nutrito, e ora sta iniziando a luccicare come uno degli attaccanti più unici del calcio europeo. A gennaio, mentre iniziava ad aumentare la sua influenza sull’Atalanta, Gasperini ha detto che De Ketelaere sta esprimendo appena il 30% del suo potenziale.

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