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Foto di Claudio Villa/Getty Images
Fondamentali Federico Aquè 6 settembre 2016 8'

Come cambia l’Italia

L’Italia di Ventura non è quella di Conte.

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Il 19 luglio Giampiero Ventura è sereno e pacato mentre fissa, durante la classica conferenza stampa, alcuni princìpi chiave della propria gestione da commissario tecnico della Nazionale italiana: «La base di partenza non potrà che essere la squadra vista all’Europeo, anche se ci sono tanti giovani che vale la pena di aspettare per farli diventare lo zoccolo duro di questa Nazionale. (…) In Italia ci sono un’infinità di esterni, il problema è che il 3-5-2 li penalizza».

 

Ventura ci ha tenuto da subito a inquadrare la propria gestione sulla scia di quella di Antonio Conte, anche a costo di sembrare dall’inizio troppo rigido anteponendo i moduli ai giocatori, considerato che di solito il lavoro di un allenatore in una Nazionale sembra procedere in senso inverso, dai giocatori (migliori) a disposizione, al modulo. L’affinità tattica con Conte è probabilmente il motivo principale che l’ha portato sulla panchina della Nazionale: l’ex allenatore del Torino, d’altronde, non ha trofei da esibire e il suo esordio nelle coppe europee è avvenuto a 66 anni, nel 2014 con i granata in Europa League.

 

Il 4 settembre, nemmeno due mesi dopo, Ventura ha già perso la tranquillità e la pacatezza del giorno della presentazione nel confrontarsi con il suo predecessore, e ribaltando in parte la strategia comunicativa di luglio, ha dichiarato: «In Italia funziona così, c’è il continuo confronto. (…) Visto che giochiamo in Nazioni diverse, direi “goodbye Conte” e adesso inizia la mia avventura qui». Nel mezzo, una sola partita: la sconfitta in amichevole contro la Francia, dopo la quale il nuovo CT azzurro ha già denunciato «il tiro al piccione» che lo avrebbe coinvolto.

 

Ventura ha potuto sperimentare immediatamente la pressione che deve sopportare il CT italiano, ma ha rimesso presto le cose a posto cominciando con una vittoria il girone di qualificazione per i Mondiali del 2018. Il 3-1 in Israele è il piede giusto con cui cominciare il testa a testa con la Spagna per la conquista del primo posto e dell’automatica qualificazione senza passare dagli spareggi.

 

Certo il cammino è ancora lungo e, anche se si sono giocate due partite e la rosa non è cambiata granché, Ventura è stato persino più drastico di Conte nelle sue scelte: nelle prime convocazioni non era presente neanche un esterno offensivo, mentre figuravano ben sei attaccanti centrali (Belotti, Éder, Gabbiadini, Immobile, Pavoletti e Pellè). Si è discusso soprattutto dell’esclusione di Domenico Berardi (che comunque, infortunato, non avrebbe potuto giocare) e la spiegazione che ha dato Ventura è stata ambigua: da un lato ha confermato in maniera inequivocabile la preferenza per il 3-5-2, in cui come detto non c’è spazio per gli esterni (ad esempio, neanche El Shaarawy e Insigne sono stati convocati, che invece erano parte del gruppo con Conte); dall’altro ha dichiarato che sarebbe un peccato non utilizzare l’infinità di esterni offensivi di cui dispone e di voler organizzare dei raduni per educare tatticamente i “tagliati fuori” dal 3-5-2.

 

 

Novità

 

Fatto sta che le novità rispetto agli Europei sono state essenzialmente tre: il rientro di Verratti, l’utilizzo di Bonaventura da mezzala sinistra e la staffetta De Sciglio-Antonelli nel ruolo di laterale sinistro (il primo titolare con la Francia, il secondo contro Israele).

 

Il passo indietro sul ritiro dalla Nazionale di Andrea Barzagli ha permesso a Ventura di non sciogliere il blocco juventino (con Buffon, Bonucci e Chiellini) sulle cui fondamenta poggia la squadra. L’importanza del blocco difensivo della Juve e la sensazione di fragilità che si genera quando un componente viene a mancare si è vista contro la Francia, gara in cui Astori ha sostituito Bonucci nel ruolo di libero.

 

Martial ha segnato l’1-0 sfruttando proprio la mancanza di connessione tra Astori e Barzagli, che leggono l’azione in maniera opposta: il primo si alza cercando il fuorigioco, il secondo segue il taglio di Martial (al quale il pallone arriva per il “liscio” di Chiellini, errore fondamentale per causare il gol, ma irrilevante nell’incomprensione tra Astori e Barzagli), aprendo la linea difensiva e rendendola facilmente attaccabile.

 

Gol Martial

Chi comanda in difesa quando non c’è Bonucci?

 

La gara con la Francia è stata piuttosto strana, indirizzata da eventi eccezionali (come molte amichevoli in cui la concentrazione non è al massimo) e per questo difficile da prendere come riferimento. Quante altre volte capiterà all’Italia di prendere un gol come quello di Martial, su un lancio molto facile da leggere e passato per un grave errore tecnico di uno dei suoi difensori? Quante volte è capitato a Chiellini di essere così fuori forma da avere non solo problemi col pallone, ma anche in marcatura (vedi il 2-1 di Giroud)? Tutto considerato l’intensità delle critiche indirizzate a Ventura è stata probabilmente ingiusta, ma vale la pena provare a ragionare anche al contrario.

 

Quanto è replicabile il gol di Pellè, arrivato dopo un grande spunto di Éder sulla fascia e una giocata da centroboa, bella quanto prevedibile, dell’attaccante dello Shandong Luneng? Più che gli errori difensivi e i tre gol presi, è stata preoccupante la difficoltà a creare occasioni da gol: l’Italia ha toccato il 59,8% dei palloni, ma ha tirato solo 2 volte in più della Francia (12 a 10), centrando lo specchio in appena 2 occasioni.

 

 

Cosa ci dicono queste prime due partite

 

Ventura ha avuto la possibilità di testare la squadra in due gare diverse tra loro, mettendone dunque alla prova la capacità di adattamento, prima contro una squadra chiusa (la Francia), che lasciava giocare gli azzurri, poi contro una squadra che contestava loro il primo possesso (Israele), aggredendo e occupando con molti uomini la metà campo italiana.

 

L’aspetto comune dei due approcci era comunque la volontà di disturbare i tre difensori centrali, fonte di gioco della Nazionale: la Francia con un atteggiamento più passivo, con i tre attaccanti a oscurare le linee di passaggio verticali a Barzagli, Astori e Chiellini; Israele con un atteggiamento più aggressivo, con marcature dedicate a ciascun componente del rombo di impostazione, Barzagli, Bonucci, Chiellini e Verratti.

 

Pressing Israele

Ogni giocatore del rombo di impostazione dell’Italia è seguito da un israeliano: Tal Ben Haim è molto bravo a impedire col proprio corpo il passaggio laterale verso Antonelli, costringendo Chiellini a tornare verso il centro del campo.

 

È il caso di fissare un primo paletto che separa Ventura da Conte: se possibile, infatti, il coinvolgimento dei centrocampisti nella costruzione dell’azione, oggi, è ancora più limitato di quanto non lo fosse pochi mesi fa.

 

Con Conte uno dei movimenti classici in fase di impostazione prevedeva l’abbassamento della mezzala al posto del laterale di fascia, che poteva così tenere da subito una posizione molto alta sulla linea degli attaccanti, costringendo la difesa avversaria a difendere contemporaneamente ampiezza e profondità. In questo modo le mezzali venivano coinvolte dai difensori centrali nella costruzione bassa dell’azione, garantendo un’uscita del pallone più “pulita”.

 

Con Ventura, il compito dei centrocampisti, e in particolare delle mezzali, è di creare gli spazi per chi imposta, in particolare per i centrali destro e sinistro e per gli esterni.

 

Impostazione Chiellini

Bonaventura e De Rossi si fanno da parte per aprire un corridoio centrale in cui Chiellini si può infilare per avanzare palla al piede e decidere la giocata: in verticale sui due attaccanti o larga verso gli esterni.

 

La mezzala taglia sulla fascia solo una volta che il pallone è arrivato all’esterno, per liberare lo spazio in diagonale per una giocata verso gli attaccanti (sempre molto vicini per eseguire le consuete combinazioni che prevedono il movimento incontro dell’uno, e quello ad attaccare la profondità dell’altro); oppure per consentire al laterale di giocare l’uno contro uno con il diretto avversario; o, ancora, di sfruttare quel movimento per sovrapporsi esternamente e arrivare sul fondo.

 

Con Conte il set variabile di movimenti in fase di impostazione rendeva la squadra più imprevedibile e a suo agio nell’affrontare le diverse linee di pressing avversarie, con Ventura invece le posizioni sono più rigide, il flusso del gioco si muove sempre dal centro verso le fasce e, così, la squadra rischia di diventare facilmente leggibile.

 

Alla Francia, ad esempio, è bastato occupare il centro del campo per rendere innocua l’Italia. In questo modo l’unica rifinitura possibile diventa il cross, e per creare qualche pericolo si finisce per dipendere dai giocatori di fascia: Candreva da un lato (che come al solito ha inondato di cross l’area di rigore, senza troppa precisione) e Bonaventura dall’altro. Il milanista in realtà ha compensato in parte la prevedibilità svolgendo il ruolo di giocatore “fuori sistema”, che non garantisce tutti i movimenti richiesti alla mezzala, ma può far saltare il banco con la sua qualità nell’uno contro uno (vedi il rigore conquistato contro Israele).

 

L’Italia è comunque in grado di giocare fasi di possesso piuttosto brillanti, sia in palleggio per aggirare il pressing avversario, che attraverso i classici schemi verticali e veloci a cui abbiamo fatto l’abitudine dopo il biennio di Antonio Conte (e molti riferimenti del suo gioco sono ancora presenti). Che sia colpa dell’atteggiamento degli avversari, di una mancanza di creatività individuale o di organizzazione, l’Italia non è però sempre fluida nel passaggio dalla fase di costruzione a quella di rifinitura e quando inizia a girare la palla da un lato all’altro del campo (una situazione che chi ha seguito le squadre di Ventura conosce piuttosto bene) diventa facilmente controllabile.

 

Non è soltanto un problema per la pericolosità degli attacchi, ma soprattutto per la tenuta difensiva. Il gioco dell’Italia non prevede un grande consolidamento del possesso nella metà campo avversaria e se il passaggio dalla fase di costruzione a quella di rifinitura non è fluido, le distanze tra il rombo di impostazione e il resto della squadra sono troppo ampie per essere recuperate in caso di palla persa. Si è visto soprattutto in Israele, specie per la pessima prestazione di Chiellini.

 

È difficile, comunque, vedere l’Italia giocare fasi di possesso palla “continue”, con l’immediata aggressione degli avversari a palla persa per riconquistarla subito. Rispetto a Conte, ed era forse l’aspetto più facilmente prevedibile, la squadra è meno aggressiva e più a suo agio a schierarsi immediatamente in un 5-3-2 che concede consapevolmente le fasce a inizio azione per poi far scattare le proprie trappole e costringere la squadra avversaria a tornare indietro o a forzare la giocata. È molto difficile togliere l’Italia dalla sua comfort zone: le fasi di pressing sono molto brevi e i giocatori recuperano immediatamente le posizioni. Anche se in modo diverso, cioè, l’Italia dà ancora quella sensazione di generale solidità alla quale abbiamo ormai fatto l’abitudine.

 

Fase difensiva Italia

La mezzala, in questo caso Bonaventura, è il primo a uscire, i compagni dal suo lato accorciano, mentre i due centrali rimasti, nella circostanza Bonucci e Barzagli, si danno copertura reciproca e il laterale opposto, Candreva si abbassa a coprire il lato debole. Penetrare un simile blocco difensivo è molto difficile per qualsiasi squadra.

 

 

Come cambiare?

 

La sofferta vittoria in Israele, arrivata con le tipiche qualità associate alla nostra Nazionale: la capacità di chiudersi e saper reagire alle situazioni più complicate ha salvato Ventura da un inizio pericolosamente in salita.

 

Se la sua scelta era probabilmente la più logica per proseguire nel solco lasciato da Conte, è necessaria comunque un’evoluzione, nel gioco e negli uomini per superare la Spagna e conquistare la qualificazione diretta ai Mondiali. Il CT dovrà risolvere innanzitutto l’ambiguità mostrata nei confronti degli esterni offensivi, ruolo in cui è concentrato il poco talento al quale il selezionatore può attingere: le due partite contro Francia e Israele hanno confermato la necessità di giocatori bravi nell’uno contro uno quando la manovra diventa lenta e prevedibile.

 

Poi ci sarà da trovare il giusto assetto in mezzo al campo: Verratti è stato di gran lunga il migliore in Israele, unendo la rara tranquillità con cui è in grado di gestire il pallone a una prestazione superba in fase difensiva, con 7 palloni recuperati, 6 contrasti vinti su 7 e 2 intercetti. Ma in questo 3-5-2 può trovare spazio solo da regista, ruolo in cui ha giocato in Israele: da mezzala toccherebbe meno palloni, e sarebbe costretto a creare corridoi per i difensori centrali e ad associarsi con il laterale nelle catene di fascia. Da mezzala sarebbe sacrificato anche Marchisio, che probabilmente quando tornerà a giocare lo farà proprio davanti alla difesa…

 

Insomma, Ventura ha avuto modo di assaggiare le pressioni che dovrà sopportare d’ora in avanti. Sta iniziando a conoscere la squadra e a imprimere il proprio marchio. Quello della Nazionale, però, è un cammino lungo e difficile e da qui in avanti ogni mossa va calcolata con largo anticipo. Il che significa anche, però, che noi spettatori tifosi dobbiamo imparare ad avere pazienza.

 

 

Tags : ciro immobilegiampiero venturanazionale italianarussia 2018

Federico Aquè ha collaborato con Sprint&Sport, Datasport e Sportmediaset.

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