
Circondata da una certa indifferenza, mentre ci si chiedeva come avrebbe fatto la Juventus ad acquistare Vlahovic, l’Inter ha comprato uno dei migliori giocatori della Serie A recente. Robin Gosens arriva a Milano per 22 milioni di euro più bonus: una cifra che appena sei mesi avremmo ritenuto insufficiente, per uno dei laterali migliori d’Europa. Una valutazione di certo abbassata dall’inattività di Gosens negli ultimi mesi, che ha ridotto l’hype che lo circondava quest’estate, quando era diventato l’eroe per caso della Germania, il suo miglior giocatore offensivo, e Angela Merkel parlava di lui.
Gosens ha giocato appena 400 minuti quest’anno in campionato, in cui ha fatto in tempo a fare un solo gol. A settembre ha rimediato una lesione muscolare alla coscia destra, l’infortunio più importante della sua carriera finora. Nelle tre stagioni aveva accumulato più di 120 presenze con la maglia della Dea e sembrava indistruttibile, uno degli esseri umani più in forma del nostro campionato.
Arrivato a fari spenti come tutti gli esterni di Gasperini, la sua influenza sul gioco dell’Atalanta era cresciuto a dismisura, superando il rendimento di qualsiasi altro esterno nerazzurro, anche dei più trascendentali (Conti, Castagne, Hateboer). Gosens nelle ultime due stagioni aveva superato i limiti di cosa può fare un esterno in una partita di calcio. Non nel modo in cui lo ha fatto Cancelo, cioè attraverso la versatilità delle funzioni e la sofisticazione delle letture, ma in modo ben più brutale: segnando, segnando moltissimo, e diventando un fattore di pericolo difficile da contenere nei pressi dell’area. Visto che forse ci siamo dimenticati delle proporzioni dell’impatto di Gosens in Serie A, vale la pena ricordare qualche numero: nelle due stagioni prima di questa ha messo insieme 20 gol e 14 assist. Con 11 reti segnate solo lo scorso anno, è diventato il secondo difensore ad andare in doppia cifra dai tempi di Marco Materazzi al Perugia. Definire Gosens un “difensore” è assurdo, certo, ma a differenza di Materazzi non ha calciato i rigori.
Quello del ruolo è il tema più interessante per Gosens, perché pochi giocatori hanno reso più evidente quanto quello del ruolo sia un concetto vuoto e inapplicabile, di sicuro inservibile per provare a spiegare quello che fa Gosens su un campo.
Parte largo, a piede naturale, ed è bravo a creare i triangoli delle catene laterali tipici delle squadre di Gasperini. Per tre quarti di campo, Gosens gioca in maniera semplice: non è mai stato un fattore determinante per la risalita del campo dell’Atalanta. Non è mai stato fra i migliori del campionato, per esempio, per passaggi e corse progressive (cioè quelle che fanno guadagnare campo alle squadre). Nell’ultimo quarto di campo, però, Gosens è devastante. Le sue statistiche, rispetto ai pari ruolo, sono incredibili. Secondo i dati di Statsbomb (Fbref) è nel 99esimo percentile per gol, tiri, xG, npxg+xA. Nel 98esimo percentuale per tocchi in area di rigore. Significa che Gosens non è misurabile come lo sono gli esterni o i terzini: per due anni è stato di fatto un attaccante ombra dell’Atalanta. Questi numeri sono chiaramente gonfiati dal sistema di Gasperini, che responsabilizza molto gli esterni in chiave offensiva: attacca con molti uomini sopra la linea della palla, sovraccaricando le catene laterali, e costruisce molti attacchi improvvisi sul lato cieco e tanti cross sul secondo palo. Va detto però che Gosens è un maestro di quelle situazioni, ha una predisposizione naturale all’attacco dell’area di rigore. C’è un ampio repertorio di suoi gol in cui sbuca sul secondo palo alle spalle del terzino avversario, una sentenza: qualcosa che sai che devi aspettarti ma che non sai come prevenire. Il mio preferito è questo segnato alla Roma, dove si muove con una specie di preveggenza incontro al cross, nel punto esatto in cui può anticipare sia il portiere che il difensore.
Tra i suoi gol classici, quelli in cui cade. Come avevo scritto qui, è come se il suo corpo faticasse a contenere la propria stessa esplosività; come se ci fosse qualcosa di insostenibile a livello gravitazionale per Gosens che sbuca sul secondo palo per tirare. Pare aver direttamente incorporato la caduta nella sua tecnica di tiro, come se il suo corpo dovesse tutto trasformarsi in una sponda fra la palla e la porta. Fra i gol segnati cadendo, il mio preferito lo ha segnato proprio all’Inter a San Siro. Un cross deviato che prende una parabola strana che solo Gosens capisce; e ha il guizzo per immaginare una coordinazione assurda cadendo, colpendo la palla di controbalzo, mettendola sul secondo palo così angolata che Handanovic neanche si tuffa (ok, Handanovic se non ci arriva raramente si tuffa).
Lo consideravamo una delle tante stranezze esotiche dell’Atalanta: una squadra che prende i giocatori normali e li trasforma in bestie feroci che mettono a ferro e fuoco i campi della Serie A. Che strana figura, questo terzino con i muscoli delle braccia che sembrano poter fare a brandelli la maglia, le cosce di un ciclista, il fiato di un iron man, buono per coprire la fascia un numero virtualmente infinito di volte. Il campo da calcio troppo piccolo per Robin Gosens. Poi però ci sono stati gli Europei, e Gosens ha giocato a fianco di giocatori leggendari come Thomas Muller e Toni Kroos, e non ha sfigurato, anzi. Gosens era diventato la principale fonte di pericolo in una squadra che attaccava in modo posizionale ma spesso troppo lento e prevedibile. Gosens arriva sempre da dietro a fari spenti, sceglie sempre alla perfezione il tempo della sua corsa, ha una fisicità difficile da contenere e in fase di conclusione è grezzo ma sempre efficace. In una delle partite chiave del torneo, contro il Portogallo, è entrato quasi in tutti e quattro i gol della Germania.
In un sistema che attacca in modo posizionale, con calma e dominio del pallone, Gosens dovrebbe essere a suo agio. Su questo ci sono pochi dubbi. La catena sinistra dell’Inter è una delle più interessanti del campionato, per quanto viene sollecitata e per i meccanismi che attiva. Lo è soprattutto perché quello è il lato in cui gioca Alessandro Bastoni, un braccetto di sinistra con un’interpretazione davvero unica del ruolo. L’aumento dei compiti offensivi dei centrali di una difesa a tre è una tendenza consolidata degli ultimi anni, ma Bastoni l’ha esasperata in modo così radicale che a volte ci chiediamo proprio cosa stia facendo. Aiuta l’uscita dal basso, certo, ma poi conduce palla, si associa coi compagni, arriva alla conclusione e alla rifinitura dal limite dell’area. È un uso del centrale di sinistra che Simone Inzaghi faceva per creare superiorità anche nella Lazio, con Acerbi, ma con Bastoni si stanno varcando delle frontiere.
Accanto a Bastoni, e a Calhanoglu, la presenza di Perisic a volte pare ridondante. Nel senso che il croato vuole ricevere sui piedi e portare palla, puntare l’uomo e mettere il cross. Questo non è il gioco di Gosens, che invece è eccezionale soprattutto per i suoi movimenti senza palla. La sua presenza lascerebbe a Bastoni e Calhanoglu la costruzione dell’azione, mentre lui si potrebbe concentrare nei movimenti senza palla e nell’attacco della profondità, situazioni in cui offre il meglio e che lo rendono un’anomalia nel nostro campionato. Potrebbe prendere subito una posizione più avanzata di loro.
L’Inter non ha problemi a consolidare il proprio dominio nella metà campo avversaria, mentre fatica di più a essere incisiva con la difesa avversaria schierata, anche per un rendimento delle punte non sempre brillante quest’anno - almeno in finalizzazione. Gosens in campo è praticamente un attaccante in più. Nelle partite più incartate non è un caso che Denzel Dumfries salga spesso in cattedra, per la fisicità con cui riesce ad attaccare il secondo palo o per l’intraprendenza nell’uno contro uno. Gosens è stato semplicemente il miglior esterno in quelle situazioni, in cui si attacca una difesa schierata e serve un uomo in più, inatteso, ad attaccare l’area di rigore.
Nel frattempo Andreas Brehme, storico laterale nerazzurro, ha fatto il suo endorsement, rievocando la grande tradizione tedesca dell’Inter. «Sono arrivato con la voglia di continuare a scrivere la storia dei calciatori tedeschi all'Inter. I gol sono una mia caratteristica, spero di farne tanti anche a San Siro e di aiutare la squadra» ha detto Gosens.
Insomma, l’acquisto di Gosens non sembra avere punti oscuri. L’unico dubbio, ma non marginale, è quello della sua condizione fisica. La dimensione atletica è per il gioco di Gosens il presupposto di tutto il resto: senza quella tutto il resto cade. Bisognerà vedere quindi in che condizioni rientrerà, e quanto ci metterà a recuperare una condizione buona. La presenza di Perisic, che sta giocando una grande stagione, assicura comunque un passaggio di consegne più morbido. I due hanno cinque anni di differenza, e il croato ha il contratto in scadenza (non è detto che non arrivi il rinnovo). L’Inter, comunque, sta programmando anche per la prossima stagione. Non è scontato, per una squadra che qualche mese fa aveva l’aria di una casa lussuosa in dismissione. Oggi la squadra è prima in classifica e, anche grazie alla mano fatata di Inzaghi, pare la rosa costruita con più raziocinio. L’acquisto di Gosens è un altro mattoncino.