
Nei loro primi undici incontri a livello ATP, in un periodo che va dal 2004 al 2007, Roger Federer e Rafael Nadal si incontrarono in sette finali a livello Masters 1000 o Slam, addirittura già al secondo incontro nella famosa finale di Miami vinta dallo svizzero al quinto set. E se l’attuale duopolio Sinner-Alcaraz ricorda per certi verso quello del Fedal prima dell’avvento di Djokovic quella di domenica pomeriggio a Roma tra i due sarà soltanto la prima finale disputata sopra al livello degli ATP500. Se ci si pensa è un po’ assurdo, considerando che ad esclusione del già citato Djokovic nessun tennista ad eccezione dello spagnolo e dell’italiano vince uno Slam dal 2021, quando Daniil Medvedev spezzò i sogni di Grande Slam proprio del campione serbo. I motivi sono vari, dalle lune di Alcaraz, che ha perso in casi in cui avrebbe potuto incontrare Sinner in finale, fino alla squalifica di Sinner, oltre che banalmente al caso. Ora però possiamo domandarci: come arrivano il numero uno e due del mondo all’undicesimo atto della loro rivalità? Come il tennis generale, è una faccenda è complicata.
La finale di Roma è anche un modo per parlare meglio di quello che sta passando Carlos Alcaraz, e il livello del tennista spagnolo è tale che un inizio di stagione con quarto Slam, un 1000 e un 500 vinti sono percepiti come al di sotto delle aspettative. Forse è anche un po’ un risultato dell’esaltazione collettiva, del tutto giustificata, che circonda lo spagnolo da quando è sceso dal cielo sul circuito ATP sin dai suoi primi battiti. Da un tennista con quelle capacità fisiche e tecniche non si può che chiedere meno della perfezione. Si è parlato tanto nell’ultimo periodo del documentario Carlos Alcaraz: My Way, su cui si è detto tutto e il contrario di tutto. In particolare si è diffusa la sciocchezza per cui Alcaraz non sarebbe un vero professionista perché non indossa saio e cilicio fuori dal campo ma è vero, ed è anzi molto interessante, la versione che Alcaraz offre di sé stesso in un documentario dalla costruzione piuttosto standard.
I titoli dei tre episodi parlano da soli: "Trovare gioia nel dolore", "Non sono Rafa", "La mia strada". Una sorta di manifesto programmatico. Tralasciando le discussioni sulla gestione degli allenamenti e della vita privata di Alcaraz, aspetti che spesso sono sottovalutati dal grande pubblico quando si parla di atleti di altissimo livello, ciò che colpisce è la sua sorprendente sincerità, o meglio, la sua estrema trasparenza nell’ammettere di essere disposto a soffrire pur di diventare la versione migliore di sé stesso. Mettere in discussione il desiderio di Alcaraz è praticamente impossibile per chiunque lo abbia visto giocare. Ma ciò che emerge, dal punto di vista che più ci interessa, e cioè quello tecnico e tennistico, è un'indicazione preziosa: le difficoltà che sta affrontando riguardano soprattutto la gestione tattica e mentale della partita.
La loro prima finale per ora si è giocata, curiosamente, sulla terra rossa di Umago.
Il paradosso del tennis di Alcaraz è che il suo gioco è sostanzialmente lo stesso rispetto a quando si è imposto come numero uno a Wimbledon 2023 contro Djokovic, ma mentalmente non è ancora arrivato a una sintesi del suo tennis tale da potergli permettere di tenere il rendimento sempre al massimo. Proprio contro Djokovic all’Australian Open è arrivata una sconfitta anche inaspettata nella misura. Nole ha sicuramente sparato alcune delle sue ultime cartucce ma è stato aiutato dalla condotta di gara di un Alcaraz falloso e pieno di dubbi. Del resto ha ammesso di non star passando un grande periodo fuori dal campo, tanto da aver valutato una pausa, e nel documentario esprime chiaramente come la sua più grande paura sia che giocare a tennis diventi un “obbligo”. Un timore comprensibile per un giocatore che fa del virtuosismo, della gioia di giocare e dell’improvvisazione jazzistica le basi del suo tennis. Rispetto al 2023 Alcaraz sembra aver smarrito un po’ della dittatura con il sorriso che sembrava imporre ai suoi avversari, che ora sembrano avere anche meno timore reverenziale. Il risultato è un tennista paradossalmente meno costante di quando era ancora più giovane. Come se ogni tanto si risvegliasse dall’incantesimo della leggerezza di cui è composto il suo tennis e venisse travolto dal peso di quello che brutalmente implica essere al vertice di questo sport.
La misura dei suoi problemi l’ha data Indian Wells, un torneo che normalmente domina, dove è uscito contro Jack Draper in una partita isterica e giocata a “strappi”. Il ritorno sulla terra battuta ha aiutato un po’ il morale e il tennis di Carlitos, che ha vinto Montecarlo senza però mostrare mai un livello veramente convincente. Prima della finale Alcaraz ha rischiato grosso con Fils e contro Musetti. All’atto finale è andato sotto di un set prima che l’azzurro alzasse bandiera bianca per un infortunio. La voglia di giocare in patria ha penalizzato Alcaraz, che ha voluto comunque giocare Barcellona e ha subito un infortunio nella finale persa con Rune che gli ha fatto saltare Madrid e ha condizionato la sua preparazione a Roma. Una scelta di programmazione più di cuore che da top player, e che per fortuna non ha avuto ricadute sul Roland Garros.
A Roma Alcaraz ha continuato ad andare a fasi alterne. In ogni caso, capiamoci. Il tennis prodotto dallo spagnolo è molto incostante anche nello stesso game, dove può alternare due vincenti clamorosi in fila ad errori piuttosto gravi di scelta tecnico-tattica. Questo però non lo limita dall’esprimere un rendimento molto alto, specialmente in quei momenti della partita in cui l’avversario dà l’impressione di contenere il mare con le mani. Alcaraz con Khachanov ha perso il primo set della carriera e si è fatto rimontare un break di vantaggio nel secondo set, prima di portarla a casa al terzo. Nella sfida con il britannico Draper ha avuto fiammate importanti che unite al poco cinismo di Draper nei punti pesanti gli sono bastati per portare a casa un quarto di finale dal ritmo irregolare. In semifinale la sfida con Musetti aveva un ventaglio molto ampio di possibilità, e ne è uscito fuori forse il peggiore per la qualità di tennis espressa. Una partita piena di errori e con rari sprazzi di qualità, testimoniata dal dato degli errori non forzati, il 52% dei punti totali dell’intero match. L’italiano ha avuto poco aiuto dal dritto, bloccato forse dalla tensione, e Alcaraz non ha dato l’impressione di stare per rischiare davvero nemmeno quando si è trovato sotto di un break nel secondo set. Non ha giocato un torneo brillante, ma ha limitato i momenti di buio e soprattutto le loro conseguenze, e questo non è poco per un giocatore come Alcaraz. Magari non è stato brillante, ma intanto ha fatto fuori due dei migliori giocatori delle ultime settimane - Draper e Musetti - senza mai dare l’impressione di poter perdere. Questo è proprio il discorso che facevamo all’inizio: le critiche ad Alcaraz sono spesso un esercizio di ricerca del pelo nell’uovo.
Qualche dubbio in più se l’erano invece fatto venire gli spettatori del Centrale nella sera di venerdì, con Jannik Sinner, come sempre stoico ma con il volto sofferente di San Sebastiano trafitto dalle frecce, che si ritrovava a un passo dal bagel contro l’americano Tommy Paul. Una visione straniante, contando che il numero uno del mondo è sempre estremamente controllato nelle emozioni, una sfinge enigmatica che trasmette solo il fatto che quella partita la vincerà. Persino lui sembrava un po’ insofferente, fuori fase, come gli era capitato al primo turno del Roland Garros con Corentin Moutet. Aggiungiamo a tutto questo Sinner che si tocca di continuo dietro la gamba destra e la sua minore stabilità sugli appoggi per dare i contorni di un possibile psicodramma. Come successo in Francia però Sinner ha rimesso in piedi la sua partita con la grazia del suo dritto che creava fossi nel campo del Centrale, un parziale in inizio di secondo set ha indirizzato l’andamento e solo la strenua resistenza di Paul nel terzo ha evitato che il match finisse in anticipo. Ma quindi dopo tre mesi di stop davvero siamo a dove ci siamo fermati con Jannik Sinner? A quanto pare non siamo troppo lontani.
I tre mesi di squalifica per la vicenda Clostebol ci hanno consegnato un Sinner più in forma fisicamente, e di certo più sereno. Al contempo gli allenamenti con i top player come l’amico Jack Draper sono chiaramente ben altra roba anche rispetto al giocare contro un tennista di livello molto più basso, ma in una partita vera. L’illusione fisica o tecnica è più o meno la stessa, ma gli stakes in gioco sono ben altri, oltre che la risposta del corpo stesso ad una situazione di stress che nel caso dei professionisti è ancora più accentuata rispetto agli allenamenti. Si è visto bene contro Mariano Navone e Jesper De Jong, due terraioli dalle caratteristiche diverse ma chiaramente piuttosto abbordabili, perfetti per riprendere ritmo partita e affinare un dritto e una prima di servizio apparsi, soprattutto contro De Jong, un po’ ondivaghi. Il primo test probante è stato Francisco Cerundolo, che proprio a Roma nel 2023 aveva battuto Sinner in una partita dolorosa e sofferta. L’argentino ha tenuto testa a Sinner da fondocampo in condizioni molto umide e lente, ma nel momento decisivo l’italiano ha dimostrato di essere in grado, nonostante l’inattività, di trovare una marcia ulteriore.
Il quarto di finale con Casper Ruud, fresco di prima vittoria 1000 a Madrid, sulla carta si presentava ancora più impegnativo, anche se in realtà, a un'analisi più approfondita, le caratteristiche di Ruud si sposano molto male con il tennis di Sinner anche su terra battuta. Nulla che comunque presagisse la tempesta abbattuta sul Centrale, con il numero uno del mondo che ha completamente cannibalizzato il povero Ruud, arrivato a esultare per un game vinto ad evitare il doppio bagel. C’è chi l’ha trovata una conseguenza della visita a Papa Leone XIV, il post-Pope Sinner, sulla scia del post-puke Sinner di Pechino che aveva portato all’esplosione di fine 2023. Proprio chi ha potuto ammirare il god mode di Sinner nei quarti si è spaventato per la prestazione con Tommy Paul in semifinale, già traumatizzati dalla perdita di una possibile finale Sinner-Musetti. L’americano però storicamente è un avversario duro per Sinner, data la sua completezza da fondo campo unita a ottime doti atletiche, e le condizioni di gioco erano molto più lente della sera prima. Tutto è bene quel che finisce bene, e il pubblico italiano domenica si godrà in ogni caso la miglior partita che questo sport possa attualmente offrire.
Nel terzo set con Paul Sinner si è lamentato di un problema muscolare al flessore destro. Sembrava avere qualche fatica a spostarsi verso il lato del dritto. Dopo la partita ha dato una risposta confusa, ma scansando comunque qualsiasi problema muscolare. Ha ammesso solo l’esistenza di una vescica molto dolorosa. Alcaraz sembra stare bene fisicamente, nonostante la fasciatura vistosa e l’esordio del cerotto nasale, e non dovrebbero esserci fattori esterni a condizionare la partita al di fuori della normale ruggine ancora presente nei ritmi tennistici di Jannik. Considerando la superficie e le condizioni dei due la sfida sembra pendere leggermente dal lato di Alcaraz, che non perde contro Sinner dalla semifinale sul cemento indoor di Pechino di due anni fa e ha una striscia aperta di tre vittorie consecutive. I due si sono affrontati anche in Arabia Saudita, su una superficie molto rapida su cui ha vinto Sinner, ma è un evento non conteggiato nelle statistiche ufficiali. Anche questa volta la partita sarà sul terreno di caccia di Alcaraz, la terra battuta, e l’inedito fattore casa difficilmente potrà scalfire le certezze dello spagnolo.
La loro sfida al Roland Garros.
Il paradosso è che nonostante abbia vinto gli ultimi due Slam Sinner sarà molto più libero di testa rispetto a Carlitos, tra la superficie sfavorita e il fatto che, anche a detta di Jannik, non ci si aspettasse di fare tutta questa strada già a Roma. Alcaraz ha dimostrato di lasciare da parte tutti i discorsi sull’incostanza quando gioca con Sinner, un avversario che reputa un suo pari e in grado di farlo restare tennisticamente sull’attenti anche per tante ore di partita. Per Sinner vincere rappresenterebbe uno statement quasi spaventoso. Sulla superficie meno preferita, al rientro da tre mesi di inattività, contro il miglior tennista al mondo sul rosso. Di certo questo è quello che si augurano i suoi tifosi italiani e la FITP. Il successo al torneo di Roma per un italiano manca da quando Adriano Panatta trionfò in finale nel 1976 contro Guillermo Vilas. D’altro canto una vittoria, l’eventuale quarta in fila, di Carlos Alcaraz sarebbe una bella dimostrazione di forza in vista del Roland Garros, teatro del loro ultimo scontro Slam vinto proprio dallo spagnolo in una battaglia fisica e mentale da cui ne è uscito trionfatore. Un modo anche per riaffermare la propria superiorità su una superficie in cui, oltre a Sinner e un possibile canto del cigno di Djokovic, non sembra esserci qualcuno in grado di batterlo sui cinque set. Se la sceneggiatura di Roma era questa sin dalla compilazione dei tabelloni, ora non resta che sapere come verrà scritta.