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Collegiali: Trae Young
26 gen 2018
26 gen 2018
Nella nostra nuova rubrica di avvicinamento al Draft, andiamo a scoprire pregi e difetti del talento dell'università di Oklahoma.
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Il prossimo Draft NBA 2018 si preannuncia pieno di talenti, specialmente nella top-5: con la nuova rubrica "Collegiali" vogliamo farvi scoprire in anticipo i giovani giocatori che promettono di rubarvi il cuore negli anni a venire.

È il 19 novembre del 2008 e al Lloyd Noble Center di Norman, Oklahoma il programma della giornata prevede la sfida tra i Sooners padroni di casa e la Davidson del leggendario coach Bob McKillop, che però in quel periodo è più conosciuta come la squadra di Steph Curry. Stiamo parlando di un giovane Curry, ancora lontano dall’essere la macchina da guerra realizzativa che è oggi, ma che finirà comunque l’anno come il miglior realizzatore di tutta la nazione — una novità all’interno della pallacanestro collaborativa e con pochi picchi individuali di McKillop. E infatti la sfida di cartello non è tanto quella tra le squadre, ma appunto tra Curry e Blake Griffin, uno dei candidati al premio di Giocatore dell’Anno (che poi vincerà).

La partita termina con la vittoria di Oklahoma per 82-78, con Davidson incapace di concludere la rimonta da -15 a 5 minuti dal termine pur potendo godere sulle magate di Curry, di quelle che ora sembrerebbero normale amministrazione ma che all’epoca erano ancora (belle) novità. Steph chiude con 44 punti, mentre Blake Griffin si porta a casa una doppia doppia da 25+21 e la vittoria, ma è chiaro che stiamo parlando degli unici giocatori con un futuro NBA certo tra quelli a scendere in campo. In realtà ce ne sarebbe un terzo, solo che non lo troverete nei roster delle due squadre perché ancora troppo giovane per frequentare il college… e anche l’high school, a dire la verità.

Ha solo 10 anni e fa il ball boy, uno di quei ragazzini che entrano sul parquet per pulire il campo dalle chiazze di sudore. Ma in quella partita quel ball boy deve aver studiato molto bene i movimenti di Curry e così deve aver fatto anche in seguito, video su video su video, dato che a quasi 10 anni di distanza quel bimbo — che di nome fa Trae Young — usa gli stessi trucchi per torturare le difese NCAA, diventando in poco tempo un oggetto di culto per tutti gli appassionati del basket collegiale e un giocatore su cui tenere i fari puntati in vista del prossimo Draft.

Wreck-It-Trae

L’impatto in NCAA avuto da Young è stato tanto travolgente quanto inaspettato. In una stagione che vedeva ai nastri di partenza un’ottima classe di freshman, tra freak atletici (Marvin Beagley) e fisici (DeAndre Ayton e Mohamed Bamba) è insolito vedere un giocatore con statura, fisicità e atletismo “normali” dominare le partite puntando esclusivamente su skills di alto livello più facili da trovare in un giocatore professionista che non in uno al primo anno di college.

Inaspettato anche perché in questa classe di freshman Trae Young non era proiettato neanche per essere uno dei migliori 15 secondo testate specializzate come ESPN (numero 23 nel loro ranking), Rivals (16) e 247sports (23), oltre ad essere stato tenuto fuori per il consueto Nike Hoop Summit di aprile. Oscurato dalla presenza nella stessa squadra del circuito AAU di Michael Porter Jr. — altro primo-anno di Missouri di cui sentiremo molto parlare durante nelle settimane del Draft, nonostante l’infortunio che lo ha tenuto fuori in questa stagione —, Young è stato penalizzato da uno stile di gioco elettrizzante ma allo stesso tempo rischioso, difficilmente pronosticabile in un contesto di team-first che troviamo in molte realtà NCAA. Per questo Young è stato un po’ snobbato dai programmi più importanti (anche se Kansas e Kentucky i loro tentativi li hanno fatti) e ha deciso di rimanere a casa, scegliendo di giocare per i Sooners e diventando un vero e proprio idolo locale. E per diventarlo in un ateneo notoriamente football-centrico rende l’idea di quanto il ragazzo sia speciale.

Young è esploso durante il PK80, l’evento collegiale targato Nike che mette di fronte le migliori squadre all’inizio della nuova stagione, mostrando una facilità irrisoria nel trovare la via del canestro sia mettendosi in proprio anche coinvolgendo i propri compagni. Anzi, è proprio questa capacità di saper distribuire e miscelare al meglio la sua forza realizzativa con le qualità da facilitatore del gioco che gli ha permesso di imporsi sin dalle prime battute, rifilando 43 punti e 7 assist a Oregon alla quinta partita con la maglia di Oklahoma. Da lì in poco tempo è diventato un appuntamento fisso quando gioca in diretta nazionale per i cacciatori di highlights, con uno stile di gioco spettacolare nonostante si basi esclusivamente sull’uso di fondamentali a un livello talmente avanzato da renderlo una gioia per gli occhi.

Più delle partite da 40+ punti, quella con Wichita State è stata una vera e propria consacrazione: i primi 30 minuti sono stati esaltanti per la qualità delle scelte di fronte a una delle migliori difese della nazione.

Al momento guida la NCAA in punti (30.5) e assist (9.1) — bisogna tornare alla stagione 1951-52 per trovare un giocatore capace di guidare entrambe le classifiche, Dick Groat di Duke —, ha pareggiato il record di assist a quota 22 contro Northwestern State, scollinato i 40 per tre volte e ha già registrato 8 doppie-doppie in 18 gare finora giocate. È senza ombra di dubbio tra i candidati più forti per il premio di Giocatore dell’Anno, ma anche per essere messo in lista tra i migliori di sempre in ambito collegiale, considerando soprattutto che si tratta di un giocatore capace di portare avanti risultati personali e di squadra sullo stesso piano senza un particolare vantaggio fisico e/o atletico. Una cosa vista raramente finora.

Un pericolo costante

Di grandi tiratori la storia della NCAA ne è piena. Non c’è da andare molto lontano: basti pensare a quanto fatto con la stessa maglia da Buddy Hield due anni fa, o da Jimmer Fredette con BYU, fino ad arrivare a J.J. Redick in maglia Blue Devils. Quello che differenzia Young da tutti questi giocatori è la sua capacità non solo di essere un pericolo da situazioni di palleggio vivo anche quando non sembra predisposto ad attaccare — e non è facile capire quando non lo è, visto che può rilasciare dardi da 9 metri in qualsiasi situazione —, ma anche l’utilizzo della minaccia del suo tiro dal palleggio di alto livello (57% di eFG in situazioni di pull-up, un dato incredibile per un volume così alto di tiri) per condizionare le scelte delle difese e fare in modo che, se non sarà lui in prima persona, ci penserà qualcun altro dei suoi compagni di squadra a punirle.

È qui che il paragone con Curry sembra nell’immediato il più calzante, aiutato anche da coach Kruger che gli ha creato attorno una situazione tattica simil-Warriors. Nel sistema dei Sooners la transizione offensiva diventa un’occasione ghiottissima per fare in modo che Young possa crearsi un primo vantaggio in attacco sfruttando continui drag (pick and roll giocati direttamente in transizione), oppure occupando la corsia centrale nel minor tempo possibile per avere più opzioni, sfruttando ottimi atleti come Khadeem Lattin per correre ferro-ferro alla massima velocità e tiratori mortiferi come Christian James e Brady Manek sugli scarichi lungo le corsie laterali.

Questo video spiega molto bene come Young sia un giocatore di transizione favoloso.

La sua efficienza non si ferma certo nel gioco tutto-campo: anche a difesa schierata è un conduttore di pick and roll eccezionale, sfruttando la possibilità di giocare con distanze e spaziature NBA per avere maggiore libertà di azione e scegliere di volta in volta tra le molte frecce del suo arco.

Il tiro di Young parte dal petto e di conseguenza il rilascio è abbastanza basso, ma i tempi con cui lo fa andare sono minimi e questo non permette alle difese (almeno in NCAA) di porre rimedio alla pur minima distanza che si crea da pick and roll.

Young dimostra di essere un grande studioso del gioco e di avere voglia di migliorarsi continuamente quando parla di uno dei suoi idoli, Steve Nash, e di come lo affascini il suo modo di essere cerebrale in tutto quello che faceva sul parquet, senza lasciare mai niente al caso ma facendo emergere gli istinti in certi tipi di situazioni. Questo ha permesso al canadese di essere uno dei migliori giocatori di sempre anche senza essere il più grosso o il più atletico nel suo ruolo, ma solo grazie a letture e riflessi evoluti, reagendo con tempi irreali alle situazioni di gioco affrontate di volta in volta e prendendo sul tempo avversari più grossi di lui. Ovviamente il percorso di Young è ancora lungo e tortuoso, ma in alcuni frangenti si nota la grande influenza che il due volte MVP ha avuto nella sua crescita.

È impressionante come riesce a catalizzare le difese e a punirle con pazienza, direttamente dal palleggio, quando fanno la loro scelta. Bonus track finale: come smuovere un attacco fermo con un laser pass dal nulla.

L’aspetto mentale è quindi fondamentale nel suo modo di giocare: Young cerca sempre di rimanere sempre molto concentrato e freddo per non farsi trascinare dagli eventi durante la partita. Questo tipo di “confidence” è materiale raro per ragazzi così giovani, che solitamente sembrano sicuri di sé solo quando sanno di poter risolvere le situazioni per conto proprio. Young invece sembra saper mantenere la compostezza anche nelle fasi più calde della partita, senza farsi intimorire dagli eventi recenti sfruttando un decision-making di alto livello. Può passare da un 1/12 nel primo tempo a un secondo tempo ai limite della perfezione, come successo contro Texas Tech, solo migliorando la qualità delle scelte. Se viene stoppato ferocemente al ferro, non ha problemi a ributtarsi nella stessa situazione nell’azione successiva rimettendo a posto quanto successo nell’azione precedente, imparando dall’errore appena commesso con un meccanismo quasi da machine-learning.

Le più grandi carenze del suo gioco si possono attribuire al suo profilo fisico non eccezionale: quando si parla di chiudere l’azione al ferro e di difendere in uno-contro-uno, infatti, la mancanza di centimetri, chili e atletismo si fa sentire. In area Young non è un cattivo finisher, ma gran parte di queste conclusioni sono dovute ai floater che si prende per anticipare la difesa al ferro. Una skill solida (1.01 punti per possesso, 88° percentile per Synergy Sports) che pagherà i suoi dividendi in NBA, ma che dovrà essere integrata con un repertorio di sottomani (soprattutto con la mano sinistra) quantomeno sufficiente a obbligare le difese a non concedergli facilmente la via del canestro. Un miglioramento che passa anche da una maturazione fisica non ancora avvenuta ma che sembra possibile a giudicare dalla larghezza delle spalle, fondamentale per poter concludere assimilando i contatti. Da questo punto di vista, la frequenza con cui va a tirare i liberi (0.48 il rapporto FT/FGA: in pratica ogni due tiri va in lunetta) è un altro dato molto incoraggiante.

Non gli si chiedono le mille soluzioni di Kyrie Irving o la forza fisica di Goran Dragic, ma è chiaro che debba fare uno step avanti per trovare separazione da contatti e più fiducia sulla mano sinistra.

La difesa, invece, rischia di essere un fardello da portarsi dietro per lungo tempo, perché i limiti sono ben visibili. La squadra che sceglierà Young dovrà agire nella maniera più intelligente possibile per far in modo che gli avversari non abusino di lui a livello fisico, un aspetto che ad esempio a Steph Curry è riuscito benissimo diventando un difensore accettabile sulla palla per quanto continuamente puntato dagli avversari (anche per cercare di stancarlo e renderlo meno efficace nella metà campo offensiva).

La scalata al Draft

Ovviamente le prestazioni di questo inizio di stagione hanno rivalutato completamente il profilo di Young anche in vista del Draft del prossimo 22 giugno, facendogli scalare posizioni in tutti i ranking dei siti specializzati fino a portarlo a ridosso della cerchia di cinque giocatori (Doncic, Ayon, Porter, Bamba e Bagley) che al momento sembrano essere maggiormente avvantaggiati nella corsa alle prime posizioni. In molti al momento si chiedono se non possa far parte anche lui di questo gruppo; altri invece si interrogano se sarà capace di traslare il suo gioco in una Lega più veloce, più atletica e meglio strutturata fisicamente rispetto alla NCAA.

Cerchiamo di chiarire subito un punto fondamentale: nonostante i problemi di stazza e atletismo, un giocatore come Trae Young avrà sempre il suo posto in NBA grazie a un arsenale di skills avanzato come solo Luka Doncic in questo Draft, sicuramente il migliore tra i giocatori provenienti dal college. Il suo gioco a metà campo e la capacità di segnare dal palleggio senza limiti di range gli permetteranno di avere una solida carriera NBA, al netto di qualsiasi problema di infortuni e o a livello caratteriale/comportamentale che però non sembra essere nella natura del ragazzo. Questa deve essere la base con cui devono iniziare le discussioni sulle proiezioni della sua carriera.

Detto questo, è legittimo sollevare qualche dubbio nel preferirlo ad altri basandosi solo su quanto fatto vedere fino ad adesso, considerando che la parte più difficile del processo che porta alle scelte di questi prospetti non è solo quello di prevedere il tipo di giocatore che potrà diventare nell’arco di 5-10 anni, ma anche di come la NBA potrebbe evolversi in questo arco di tempo. Il più grande errore quando si parla di Draft è pensare che la scelte vengano ponderate seguendo l’andamento delle edizioni passate - cercando “il nuovo Kevin Durant”, “il nuovo LeBron James” o, come in questo caso “il nuovo Steph Curry” - quando invece la ricerca va fatta su un modello nuovo, e non su una replica. Il grande pregio di Young, ovvero quello di avere fatto suo uno stile di gioco che ha avuto successo anche a livello NBA, potrebbe trasformarsi nel suo peggior difetto in fase di proiezione futura, se messo a confronto con un manipolo di giocatori ancora grezzi ma più facile da modellare in qualsiasi direzione la Lega voglia puntare come gli altri che finiranno in top-5.

Con questo non vogliamo dire che Young non abbia potenziale o che i suoi limiti rischiano di farlo cadere precipitosamente alla fine di giugno, ma che chi lo sceglierà - e potrebbe farlo anche in top-5 - lo farà perchè in lui vede qualcosa di innovativo.

In NCAA lo è stato, la vera sfida è diventarlo anche in NBA.

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