«Prima guardo la difesa e il portiere, poi capisco cosa posso fare». Claudio Pizarro è arrivato in Bundesliga a 21 anni con alle spalle già 4 stagioni nella prima divisione peruviana, e ci ha giocato fino a 41 anni, quasi 42. È il giocatore straniero con più presenze in assoluto in Bundesliga (490, il quattordicesimo se si contano anche i tedeschi) ed è il sesto miglior marcatore della storia del campionato tedesco, con quasi 200 gol (197 per la precisione). Nei venti anni in cui ha fatto avanti e indietro tra Werder Brema e Bayern di Monaco (con una stagione al Colonia e una al Chelsea) ha vinto sei campionati e sette coppe di Germania, nella stagione 2012/12 ha partecipato al triplete del Bayern di Jupp Heynckes.
Claudio Pizarro è letteralmente diventato uomo giocando a calcio e segnando gol mentre il mondo intorno a lui cambiava radicalmente. È emigrato in Europa prima del crollo delle Torri Gemelle e si è ritirato alla fine di questa stagione interrotta per la pandemia del Covid-19, dopo che il Werder Brema ha evitato in extremis la retrocessione.
I nomi degli attaccanti con cui ha cominciato a giocare vengono da un passato remoto, Rade Bogdanovic, Ailton, il Giovane Elber, Roy Makaay, Roque Santa Cruz. Ha segnato i primi gol con dei capelli corti che sembravano dipinti come quelli di una marionetta di legno, se li è fatti crescere fino a poterli legare in una coda. E quando ha segnato il suo ultimo gol in campionato al Red Bull Lipsia li aveva di nuovo tagliati, era un quarantenne con la barba e i capelli seri.
«Pizarro sapeva sempre esattamente cosa voleva fare con la palla, e questo è quello che ho imparato da lui», ha detto Lewandowski, il presente e forse anche il futuro del ruolo in Bundesliga. «Non ho nessun problema ad ammettere che molto di quello che so fare, l’ho imparato da lui».