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Giuseppe Pastore
Classici: Portogallo-Marocco '86
20 giu 2018
20 giu 2018
Racconto dell'unico precedente tra le due Nazionali, finito in tragedia per i lusitani.
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Giuseppe Pastore
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Raramente un sorteggio Mondiale ha escogitato qualcosa di così suggestivo e affascinante come il gruppo B di Russia 2018, che mette una contro l'altra tre squadre appartenenti a due continenti diversi, ma geograficamente vicine di pianerottolo. Era capitato al limite con tre europee: a Cile 1962 eravamo stati sorteggiati insieme ai nostri dirimpettai svizzeri e tedeschi, mentre a Italia '90 le acque del Tirreno si trasformarono nei Mari del Nord per ospitare irlandesi, olandesi e inglesi, esiliati tra Palermo e Cagliari per paura degli hooligans. Non c'è bisogno di dilungarsi troppo per raccontare la cuginanza tra Spagna e Portogallo, e nemmeno le relazioni piuttosto strette e turbolente con i vicini marocchini, che lasciano spazio nel loro territorio ai possedimenti spagnoli di Ceuta, Melilla e altri lembi di terra che si affacciano sul Mediterraneo. Meno problematici i rapporti tra Marocco e Portogallo: i progetti di espansione dei lusitani sulla costa mediterranea marocchina sono durati solo fino al 1668, dopo aver controllato per oltre due secoli Ceuta e le città di El-Jadida e Tangeri. Nulla di paragonabile alla partita senza ritorno che andò in scena al Mondiale di Messico 1986, senza alcun particolare preavviso che si stesse per scrivere un capitolo di storia.

 



Per la sua seconda qualificazione ai Mondiali, il Marocco ha scelto con cura il proprio luogo del delitto. Il Messico, dove si è rivelato per la prima volta al torneo di sedici anni prima, quando ha spaventato la grande Germania, strappando un punto alla Bulgaria. Per qualificarsi ha eliminato quattro avversarie non trascendentali in partite andata e ritorno: Sierra Leone, Malawi, Egitto e infine Libia, subendo un solo gol, peraltro inutile, nell'ultima partita a Bengasi. Merito anche di Badou Zaki, il miglior portiere africano, a 28 anni nel pieno della sua maturità atletica e mentale. È un numero 1 sicuro e affidabile, dallo stile europeo, che a fine anno verrà acquistato dal Mallorca diventando il secondo e ultimo portiere a essere incoronato miglior calciatore d'Africa, dopo il camerunese Thomas N'Kono.

 

Il CT è un brasiliano, José Faria, che ha allenato per undici anni le giovanili del Fluminense e ha lanciato qualche campione, per esempio Edinho, stella di tre Mondiali con la Seleçao e, nella lussureggiante Serie A degli anni Ottanta, cinque anni all'Udinese. Nel 1979 Faria ha improvvisamente deciso di battere cassa: nel 1979 ha accettato l'offerta di guidare l'Under 19 del Qatar, dove è rimasto quattro anni a sguazzare tra i petrodollari di un calcio pesantemente amatoriale, prima di trasferirsi in Marocco, alla guida della Nazionale e dell'AS FAR, la squadra delle Forze Armate marocchine, fondata direttamente dal re Hassan II. In Marocco si trova così bene da convertirsi all'Islam, aggiungendo il secondo nome Mehdi (“amato da Dio”) sulla sua carta d'identità: «È vero, ero cattolico ma diventerò musulmano. In fondo, il dio è lo stesso».

 

La squadra è composta in gran parte da giocatori che, nel calcio analogico e ante-Youtube della metà degli anni Ottanta, sono semplicemente degli sconosciuti: solo cinque giocatori su ventidue giocano all'estero, tre in Francia e due in Svizzera dove alberga una delle stelle annunciate, il numero 8 Aziz Bouderbala. Seppur fondato soprattutto sulla fase difensiva, il calcio predicato da Faria non è affatto speculativo, e non è improprio parlare di un 4-2-2-2 di chiaro stampo verdeoro. Lo dice lui stesso: «Ho lavorato sodo per modificare la vecchia impostazione del calcio marocchino, quella di difendere in molti e attaccare in pochi». Davanti a Zaki troviamo la rocciosa coppia centrale composta da El Biaz e Khalifa, con i terzini Bouyahyaoui e Lemriss che raramente si avventurano oltre la metà campo. Un'ulteriore cerniera è composta a centrocampo dal mediano El Haddaoui che porta l'acqua a Dolmy, una specie di Pirlo ante-litteram, non casualmente soprannominato “Maestro”, che si occupa dei riferimenti ai giocatori più talentuosi della squadra. Segnatamente il già citato Bouderbala e Mohamed Timoumi, “il Platini marocchino”, che ha appena recuperato da un infortunio ai legamenti subito nel dicembre precedente. Mancino educatissimo, Pallone d'Oro africano 1985, è l'anello di congiunzione con i due attaccanti, i fratelli Merry: Mustafa, capocannoniere nelle qualificazioni, e Abdelkarim detto “Krimau”, reduce da una grande stagione da 17 gol nel campionato francese, con il Le Havre, e famigerato presso i tifosi del Torino per una doppietta segnata in coppa UEFA con la maglia del Bastia nel lontano 1977.

 

I "Leoni dell'Atlante" arrivano in Messico con largo anticipo, oltre un mese prima dell'esordio contro la Polonia, e si acclimatano all'afa di Monterrey («una pozza di vapore circondata da montagne vicine e crudeli, pareti di un bagno turco», secondo Gian Paolo Ormezzano), a un'ora di macchina dal Texas, giocando un gran numero di partite contro squadre locali. Sono stati sorteggiati in un gruppo per tre quarti europeo, con tre Paesi di tre tradizioni diverse: il cerebrale Portogallo, la muscolare Polonia e i maestri inglesi.

 



Nella storia calcistica di alcuni Paesi ci sono parole secche e inequivocabili, che tutti capiscono, e servono a identificare quelle tragedie sportive rapidamente diventate vergogne nazionali. È il caso per esempio di “Corea”, che i tifosi italiani brandirono per anni come arma di scherno per Mondino Fabbri, il CT del 1966, esattamente come Ventura usato come unico capro espiatorio per giustificare l'inaccettabile eliminazione ai Mondiali russi. I francesi parlano di “Knysna” per definire uno scempio che va al di là dell'aspetto calcistico e si allarga anche alla sfera sociale e culturale: era la località sede del ritiro francese ai Mondiali di Sudafrica 2010, quando i Bleus saltarono in aria come una polveriera tra ammutinamenti, comunicati farneticanti e un CT – lo sventurato Domenech - esautorato in pubblica piazza. Per i portoghesi, la parola della vergogna è “Saltillo”.

 

Il Portogallo arriva al Mondiale con grandi ambizioni dopo l'ottimo Europeo 1984, in cui hanno perso solo in semifinale contro la Francia di Platini. Il Portogallo torna al proscenio internazionale dopo 18 anni di nulla, cioè dal Mondiale 1966 di Eusebio e del terzo posto. Eppure, in controluce, affiora una gestione tecnica della squadra perlomeno misteriosa: all'Europeo la Nazionale è stata guidata da una bizzarra commissione tecnica composta da quattro persone, dopo che il predecessore Otto Gloria (già CT nel 1966) se n'era andato sbattendo la porta: «In Portogallo il livello dei calciatori è in grande crescita, ma purtroppo non quello dei dirigenti». Per il biennio che porta al Messico è stato scelto così José Torres, che ha fama di uomo pacioso e accomodante ma non esattamente di grande allenatore, visto che il suo curriculum è fermo a una lontana esperienza di pochi mesi al Vitoria Setubal, nel 1975.

 

Eppure, è arrivata una storica impresa di rilevanza addirittura internazionale: sì, perché la qualificazione è stata ottenuta sbancando clamorosamente il Neckarstadion di Stoccarda con una fiondata da 35 metri di Carlos Manuel, infliggendo alla Germania la sua prima sconfitta in casa in una partita ufficiale dal 1945, nonché la prima sconfitta in una partita di qualificazione mondiale (fino ad allora, 32 vittorie e 4 pareggi). Proprio Carlos Manuel è uno dei punti di riferimento di una squadra che ruota, dentro e fuori il campo, al carismatico capitano Paulo Bento, 38 anni, portiere-monumento del Benfica.

 


Lo storico gol di Carlos Manuel che qualifica il Portogallo al Mondiale 1986.


 

Le convocazioni, diramate il 19 aprile, sono sorprendenti. Nonostante Torres abbia fatto attenzione a garantire col bilancino sei convocati del Porto e sei convocati del Benfica, sono rimasti fuori almeno due grossi calibri: il capocannoniere del campionato, Manuel Fernandes dello Sporting, a cui non sono bastati 30 gol per cambiare le gerarchie in attacco, e Rui Jordao, eroe della sfortunata semifinale europea 1984 in cui aveva segnato due gol alla Francia. Le sorti dell'attacco poggiano dunque sulle spallucce della stellina Paulo Futre e sull'intoccabile Fernando Gomes, Scarpa d'Oro 1983 e 1985, innamorato del gol al punto tale, in una delle sue dichiarazioni più celebri, da paragonarlo a un orgasmo. Sono le uniche due prime punte di una Nazionale che non si presenta in Messico per dare spettacolo.

 

A poche ore dalla partenza, il primo inghippo. Il difensore Antonio Veloso (padre di Miguel, attuale centrocampista del Genoa) viene trovato positivo al Primobolan, un anabolizzante, e immediatamente sostituito da Fernando Bandeirinha dell'Academica: gli impiegati della Federazione riescono a rintracciarlo al telefono solo alle due del mattino e ci mettono un po' per convincerlo che non si tratta di uno scherzo. Buttato giù dal letto, viene subito spedito in aeroporto e imbarcato per il Messico, nonostante molti compagni di squadra chiedano prima di aspettare l'esito delle controanalisi (che quindici giorni dopo, effettuate da un laboratorio di Madrid, in effetti scagioneranno Veloso). Il viaggio è particolarmente laborioso e prevede due scali, uno a Francoforte e uno a Dallas, con i borbottii crescenti della squadra che avvertono un certo pressappochismo da parte della federazione nell'organizzazione della trasferta. E poi, finalmente, si arriva a Saltillo.

 

Cittadina di 600mila anime a 1600 metri d'altezza, Saltillo è stata scelta come ritiro anche dalla Federazione inglese, compagna di girone. Ma sulla preparazione del Portogallo al Mundial iniziano subito ad allungarsi ombre grottesche. Tanto per cominciare, l'hotel scelto è completamente esposto alla curiosità di giornalisti e tifosi, non adeguatamente protetto da un servizio di sicurezza degno di questo nome. Il campo di allenamento sorge su un pendio che costringeva i giocatori ad allenarsi in salita (o in discesa, a seconda dei punti di vista). Viene organizzata un'amichevole contro il Cile, ma poco dopo viene annullata viste le richieste economiche troppo alte dei cileni. Di conseguenza, le poche partitelle vengono effettuate con squadrette amatoriali locali o, secondo alcuni, addirittura dipendenti dell'hotel. Si diffonde la leggenda, a questo punto credibile, che durante una di queste partitelle un giocatore sia stato intervistato mentre era ancora in campo, a sottolinearne il carattere non propriamente agonistico. Ci sono persino voci insistite di avventure con prostitute che fanno alzare la temperatura delle telefonate con le famiglie in Portogallo. Al capo delegazione Amandio de Carvalho (anche vicepresidente federale) non viene riconosciuta alcuna autorevolezza; il presidente federale Silva Resende è uccel di bosco, preferendo starsene nella più confortevole Città del Messico.

 

I malumori si susseguono. Alcuni giocatori si lamentano di aver dovuto fare da testimonial agli sponsor della federazione (Adidas, o la birra Cristal) senza essere stati pagati; in molti si lamentano che le diarie e i premi promessi sono troppo bassi. Il 25 maggio, a otto giorni dall'esordio, i giocatori rifiutano di allenarsi. Il presidente rinvia ogni decisione al rientro a Lisbona, delegando tutto ad Amandio de Carvalho, mentre l'opinione pubblica in Portogallo non apprezza particolarmente queste iniziative, così come il presidente della Repubblica Mario Soares, che fa pubblico appello al buon senso. C'è anche una nota ufficiale del Governo che deplora l'atteggiamento antisportivo e squalificante dei giocatori per il buon nome del Portogallo. Così lo sciopero rientra, sebbene alcuni giocatori continuino ad allenarsi con le magliette “al contrario” per non dare visibilità agli sponsor federali. L'unico momento di serenità è portato dagli squisiti piatti dello chef Alvaro Evaristo, il cuoco ufficiale della Nazionale che ha portato in Messico circa 300 chili di bacalhao e altre prelibatezze e vini pregiati portoghesi. Molto più dell'ectoplasmatico CT Torres, è lui il leader morale del gruppo, che ama intrattenere anche suonando la chitarra a bordo piscina. Bento dichiarerà che, se non fosse stato per la sua cucina, molti giocatori avrebbero lasciato il Messico con largo anticipo.

 



A Monterrey sorgono due stadi, il piccolo Universitario e il più grande Tecnologico, dotato di pista d'atletica: entrambi sono scarsamente frequentati, anche perché le partite – programmate a orari da siesta – non provocano acquolina in bocca. Il 2 giugno Marocco e Polonia si annullano in uno 0-0 che sorprende perché mette sullo stesso piano gli sconosciuti africani e la Nazionale arrivata terza quattro anni prima in Spagna, ma che ora appare precocemente imbolsita, a cominciare dal declinante capitano Zibì Boniek. Il Marocco domina il primo tempo, ma riesce a tirare in porta solo da fuori, due volte con Bouderbala e una con Timoumi. I polacchi prendono campo nella ripresa sfiorando ripetutamente il gol, colpendo un palo con Urban ed esaltando Zaki con un tiro dal limite di Dziekanowski. Il punto è un gran risultato per gli uomini di Faria, che ha visto perfettamente eseguito il suo primo piano gara e alla fine commenta sornione: «Ci piace giocare bene, ma in un Mondiale non sempre è possibile».

 



La squadra più quotata del girone è l'Inghilterra, circondata da un alone di mistero anche per la squalifica post-Heysel delle squadre inglesi dalle competizioni europee, che ha impedito agli addetti ai lavori di prendere visione dei giocatori per tutta la stagione. Si sa che la Nazionale è reduce da dodici risultati utili consecutivi, che il rampante centravanti Gary Lineker viene da una stagione da 40 gol con l'Everton e che il capitano e faro del centrocampo, Bryan Robson, è malconcio a causa di una spalla che si è lussato due volte. Al Tecnologico c'è un'atmosfera lugubre, con tremila tra poliziotti e soldati a vegliare sui temutissimi mille tifosi inglesi, “

” secondo le gazzette locali, completamente isolati dal resto dello stadio. L'Inghilterra è più forte, gioca meglio, sfonda soprattutto a destra ma Lineker e Hateley hanno le polveri bagnate. In un poco eccitante remake della semifinale Mondiale 1966, il Portogallo si limita ad abbozzare e sembra gelosamente attaccata allo 0-0: al 73' finalmente entra Futre, ma l'entusiasmo dei pochi tifosi portoghesi si trasforma in delusione quando vedono uscire Gomes. Problemi loro: dopo due minuti "Diamantino" sfonda a destra e mette in mezzo dove Carlos Manuel, l'eroe di Stoccarda, infilando a sorpresa Shilton a porta vuota. Il Portogallo spreca varie chance di raddoppio, ma è indiscutibilmente con un piede e mezzo agli ottavi. A chi si aspetta dichiarazioni al miele e una riappacificazione tra giocatori e Federazione, risponde Fernando Gomes: «Abbiamo sconfitto dodici avversari, il dodicesimo era la nostra Federazione. Devolveremo in beneficenza questo ridicolo premio di 600 dollari».

 



 



Giunto al suo secondo 0-0 consecutivo, i marocchini dimostrano anche una confortante sintonia con la buona stella. Gli inglesi, che devono vincere a tutti i costi, vivono un primo tempo da incubo. Prima salutano il malconcio Bryan Robson, costretto a giocare con un particolare bustino prestatogli da un rugbista suo amico, prima che la spalla gli ceda definitivamente; poi, qualche minuto dopo, un simbolo di eleganza come

per aver lanciato incautamente il pallone verso l'arbitro paraguayano Gonzalez in segno di protesta, colpendolo alle gambe. Nonostante le beffarde dichiarazioni post-gara di Krimau sugli avversari («Gli inglesi sembravano una squadra del Medioevo»), il Marocco non si rende mai pericoloso anche in 11 contro 10, lasciando intendere che gli riuscirà molto complicato strappare al Portogallo quei punti che servirebbero per scrivere la storia.

 



L'insperato successo contro l'Inghilterra rende il Portogallo ancora più cerebrale e speculativo, preferendo farsi cucinare dal sole di Monterrey piuttosto che provare a battere la Polonia: la punta è sempre una sola, un Gomes solo come un cane

mentre Futre – si scoprirà dopo – è ostinatamente tenuto in panchina anche per preservare i delicatissimi equilibri interni tra Porto e Benfica

In porta, però, non c'è più Manuel Bento: il portiere e capitano, nonché portavoce dei “contestatori”, si è fratturato il perone sinistro in allenamento, in un contrasto con un compagno, in momento della seduta in cui non stava facendo il portiere ma il giocatore di movimento. Non giocherà più con la Nazionale portoghese: il suo sostituto nelle due partite successive sarà Vitor Damas dello Sporting, altrettanto vecchio (38 anni) ma decisamente più mediocre. Una sua uscita bassa piuttosto incerta consente allo smaliziato Smolarek di girare in rete un bell'invito di Dziekanowski. Il Portogallo si riversa in attacco ma non riesce a produrre che un rocambolesco palo colpito in mischia da Frederico. La situazione del girone è più ingarbugliata che mai: la Polonia è prima con 3 punti, poi Marocco e Portogallo a 2 punti, poi Inghilterra a 1.

 



 



Com'è noto, nel maggio 1986 nessuna africana ha ancora mai vissuto l'emozione di superare la prima fase di un Mondiale. Quattro anni prima c'era andata molto vicino l'Algeria, che aveva gelato i tedeschi nel match d'esordio prima di finire vittima di un indegno biscottone tra Germania e Austria, che ha fatto arrossire la FIFA a tal punto da imporre, dal Mondiale successivo, la contemporaneità delle ultime due partite della fase a gironi.

 

Il giorno prima, con i buoni uffici di Faria, il Marocco si è allenato a Guadalajara insieme al Brasile, e la giornata insieme alla Seleçao sarà di grande ispirazione per i "Leoni dell'Atlante". Nel suo libro “

” dedicato alla storia del calcio africano, Ian Hawkey scrive che «Socrates si rivolse a Timoumi dicendogli: tu sei un brasiliano, e poi regalò a Krimau una maglietta che indossò il giorno dopo, nella partita contro il Portogallo». Quanto ai portoghesi, il loro affettuoso soprannome è "

(cioè i bambini), in riferimento a una specie di inno della spedizione composto dal cantante Herman José e molto in voga in quei giorni; ma proprio come bambini si sciolgono al sole di Guadalajara in un primo tempo da incubo.

 

Faria a sorpresa lascia fuori Mustafa Merry e lancia l'attaccante di riserva Abderrazak Khairi. Scelta quanto mai ispirata, se improvvisamente i tiri da fuori tentati a ripetizione contro Polonia e Inghilterra iniziano finalmente a entrare: al 19' un destro dai 25 metri della new entry folgora Damas partito in ritardo, e otto minuti dopo è ancora Khairi a concludere splendidamente, al volo, un'azione avviata da Krimau e proseguita da Khalifa con un cross sul secondo palo degno di una platea ben più appassionata dell'Estadio Trez de Marzo di Guadalajara. Un capolavoro è, infine, l'azione del 3-0 che fa calare il sipario con mezz'ora di anticipo. Bouderbala folleggia a metà campo, allarga a sinistra Timoumi che col suo mancino panoramico disegna un lancio superbo per Krimau, che controlla e batte ancora Danas: bellissimo. Il gran pallonetto di Diamantino, che perde tempo a esultare senza rendersi conto del fatto che manchino dieci minuti all'eliminazione, è la spia di un Portogallo giunto psicologicamente svuotato alla partita decisiva. Le parate a ripetizione di Zaki, ora plastico ora essenziale, sono la cassetta di sicurezza del Marocco che, per dieci giorni nell'estate del 1986, si sente in cima al mondo. E proprio come nel 2018, anche nel 1986 il Ramadan cadeva tra primavera ed estate.

 



 

Re Hassan II, viscerale appassionato di calcio, ricompenserà staff e giocatori con 200mila franchi a testa, circa 40 milioni di lire dell'epoca. Ma le parole di Faria dopo la storica impresa suonano già come un congedo anticipato: «Tante persone si aspettavano la nostra eliminazione e tante persone hanno perso la lotteria. Ora possiamo anche andare a casa, è come se avessimo già vinto il Mondiale». Succede in effetti questo, anche se l'abbinamento agli ottavi contro la Germania lasciava poche speranze ai "Leoni dell'Atlante". Eppure nella prima fase era stata una Germania molto modesta, a tratti pessima, da soli tre punti in tre partite, e il colpaccio poteva anche essere tentato; o quantomeno, Zaki e compagni potevano sistemare una barriera un po' meno indecente di quella che si para dinanzi a Lothar Matthaeus al minuto 88 di una partita bloccatissima, che sembra avere i supplementari come unico sbocco naturale. E invece

passa a sinistra del muro marocchino e si insacca alle spalle di Zaki, al primo – e gravissimo – errore del suo splendido Mondiale. Nel 2006, insieme a cinque compagni di squadra, sarà inserito nella lista dei cento migliori giocatori africani della storia, ed è giusto ricordarli tutti: Zaki, Bouderbala, Timoumi, El Biyaz, El Haddaoui, Dolmy.

 

E dei portoghesi riottosi, cosa fu? C'è un detto lusitano che rende bene l'idea: "

, la colpa muore solitaria, nonostante un'interrogazione parlamentare sollecitata dal deputato socialista Manuel Alegre. I sette maggiori responsabili dei fatti di Saltillo (Bento, Joao Pinto, José Antonio, Sobrinho, Carlos Manuel, Jaime Pacheco e Diamantino) vengono definitivamente epurati. Gli altri quindici convocati solidarizzeranno con loro, dichiarandosi indisponibili a vestire ancora la maglia della Nazionale. Così la nuova Nazionale, affidata a un nuovo bizzarro duumvirato (l'avvocato Rui Seabra come CT, Antonio Oliveira come allenatore “di campo”) ripartirà da una squadra più giovane e inesperta, che farà da tappezzeria per qualche anno nei gironi di qualificazione a Europei e Mondiali e incapperà in risultati umilianti come un 2-2 in casa contro Malta, vero punto di non ritorno degli allucinanti anni Ottanta portoghesi. Quel giorno il numero 7 della Nazionale portoghese si chiamava Jaime Jeronimo Das Merces, il cui maggior picco della carriera furono le nove stagioni con la maglia del Belenenses. Erano decisamente altri tempi.

 

 

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